CULTURA

Che ne sarà dei bambini di Mosul?

Che ne sarà dei bambini di Mosul? È questo il grande interrogativo che ispira, percorre e rincorre il documentario ISIS, Tomorrow. The lost souls of Mosul dei registi Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi, presentato ufficialmente durante la seconda giornata della Mostra del Cinema di Venezia.

Non è facile parlare di una guerra così complessa come quella contro l’ISIS, ancora più difficile è parlare della situazione che rimane dopo che è stata dichiarata la liberazione di Mosul, una delle sue roccaforti. E questo documentario presentato fuori concorso al Lido ha dato la possibilità di parlarne da un punto di vista strategico: quello dei bambini.

Per prima cosa: perché strategico? Per due motivi importanti, il primo perché i bambini sono uno dei punti cardine dell'ideologia dell'ISIS, ovvero la continuazione del Califfato universale, per questo motivo sono stati educati alla violenza e al martirio. In secondo luogo, i bambini rappresentano il futuro, il domani di una nazione, di un popolo, molto provato dalla guerra, in tutti i sensi.

Dal punto di vista della trama, se così possiamo definirla dato che stiamo parlando di un documentario, nessun racconto storico, per quello esistono i giornali degli ultimi anni. Nessuna storia raccontata da un’unica voce, ma un coro di voci bipartisan di donne e bambini. Jihadisti e "infedeli" da sterminare. Far parlare questi testimoni in prima persona riesce a far perdere l’orizzonte che separa i vinti dai vincitori. Infatti la prima domanda che sorge alla fine del documentario è: possiamo davvero parlare di vincitori in questa guerra?

Il motivo è semplice: anche se Mosul è stata liberata, le persone che sono rimaste hanno perso tutto e sono ancora lontane dal sentirsi libere e tranquille nella loro città. La loro vita non è ripresa come “prima dell’ISIS”. No, le loro case sono state distrutte, le loro famiglie decimate, le razioni di cibo scarseggiano e soprattutto, l’odio, il rancore, il dolore e la vendetta sono concetti marchiati a fuoco nei loro pensieri, e nei loro cuori.

Attraverso le interviste a bambini, adolescenti e donne, il film porta vicino ai loro pensieri, alle loro opinioni, e alle loro storie. Di uomini adulti ne son rimasti ben pochi a Mosul, e gli adolescenti che son rimasti in vita il più delle volte hanno visto i loro familiari morire. Come si può dimenticare facilmente la morte dei propri genitori? La vendetta sembrerebbe l’unica via possibile per trovare un po’ di pace.

Dopotutto è una reazione abbastanza comprensibile, dato che questi bambini sono cresciuti sotto le bombe e accanto a persone armate di fucili e coltelli. Sgozzare apostati e infedeli è stata quotidianità, se non anche un esempio da imitare per qualcuno di loro: i figli delle famiglie dell’ISIS, appunto. 

I registi fanno parlare anche loro, le voci considerate scomode delle famiglie di jihadisti, che vivono in una stigmatizzazione senza precedenti: se vengono segnalati come familiari di un militante dell'Isis, vengono arrestati, e poi trasferiti nelle tendopoli delle famiglie jihadiste. Per quelli che rimangono nelle loro case non manca la marchiatura sullo stipite della porta: ISIS. E questo preclude loro ogni forma di socializzazione con il resto della città, anzi, non escono per la paura di ritorsioni, offese, violenze.

Riuscirà l'Iraq ad accettare i figli dell'Isis come figli propri? E a perdonare le loro madri? E che ne sarà delle anime perdute di tutti questi bambini, del loro destino? Attorno a tutte queste domande si gioca il futuro di un paese come l'Iraq, e insieme, il futuro di un movimento terroristico che rischia di rigenerarsi proprio da quelle radici che l'hanno creato anni fa.

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