SCIENZA E RICERCA

Horizon 2020 addio e grazie per tutti i finanziamenti

Fine dell’anno e, tradizionalmente, tempo di bilanci, ma la fine del 2020 porta con sé anche la chiusura del più grande programma di finanziamento della ricerca al mondo. Horizon 2020 prevede ancora un round di finanziamento che scade a fine gennaio, ma già così nei suoi sette anni di attività ha distribuito quasi 60 miliardi di euro. Come sottolinea Alison Abbott nel suo commento apparso in questi giorni su Nature, i ricercatori hanno sviluppato un rapporto di amore e odio con i meccanismi di selezione alla base del processo. Ci sono aspetti che possono essere migliorati - e la speranza sottolineato da Abbott è che le critiche diventino parte dell’eredità che Horizon 2020 lascerà al suo successore, Horizon Europe, che coprirà il periodo 2021 - 2027. 

La competizione è stata alta: le proposte ricevute negli anni sono state oltre 255 mila e i grant agreement siglati (gli accordi tra la Commissione Europea e i singoli consorzi di ricerca) sono stati 31.428, con un tasso di successo poco superiore al 12%. Ma da questi sette anni di ricerca sono usciti oltre 100 mila articoli peer-reviewed e oltre 2500 richieste di brevetti

Ci sono differenze sensibili nella capacità dei diversi paesi di accedere ai fondi europei per la ricerca. Le tre economie più importanti tra i membri dell’Unione hanno fatto la parte del leone: Germania, Regno Unito e Francia hanno portato a casa poco meno del 40% dei fondi disponibili.

Anche andando a vedere quali sono i singoli soggetti che sono riusciti ad accedere a più finanziamenti, la situazione che emerge rispecchia questa distribuzione. Nei primi venti posti si trovano il CNRS, l’ente francese per le energie alternative, i giganteschi Fraunhofer e Max Planck Institut, le università di Oxford e Cambridge, l’Imperial College e lo University College di Londra. Mentre il CNR italiano occupa solamente il sedicesimo posto, superato anche dall’omologo spagnolo, fanno capolino diverse realtà dei paesi scandinavi e del Benelux, per una classifica a forte trazione del nord Europa.

Chi “guadagna” e chi “perde” dalla distribuzione dei fondi

I fondi distribuiti dal programma Horizon2020 derivano dai contributi dei singoli stati membri al budget europeo. Ma mettendo a confronto quanto contribuisce ogni membro al budget dell’Unione Europea con la percentuale di fondi che riesce a portare a casa attraverso i progetti (sul modello dell’analisi effettuata da Nature), nessuno dei paesi in cima alla classifica è un “guadagnatore netto”. Qui va fatto notare che si valuta non la nazionalità del ricercatore principale, il cosiddetto principal investigator, dei progetti, bensì la nazionalità dell’ente che lo coordina. Questo significa, per esempio, che se un ricercatore italiano affiliato a una università britannica ha ricevuto un finanziamento per un progetto sotto Horizon2020, questo viene contato sotto “Regno Unito”.

Il ruolo silenzioso dei privati

Quando si parla di finanziamenti alla ricerca il pensiero corre subito alle università e agli enti di ricerca pubblici, ma si tende a trascurare quanti soggetti privati siano coinvolti nella ricerca di oggi. Nel caso dei fondi di Horizon2020, i privati ne hanno ricevuto il 29%, superando anche gli istituti di ricerca. Certo, per “privato” qui si intende qualsiasi soggetto di diritto privato (con l’eccezione delle università, che vengono conteggiate assieme a quelle pubbliche), come per esempio le grandi aziende coinvolte nei programmi spaziali. Ma in quel 29% si contano migliaia di piccole e medie imprese (oltre 31 mila) che hanno fornito il proprio contributo sotto varie forme ai 31 mila e passa progetti portati a termine. Come a dire che il panorama delle ricerca contemporanea non è più, come forse lo era in passato, nettamente diviso tra pubblico e privato. Per produrre 100 mila paper in sette anni serve il contributo di entrambe le parti.

L’Italia

Anche la fetta di finanziamenti che sono arrivati nel nostro paese non sono equamente distribuiti, come mostra la mappa per province qui sotto. A farla da padrone sono necessariamente quei territori, come Milano, Torino e Roma, su cui insistono più grandi università e molti istituti di ricerca. 

Guardandola da un’altra prospettiva, però, si può anche affermare che sono pochi i territori in cui non è arrivato nemmeno un euro. Visto il ruolo giocato anche dai privati, che evidentemente godono in modo comunque consistente del finanziamento europeo, questa mappa potrebbe benissimo essere una delle risposte alla domanda “che cosa fa l’Europa per noi”: ha finanziato la ricerca e l’innovazione su praticamente tutto il territorio nazionale, senza quasi distinzione tra pubblico e privato, per 5 miliardi di euro in sette anni. Per fare un paragone, il PRIN, uno dei programmi principali di finanziamento alla ricerca del MIUR per il periodo 2020 - 2022 vale complessivamente 700 milioni. Siamo su di un altro ordine di grandezza.

Anche in termini di partecipazione, e conseguentemente di fondi ricevuti, le istituzioni italiane hanno un gap da colmare nei confronti di quelle degli altri paesi membri. Per esempio, il CNR italiano ha ricevuto poco più di 285 milioni di euro dal programma Horizon2020, che sono stati utilizzati da 691 partecipanti (un partecipante può essere parte di più progetti, e quindi contato più volte). Il corrispettivo francese, il CNRS, ha ricevuto quasi quattro volte tanti fondi, sfruttati da oltre mille partecipanti. Inoltre c’è uno scalino evidente tra le prime due università italiane, il Politecnico di Milano e l’Università di Bologna, e la quarta entità in classifica, l’IIT. Certo non si misura la qualità della ricerca e dei suoi risultati solamente in termini di denaro e partecipazione, ma si può dire senza tema di smentita che i soggetti italiani possono sicuramente migliorare la propria capacità di accedere ai fondi continentali.

Un aspetto importante del programma Horizon2020 è stato, come per tutti i programmi di finanziamento precedenti, quello di favorire le collaborazioni internazionali. Moltissime delle call (i bandi) prevedono che si costruiscano consorzi internazionali, favorendo la circolazione di idee e la condivisione di esperienze. Da questo punto di vista, è interessante vedere con quali altri paesi i progetti italiani hanno maggiormente collaborato negli ultimi sette anni. Al netto di rapporti con altri soggetti italiani, i progetti nostrani hanno lavorato tantissimo con la Spagna, la Germania, la Francia e il Regno Unito.

Mentre molti progetti pluriennali si devono ancora concludere, con un rallentamento nelle attività dovuto anche alla pandemia di Covid-19 che ha impedito una normale collaborazione nell’ultimo anno, tra qualche mese si apre la prima call di Horizon Europe. Il budget da assegnare nel corso dei prossimi sette anni è ancora più grande, circa 100 miliardi, e le ambizioni sono ancora maggiori: coprire il 20% della ricerca e dell’innovazione mondiale e un terzo di tutte le pubblicazioni di alto livello. Che la competizione abbia inizio.

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