SCIENZA E RICERCA

La lezione di Vaia

Sono stati quasi 14 milioni gli alberi che, alla fine di ottobre 2018, sono stati sradicati dalla furia del vento che imperversava sui boschi del Trentino alto Adige, del Veneto e del Fiuli Venezia Giulia. Abeti rossi e bianchi, faggi, le foreste di conifere alpine che vestivano le nostre montagne si mostravano nuovamente nude, ancora una volta dopo le devastazioni dovute alle guerre mondiali. E le montagne, così, mostravano ancora una volta le loro ferite, profonde. “Si tratta di una ferita lenta a rimarginarsi”, sottolinea il professor Giancarlo Dalla Fontana, prorettore vicario dell’università di Padova, e docente nello stesso ateneo di Idrologia e sistemazioni idraulico-forestali. Dopo Vaia gli interventi sono stati tempestivi: cantieri di ripristino e messa in sicurezza di strade, ponti, argini, ma anche consolidamento delle frane, abbattimento degli alberi pericolanti, recupero del prezioso legname. Nonostante questi interventi, la situazione è tutt’altro che risolta, infatti “questa tipologia di problemi e di situazioni tendono a perdurare nel tempo con i loro effetti”, afferma il professore. Infatti fin da subito la comunità scientifica non ha avuto dubbi: ci vorrà almeno un secolo per permettere alle foreste di riprendersi completamente, per restituire alle montagne la loro rigogliosa chioma verde. L’importante è, però, che la lezione che la tempesta ha portato con sé venga compresa. “Da Vaia dovremmo aver imparato molto, ma non abbiamo ancora imparato tutto. Abbiamo imparato che siamo esposti a questi eventi e che probabilmente lo saremo neanche di più in futuro” continua il professore, che sposta l’attenzione sulla prevenzione. Prevenzione significa farsi trovare pronti a fenomeni così potenti, mettendo in campo politiche sul territorio di lungo periodo, spostando l’attenzione sulla programmazione, sulla pianificazione, sulla manutenzione e sulla consapevolezza del capitale umano. Se ci saranno altre Vaia, ci saranno altri danni al territorio e ai boschi, danni che possono essere mitigati con un’attenta e lungimirante prevenzione.

Intervista al prof. Giancarlo Dalla Fontana e a Ester Cason Angelini, riprese e montaggio di Elisa Speronello

Una lezione importante che viene sostenuta anche dalla Fondazione Giovanni Angelini che da trent’anni è in prima fila per tenere alta l’attenzione sulla salute delle montagne. Il professor Dalla Fontana presiede il consiglio scientifico della Fondazione su delega del rettore dell’università di Padova e, insieme ad altri docenti dello stesso ateneo, supporta lo sviluppo dell’attività di disseminazione del sapere, di trasferimento della conoscenze, della crescita dell’attenzione verso la montagna. “La Fondazione Angelini è la nostra finestra sulla montagna” spiega il professor Dalla Fontana, e la considera una vera e propria palestra in cui “le competenze che in università sono molto diffuse e presenti sulla montagna, in termini di ricerca applicata, possono essere veicolate, trasferite, valorizzate”.

In questo 2021 la fondazione spegne le sue prime 30 candeline, e per celebrare questo trentennio di impegno e di studio in campo montano, ha ideato una serie di iniziative che riguardano la montagna a tutto tondo e che hanno l’obiettivo di valorizzare e promuovere l’ambiente. “La Fondazione Angelini è un centro studi sulla montagna, di Belluno, e sui molteplici aspetti della montagna, quindi da quello economico, quello alpinistico, a quello artistico, linguistico, toponomastico, storico, antropologico, e naturalmente geografico e geologico, naturalistico, eccetera eccetera” spiega Ester Cason Angelini, nuora del fondatore e attualmente consigliere delegato della fondazione. La montagna viene considerata come un ambiente unitario, che va studiato, analizzato e fatto conoscere attraverso la formazione culturale di altre persone, in tutti i suoi aspetti. 

 

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