Bystrinsky Mining and Concentration Plant (Bystrinsky GOK). Foto di Andrey Kuzmin - Wikimedia
Un’analisi di più di 16 milioni di km² di territorio artico 21 anni di dati e un totale di 839.710 km² che sono risultati illuminati da attività umane. Sono questi i dati dello studio pubblicato su PNAS dal titolo "Artificial light at night reveals hotspots and rapid development of industrial activity in the Arctic”. I ricercatori hanno voluto esaminare quanto sia stata rapida l’antropizzazione di una delle aree più remote del mondo. Il rapido sviluppo industriale nell’Artico è stato studiato utilizzando i dati satellitari sulla luce artificiale notturna (ALAN) come indicatore principale di attività umana. Lo studio di Cengiz Akandil e colleghi rappresenta così una delle prime analisi su larga scala delle attività industriali e urbane nell’Artico, un'area dove il cambiamento climatico ha aperto nuove opportunità di accesso e sviluppo.
Tra il 1992 e il 2013 l’aumento medio annuo dell’area illuminata è stato del 4,8% e gran parte di questa illuminazione si è concentrata nelle regioni europee e nelle aree di estrazione di petrolio e gas della Russia e dell’Alaska. La zona dell’Artico canadese invece, rimane in gran parte buio.
Sappiamo che l'Artico è uno dei territori della Terra più minacciati dal cambiamento climatico. Una zona che, oramai inevitabilmente ed inesorabilmente, sta cambiando. Il riscaldamento globale sta modificando la superficie artica, sta modificando i fondali, lo scioglimento del permafrost sta portando e porterà con sé diverse problematiche: dalla fuoriuscita di gas, radon o serra che sia, a terreno di battaglia per interessi commerciali.
Nella zona artica la temperatura media è aumentata di circa 3°C dal 1979, cioè quasi quattro volte più velocemente rispetto alla media globale e sappiamo che la regione intorno al Polo Nord ospita alcuni degli ecosistemi più fragili al mondo. Il riscaldamento globale ha quindi aumentato anche l'accessibilità delle terre nell'Artico, favorendo lo sviluppo industriale e urbano. Lo studio pubblicato su PNAS, che si propone proprio di mappare l'attività industriale su scala pan-artica attraverso l'uso di dati ALAN, raccolti tra il 1992 e il 2013 da un satellite del Defense Meteorological Satellite Program (DMSP), è arrivato alla conclusione che più del 5% dell'Artico mostra segni di attività umana.
Un’attività che, come affermato da Akandil, prima firma dello studio, “nel fragile ecosistema della tundra e del permafrost, anche solo il passaggio ripetuto di persone e i segni lasciati dai veicoli sulla tundra possono avere effetti ambientali a lungo termine che si estendono ben oltre l'area illuminata rilevata dai satelliti”.
Le differenze geografiche
Come abbiamo visto però, non tutto l’Artico si sta antropizzando allo stesso modo. L’Artico russo è la zona più illuminata, con il 6,71% della superficie coperta da ALAN, soprattutto nelle regioni di Khanty-Mansi e Yamal-Nenets, le quali contribuiscono da sole per il 40,4% dell'area totale illuminata nell'Artico.
L’Artico nordamericano invece, risulta meno illuminato, con circa l'1% dell’area coperta da ALAN. In Europa, le zone artiche della Finlandia, Norvegia e Svezia mostrano aree più illuminate a causa dello sviluppo urbano e industriale, con il 28,67% del territorio europeo artico illuminato, prevalentemente per attività estrattive e di trasporto.
Il report poi mette in evidenza che solo il 15% delle aree illuminate contiene dei reali insediamenti umani. Questo fa trarre una prima conclusione: la maggior parte della luce artificiale proviene dalle attività industriali. Nei principali distretti di estrazione di petrolio e gas della Russia infatti, come Nenets, Yamal-Nenets e Khanty-Mansi, la luce emessa dagli insediamenti è meno del 10,5% dell’area illuminata, mentre in Europa la percentuale è di circa il 21,9%. Questo significa che, nonostante la presenza di città nelle vicinanze, la luce artificiale nell'Artico è dominata dalle attività estrattive e dalle infrastrutture industriali che, a volte, coprono aree di decine di migliaia di chilometri quadrati. Ne sono esempi concreti i grandi giacimenti di petrolio come Samotlor e Vankor in Russia.
Ecosistemi a rischio
L’inquinamento luminoso non è l’unico problema riscontrato dai ricercatori. Gli impatti negativi delle attività industriali infatti sono fattori che mettono a rischio la biodiversità artica. Un esempio concreto dell’impatto sulla fauna locale citato nello studio è quello della luce artificiale notturna, che riduce la capacità delle renne artiche di adattare la vista all'estremo colore blu del crepuscolo invernale, un adattamento che permette loro di trovare cibo e sfuggire ai predatori. La luce artificiale inoltre ritarda anche la colorazione delle foglie e la gemmazione, aspetti cruciali per le specie artiche, dove la stagione di crescita è inevitabilmente limitata.
Il futuro dell’Artico
I ricercatori poi, sono chiari nel dire che se il tasso di crescita dello sviluppo industriale tra il 1940 e il 1990 dovesse essere mantenuto, il 50-80% dell'Artico potrebbe raggiungere livelli critici di disturbo antropogenico entro il 2050.
"Le nostre analisi sui punti principali dello sviluppo industriale sono fondamentali per supportare il monitoraggio e la pianificazione dello sviluppo industriale nell'Artico - ha dichiarato Gabriela Schaepman-Strub dell’università di Zurigo -. Queste nuove informazioni potrebbero sostenere i Popoli Indigeni, i governi e le parti interessate per allineare le loro decisioni con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile nell'Artico".