SOCIETÀ

'L'Italia che vorrei' tra mafie e senso civico secondo la giornalista Marilù Mastrogiovanni

È una giornalista salentina Maria Luisa Mastrogiovanni (detta Marilù) che in Salento però oggi ci può tornare solo accompagnata dalla scorta che lo scorso marzo, con l’aggravarsi delle minacce di morte ricevute da lei e dalla sua famiglia, le è stata assegnata dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza di Bari. La sua ‘colpa’ è l’aver messo il naso negli affari delle mafie pugliesi e del Salento disturbando le attività della criminalità organizzata. Giornalista d’inchiesta, semiologa ed esperta di linguaggio di genere, Marilù Mastrogiovanni dal 2003 è alla direzione del mensile d’inchiesta Il Tacco d’Italia (di cui è anche editora) e alla guida del quotidiano online www.iltaccoditalia.info da lei stessa fondato nel 2004. Una carriera in salita la sua, fatta, come per tante giornaliste e giornalisti di oggi, di collaborazioni e precariato a cui si sono aggiunte le minacce e le intimidazioni che dal 2007 l’hanno costretta a vivere sottoposta a misure di protezione per le sue inchieste legate al business dei rifiuti e alle speculazioni edilizie in zone protette e alle infiltrazioni mafiose nei comuni salentini.

Minacce a cui si sono aggiunte negli anni decine di querele da persone vicine alla criminalità organizzata, colletti bianchi, imprenditori ed esponenti politici. Tutte querele archiviate ad eccezione di una per la quale è arrivata dopo nove anni, l’assoluzione in primo e secondo grado. Ma lei è una che non molla e il suo impegno a difesa della libertà di stampa e in particolare delle donne giornaliste e del diritto d'espressione delle donne è stato riconosciuto anche dall’Unesco che, nel gennaio 2019, l'ha nominata componente della giuria del premio mondiale sulla libertà di Stampa 'Guillermo Cano'".

La storia poco nota di Marilù, è la storia di molti altri giornalisti e giornaliste che vivono sotto scorta minacciati a causa del lavoro che fanno.

Ma anche di magistrati, imprenditori e imprenditrici, diplomatici, esponenti della politica, dirigenti dello Stato e molti altri ancora. Secondo i dati del Ministero dell’interno, le misure di protezione assegnate all’1 giugno 2019 sono state in Italia 569, distribuite soprattutto nel Lazio e in Sicilia e, in quello che viene considerato uno dei Paesi europei con il più alto numero di reporter minacciati, 22 di queste hanno coinvolto proprio professionisti e professioniste dell’informazione.

A questa madre, moglie e giornalista ‘scomoda’, brava e determinata che, facendo bene il suo lavoro, ha saputo mettere paura, ricevendo per questo minacce e intimidazione ma anche numerosi riconoscimenti alla carriera, abbiamo chiesto come si immagina il nostro Paese tra 15-20 anni.

Sono sempre di più le persone che oggi alzano la testa contro le ingiustizie, ma sono tante anche quelle che rimangono nel silenzio. L'Italia del futuro sarà coraggiosa o omertosa? 

I bambini e le bambine che nascono oggi,  tra 20 anni, saranno i nostri giovani e dobbiamo immaginare un Paese partendo da loro. Se guardo a questi ultimi 20 anni vedo che per i nostri ragazzi e le nostre ragazze sono stati portati avanti progetti importantissimi a partire dalle scuole: dall’educazione alla legalità, contro le discriminazioni, gli stereotipi, il sessismo, ancora oggi latenti nella nostra cultura e nel nostro linguaggio. I bambini che frequentano le scuole oggi sono un passo avanti rispetto a quello che eravamo noi alla loro età. Hanno un forte senso legalitario, un fortissimo civismo, hanno forte senso dei diritti umani e civili e grande capacità di approcciarsi all’altro sesso in maniera paritaria. Quando immagino il mondo fra 20 anni, metto insieme tutto questo e immagino un'Italia molto più bella, inclusiva, legalitaria.

La battaglia contro la mafia è parte integrante della sua esperienza professionale e umana. Si immagina un futuro in cui la mafia non esisterà più?

La discultura mafiosa è insita nel nostro essere uomini e donne perché è fatta di prevaricazione, di violenza e di voglia di soffocare l’altro (persona, contesto sociale, pubblica amministrazione, comunità..). In questo senso non mi sento di dire che la mafia scomparirà. Abbiamo capito nel tempo che così non è. Falcone diceva che la mafia ha un inizio e una fine perché è una cosa umana, ma proprio per questo, secondo me, tende a perpetuarsi, a sopravvivere modificandosi a seconda del contesto con cui viene a contatto. La mafia è resiliente. Forse è l'organizzazione sociale più resiliente che abbiamo mai potuto studiare. Cambia faccia e pelle perché deve sopravvivere a se stessa e al contesto in cui vive, e in questo modo si perpetua. L’Italia si muove oggi su un doppio binario: quello che raccoglie i cittadini e le cittadine che credono di poter portare avanti una condotta onesta e rispettosa e quello che include tutti quelli che cercano di prevaricare gli altri con ogni mezzo. E questo doppio binario su cui si muovono gli italiani è difficile da scardinare; ma quanto più la mafia si fa strada, quanto più cresce il senso di civismo perché crescono le persone convinte che l’unico modo per combattere la criminalità, sia una condotta irreprensibile, un impegno attivo e civile nella quotidianità.

Parlando di politica. Il nostro è un Paese politicamente disgregato e piuttosto instabile inserito in quel contesto che è l’Europa con cui ha rapporti altalenanti. Si immagina un’inversione di marcia?

Credo che l'Italia sia un Paese eterogeneo, fatto storicamente da un miscuglio di culture, colori e popoli. L’Unità d’Italia è stata dettata da una precisa volontà politica e da una precisa strategia socio economica. Al tempo esistevano tante 'italie' e culture diverse che si sono riconosciute in un progetto politico frutto del grande sogno di un gruppo di giovani che si è sintetizzato nella nostra carta costituzionale. Un sogno che in sé aveva già i semi per far germogliare l’Unione Europea, fondata anche dall’Italia. Il manifesto di Ventotene è stato firmato in Italia, i padri e le madri dell’Europa sono italiani, quindi non posso immaginare un futuro per il nostro Paese al di fuori di una unità italiana e di una unità europea. Immagino una confederazione, immagino un federalismo europeo, un insieme di persone, culture e popoli integrati che si riconoscono in un progetto più grande, unitario, europeo, di pace e antifascista.

Una delle sue grandi battaglie riguarda la libertà di stampa e di espressione e la difesa dei diritti delle donne giornaliste; in Italia, tuttavia, sembra essere ancora lunga la strada per parlare davvero di diritti e uguaglianza (anche in campo giornalistico). Quali sono gli errori da non commettere nel futuro?

Bisogna partire dalla dignità del lavoro. Il primo articolo della nostra Costituzione lo dice, chiama alla responsabilità diretta tutti coloro che partecipano al vivere civile a partire dal proprio lavoro. Anche il garantire e perseguire con forza il diritto alla libertà di stampa deve partire da un atto politico qual è il lavoro e cioè dalla dignità del lavoro giornalistico, che oggi in Italia ancora non esiste per tutti. I grandi giornali nel nostro Paese sono in mano a editori non puri, il cui core business non è l’editoria ma è altro. Questo significa che il lavoro dei giornalisti che vi lavorano dipendono spesso dagli interessi economici. Sono quindi giornalisti  meno liberi, molti dei quali precari, disposti a lavorare sotto ricatto, con contratti miseri. E questa privazione della libertà ricade anche sui lettori, a cui viene tolto il diritto di conoscere la verità riguardo a determinate cose. Ecco perché la libertà di stampa passa, in primis, dalla dignità del lavoro giornalistico.

Sono i giovani il futuro. Quale messaggio vorrebbe lasciare loro? 

Abbiate il coraggio dei vostri sogni. Non lasciate che la forza dei vostri sogni e dei vostri progetti venga spenta da qualcuno o qualcosa lì fuori. Alimentate questa forza e credeteci perché non c’è nulla di più bello e più reale dei nostri sogni.

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