SCIENZA E RICERCA

Integrità nella ricerca scientifica. Bucci: “Eliminare alla base l’incentivo alla frode”

Il progresso scientifico e tecnologico è fondamentale per lo sviluppo culturale, economico e politico di una società. Ecco perché è particolarmente importante che la ricerca svolta all’interno delle università e degli istituti di ricerca sia di alta qualità e, soprattutto, attendibile. L’affidabilità e il rigore sono tra i requisiti più importanti che un lavoro di ricerca deve soddisfare per essere considerato valido. È quindi necessario uno sforzo continuo da parte delle università e degli istituti di ricerca per monitorare il comportamento degli scienziati e promuovere pratiche di ricerca responsabile.

Per questo motivo, un gruppo di studiosi olandesi ha condotto un’indagine nazionale sull’integrità della ricerca che ha coinvolto quasi 7000 ricercatori che lavorano nelle università e nei laboratori del paese. Si tratta di uno dei sondaggi più ampi condotti finora in tutto il mondo per identificare e quantificare la diffusione di comportamenti scorretti tra le persone che lavorano nel campo della ricerca scientifica.

Sono stati invitati a partecipare al sondaggio tutti i ricercatori e le ricercatrici che svolgono un’attività retribuita di almeno 8 ore alla settimana presso le università, gli istituti di ricerca e i centri medici dell’Olanda in diversi settori disciplinari: scienze naturali, sociali e comportamentali, medicina, biologia e studi umanistici e artistici. Ai partecipanti è stato chiesto di dichiarare, attraverso un questionario anonimo (che è stato completato da 6813 di loro), se avessero compiuto atti disonesti nella ricerca con riferimento ai tre anni precedenti al sondaggio.

Il 51,3% degli intervistati ha ammesso di aver portato a termine almeno una delle 11 pratiche di condotta discutibili elencate dagli autori nel sondaggio. Queste comprendevano, ad esempio, l’esclusione dai dataset dei risultati che potevano falsificare la tesi dello studio o la mancata supervisione del lavoro dei ricercatori più giovani e inesperti.

“Esistono molti studi e addirittura intere riviste scientifiche dedicate al tema dell’integrità della ricerca” commenta Enrico Bucci, professore alla Temple University di Philadelphia. “La difficoltà principale che si incontra in questo tipo di ricerche riguarda la definizione di condotta scorretta. Si tratta infatti di un concetto piuttosto volatile che comprende un intero spettro di pratiche di ricerca discutibili che vanno dall’errore scientifico commesso in buona fede, fino alla frode vera e propria. Se infatti alcuni comportamenti sono certamente identificabili come disonesti, come ad esempio quelli che mirano all’esclusione dei collaboratori più giovani, altri possono essere considerati fraudolenti o meno in presenza di alcune discriminanti, tra cui la volontarietà e, in secondo luogo, il vantaggio conseguito. Può capitare, infatti, che alcune pratiche discutibili, come l’omissione dei dati che non confermano la propria ipotesi, non siano la conseguenza di un’intenzione fraudolenta ma piuttosto di una pessima educazione alla scienza. Nei laboratori di ricerca, infatti, ci sono ancora moltissimi ricercatori che credono, erroneamente, che il processo scientifico riguardi solo la scoperta di qualcosa di nuovo o la conferma della propria ipotesi. Insomma, non è sempre facile capire se un comportamento sleale nasconda un intento fraudolento o se sia riconducibile, piuttosto, a un errore di ignoranza”.

L’indagine sull’integrità della ricerca condotta in Olanda ha raccolto anche le motivazioni addotte dai ricercatori che hanno ammesso di aver compiuto atti di disonestà. I risultati suggeriscono che la logica del publish or perish (che significa, letteralmente, “pubblica o muori”), ancora molto diffusa negli ambienti accademici, sia uno dei fattori principali che possono spingere gli scienziati, specialmente i ricercatori e gli assistenti di ricerca, ad assumere comportamenti disonesti.

“La logica del publish or perish è un fattore di pressione da tempo identificato alla radice dei comportamenti scorretti nella ricerca scientifica”, riflette Bucci. “Questa espressione descrive, sostanzialmente, la necessità di produrre un numero più alto possibile di pubblicazioni scientifiche per ingrossare il proprio curriculum. Infatti, nelle università di tutto il mondo è ancora molto diffuso il metodo di valutazione bibliometrica, che permette di avanzare nella carriera a coloro che hanno all’attivo un maggior numero di pubblicazioni rispetto agli altri. Questo sistema tende a premiare il cosiddetto impatto citazionale, che misura quante volte un certo lavoro è stato citato o ripreso in altri studi, piuttosto che la qualità della ricerca.

Naturalmente, per accumulare citazioni è innanzitutto necessario pubblicare. Per questo motivo, molti comportamenti scorretti vengono attuati con lo scopo di ottenere la pubblicazione dell’articolo a qualunque costo. Proprio in alcune università dell’Olanda, per combattere la logica del publish or perish, sono stati sperimentati dei processi selettivi alternativi che non valutano la qualità dei ricercatori e delle proposte di finanziamento per via bibliometrica, bensì in base ad altri criteri (tra cui la rilevanza sociale del progetto e la sua fattibilità, ndr). Esistono alcune università dove questi metodi di valutazione sono stati ormai definitivamente implementati. Non sorprende, quindi, che siano proprio dei ricercatori olandesi a prestare una particolare attenzione a questo tema”.

Eppure, come riflette Bucci, questo non basta se non si combatte la logica del publish or perish. “Va eliminato, alla base, l’incentivo alla frode”, afferma il professore. “Sebbene il comportamento disonesto nella scienza sia sempre esistito – le prime testimonianze di frodi scientifiche risalgono infatti al Settecento – è sicuramente anche vero che, nella nostra epoca, la frode scientifica è diventata, per certi versi, un fattore di sopravvivenza in un mondo a risorse limitate. È interessante notare che il sistema di valutazione bibliometrica, che era stato inizialmente introdotto proprio per scoraggiare comportamenti sleali nelle accademie e per valutare quindi i ricercatori attraverso perimetriche oggettive, sia diventato in realtà un incentivo alla frode e un importante parametro della pubblicazione scientifica. Questo meccanismo è alimentato infatti anche dagli interessi di mercato dei colossi dell’editoria scientifica, che è uno dei business più redditizi al mondo. Insomma, per superare davvero la logica del publish or perish non basta che il sistema di valutazione bibliometrico sia abbandonato solo da alcune singole università, ma sarebbe necessario creare un nuovo modello di policy europea ispirandosi all’esempio virtuoso dell’Olanda”.

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