SOCIETÀ

Storico accordo per le popolazioni afrodiscendenti in una COP16 deludente

Con un giorno di ritardo rispetto a quanto previsto, il 2 novembre scorso a Cali in Colombia si è conclusa la COP16, ovvero la sedicesima Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica. I commenti a caldo sono tutti negativi a causa di un mancato accordo su questioni fondamentali, soprattutto sul fronte dei meccanismi finanziari che dovrebbero mettere a disposizione le risorse per raggiungere gli obiettivi previsti per il 2030.

In questo quadro grigio, c’è però un raggio di sole. Per la prima volta, infatti, viene creato un organo di rappresentanza permanente delle comunità indigene in seno alla Convenzione. Si tratta di un riconoscimento fondamentale che potrebbe avere un ruolo importante nelle questioni che riguardano chi sia titolato ad agire in termini di prospezione e sfruttamento delle risorse in quei territori che le popolazioni indigene rivendicano da sempre e che sono spesso tra quelli più ricche di biodiversità sul pianeta.

Fino a oggi, i documenti ufficiali delle Nazioni Unite si riferivano alle comunità locali principalmente nell’Articolo 8 della Convenzione sulla Diversità Biologica, che riguarda le conoscenze tradizionali. Il nuovo impegno, invece, allarga lo sguardo e fa esplicitamente riferimento alla proprietà, sottolineando che, oltre a valorizzare le conoscenze delle popolazioni locali, dare priorità ai diritti fondiari degli afrodiscendenti è essenziale per raggiungere gli obiettivi globali di biodiversità. In altre parole, senza un coinvolgimento attivo dei popoli indigeni e delle comunità locali e senza una collaborazione con queste comunità non è possibile raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030. 

Il ruolo delle popolazioni afrodiscendenti

Sul fronte del riconoscimento del ruolo delle popolazioni indigene, la COP16 ha voluto sottolineare l’importanza delle popolazioni afrodiscendenti dell’America Latina e dei Caraibi nel mantenimento della biodiversità. Storicamente, le comunità afrodiscendenti hanno svolto un ruolo vitale nella protezione della biodiversità in tutta l'America Latina. E proprio queste comunità sono spesso considerate un ostacolo dalla grande industria agroalimentare che le prende di mira con le loro campagne più aggressive.

Il riconoscimento dei loro diritti fondiari di proprietà è considerato cruciale per salvaguardare alcuni degli ecosistemi più ricchi di biodiversità al mondo e promuovere azioni concrete contro i cambiamenti climatici. L'integrazione dei diritti delle persone afrodiscendenti nelle strategie di conservazione mira a garantire uno sviluppo sostenibile che rispetti i loro contributi e diritti nella gestione di paesaggi biologicamente ricchi. 

I risultati del vertice di Cali vanno nella direzione di facilitare approcci di conservazione su misura che tutelino anche le conoscenze e le pratiche ancestrali dei popoli afrodiscendenti, migliorando così non solo i risultati raggiungibili sul piano ambientale, ma anche quelli sul piano della giustizia sociale.

La proposta

Prima dell’inizio della COP colombiana, sulle pagine di Nature Communications è apparso un articolo intitolato “Proposals of indigenous peoples and local communities from Brazil for multilateral benefit-sharing from digital sequence information”. A proporlo, una rappresentanza di popolazioni indigene e comunità locali brasiliane. Si tratta di una serie eterogenea di realtà che lavora per la tutela della biodiversità e il riconoscimento del ruolo delle conoscenze ancestrali in Brasile. A sostenerle ci sono gruppi di ricercatori e ricercatrici, e anche rappresentanti di diversi ministeri brasiliani. 

Il documento sottolineava la necessità di un riconoscimento internazionale delle popolazioni indigene e delle comunità locali come “titolari di diritti”, in particolare per quanto riguarda i loro diritti al previo consenso informato, alla partecipazione al processo decisionale e all’equa condivisione dei benefici derivanti dallo sfruttamento economico delle conoscenze tradizionali. Uno degli aspetti più importanti è quello che riguarda l’introduzione di misure di governance rigorose per i database pubblici contenenti informazioni sulla sequenza digitale (DSI). Come ha raccontato Belardinelli durante la COP16, si tratta di una novità importante, ovvero l’introduzione di uno strumento internazionale per l’equa redistribuzione dei benefici e dei profitti derivanti dalle informazioni contenute nelle risorse genetiche della natura. Da oggi, accedere a queste risorse richiede la registrazione dell'utente, la documentazione delle interazioni, il rispetto delle leggi sull'accesso del paese di origine e metadati dettagliati sull'origine geografica delle risorse genetiche e delle conoscenze tradizionali associate. Il tutto anche per evitare il rischio della biopirateria.

Rimangono aperte una serie di questioni che riguardano l’implementazione di questo tipo di governance e il tema anche più essenziale delle risorse per poterlo finanziare, ma dagli accordi di Cali qualcosa è uscito. Le aziende che vogliono accedere ai database di DSI dovrebbero versare l’1% dei propri profitti proprio come una sorta di “tassa” per compensare lo sfruttamento delle risorse genetiche e fornire un aiuto finanziario per i paesi meno ricchi proprio per salvaguardare la natura. Si tratta di una serie di meccanismi che sono stati messi sulla carta, ma bisognerà vedere come diventeranno concreti per capire se sono o meno efficaci.

Le reazioni

Commentando il risultato dei negoziati di Cali, June Soomer, di Saint Lucia e presidente del Forum Permanente delle Persone Afrodiscendenti alle Nazioni Unite (OHCHR), ha sottolineato l’importanza della visibilità per le comunità afrodiscendenti: “Ci troviamo nella periferia o nell’invisibilità, ma dobbiamo invece essere al centro dei processi”. Sulla stessa linea anche Esther Ojulari, direttrice del Baobab Center for Innovation in Ethnic-Racial, Gender, and Environmental Justice, un ente nato dai movimenti di popolazioni afrodiscendenti colombiane. Per Ojulari, la decisione “non è solamente una vittoria per la conservazione globale, ma un poderoso passo avanti per la giustizia razziale e i risarcimenti per le popolazioni afrodiscendenti”. La COP16 riconosce così il ruolo delle popolazioni indigene e afrodiscendenti e “costituisce un precedente per le politiche ambientali che onorano la giustizia e l’equità razziale”.

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