SOCIETÀ

L'appello del Papa per Gerusalemme: un messaggio di pace al di là dei conflitti politici

Rabat, Marocco. È nella residenza ufficiale dei sovrani, il Palazzo reale, che Papa Francesco e il Re Re Mohammed VI, il 30 marzo 2019, hanno firmato un appello in cui chiedono che Gerusalemme sia riconosciuta come “patrimonio comune dell'umanità e soprattutto per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica, in cui si coltivano il rispetto reciproco e il dialogo”. Un gesto del genere, oltre a rappresentare un ponte di pace e incontro tra fedi diverse, può far nascere il sospetto di una presa di posizione politica ben determinata contro la decisione di Trump, che nel 2017 aveva riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele, ottenendo molti dissensi da parte dei maggiori capi di stato europei. Nel dicembre 2017, infatti, Trump ha riconosciuto ufficialmente la città di Gerusalemme come capitale di Israele, suscitando malcontento e manifestazioni di dissenso sia a livello popolare, sia internazionale. Nel giugno 2018, inoltre, il presidente degli Stati Uniti ha deciso di spostare l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, nonostante l'ONU avesse chiesto a tutti gli Stati di ritirare le loro ambasciate da lì.

Ma è davvero in contrapposizione a questi eventi che si deve leggere la dichiarazione congiunta del Papa e di Mohammed VI? In fondo, nel documento in questione non si trovano espliciti riferimenti a Gerusalemme come capitale di Israele o a questioni di attualità politica. Che significato ha, quindi? E a chi è rivolto?

Per comprenderlo bisogna partire prima di tutto dal ruolo che Gerusalemme ha avuto nella storia. Ecco perché abbiamo chiesto al professor Stefano Allievi, docente di sociologia e di pluralismo sociale e conflitti culturali all'università di Padova, ai approfondire l'argomento, a cominciare dal significato politico, storico e religioso che appartiene a una realtà complessa come quella di Gerusalemme.

“Viene considerata città santa da tre religioni”, spiega lui. “Prima di tutto per gli ebrei, i quali hanno dovuto allontanarsene quando sono andati in diaspora nell'80 d.c. Distrutta prima, poi amata e desiderata per secoli, e infine ritornata nella loro disponibilità. Per i musulmani, Gerusalemme è stata la prima qibla. Per molto tempo, prima che ci fosse la Mecca, era quindi il luogo verso il quale si rivolgevano per pregare. Per quanto riguarda i cristiani, invece, è lì che si svolge la parte principale della vita di Gesù”

“In diversi momenti della loro storia, le religioni hanno avuto una pretesa esclusiva sui loro luoghi, anziché condivisa, mentre oggi sappiamo che è possibile, volendo, avere un vissuto condiviso anziché divisivo. Certo, i problemi ci sono sempre, ma anche le collaborazioni. D'altronde, le chiavi del santo sepolcro sono in mano ai Musulmani”.

La convivenza tra culti diversi dimostra da un lato l'esistenza di una cacofonia di voci; dall'altra parte, però, può trasformarsi in una sinfonia di celebrazione, condivisione e fratellanza. L'appello di cui si parla in questi giorni è rivolto non ai capi religiosi, ma ai capi politici che controllano gli accessi ai luoghi santi, chiedendo che questi vengano mantenuti reciprocamente liberi. Il fatto che ci siano luoghi che fanno parte della memoria condivisa delle religioni, le quali hanno una storia in comune, confermano c'è una storia di affiliazione progressiva tra queste. “L'auspicio è che tutti i credenti possano godere del nutrimento di tutte le religioni”, commenta il professor Allievi, aggiungendo inoltre che “spesso i conflitti sono dovuti più alla loro somiglianza che alla differenza”.

Ma allora, c'è qualcosa in questa vicenda che ci possa far pensare alla possibilità di una presa di posizione, da parte del Papa e di Mohammed Vi, contro il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele?

“Io credo che sbagliamo a interpretare le scelte di lungo periodo che la Chiesa prende con l'ottica stretta dell'attualità politica. Per cui credo che non possa e che non debba essere letta come risposta a un fatto contingente, perché l'esigenza di riaprire gli accessi ai luoghi santi è ciclica, si è ripetuta in questi anni. Più volte, infatti, la Chiesa è intervenuta a proposito di questo, richiedendo con forza che l'accesso ai luoghi santi venga sempre garantito, legittimato, tutelato e protetto, perché ci sono luoghi che sono santi per tutte le religioni, come la tomba di Abramo”.

La dichiarazione congiunta dei due capi religiosi, allo stesso modo, si concentra sull'importanza di Gerusalemme e sulla necessità di preservarne il valore religioso e spirituale, non prende direttamente posizione riguardo ai conflitti internazionali, né si rivolge ad altri leader religiosi.

“È vero, però, che lo Stato di Israele, come si dice degli stati musulmani, è fortemente influenzato dalla simbolica religiosa, la quale gioca un ruolo molto importante. Per questo il richiamo a Gerusalemme capitale ha un elemento seduttivo che piace agli esponenti più religiosi, ma non a quelli più laici di Israele stesso, che ci sono e che sono molto forti”, aggiunge il professor Allievi. “Quindi c'è anche, evidentemente, in maniera indiretta, una risposta allo Stato di Israele, in cui l'opinione religiosa è estremamente influente e in alcuni momenti anche assolutamente recidiva. Ma certamente, sia Papa Francesco che Mohammed VI sono stati attenti a distinguere i diversi livelli, quello politico e quello religioso. Non è neanche accennato il ruolo di Gerusalemme come capitale politica. E giustamente. Anche perché la scelta è stata accettata sul piano diplomatico internazionale solo da pochissimi stati. Per cui non è ancora un fatto compiuto, è più che altro un tentativo, una spinta verso il fatto compiuto”.

La separazione dei piani, quindi, sembra un elemento centrale per capire a fondo il perché di questa brevissima ma significativa lettera firmata da papa Francesco e Mohammed VI non come re del Marocco, ma in quanto capo dei credenti, discendendo lui dalla famiglia del profeta, e avendo quindi un prestigio internazionale, come fa notare il prof. Allievi. “Sono due capi religiosi di due fedi diverse che si rivolgono educatamente ai leader politici, e non a quelli religiosi, di uno Stato nazionale. Viene da parte di quelle che sono le minoranze di quelle zone e che a giusto titolo fanno sentire la loro voce rispetto a uno Stato, non rispetto a un credo o ai leader di una religione”.

A tale scopo devono essere conservati e promossi il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale e la peculiare identità culturale di Gerusalemme/ Al Qods Acharif Appello per Gerusalemme di Papa Francesco del Re del Marocco Mohammed VI del 30 marzo 2019

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