SCIENZA E RICERCA

In Salute. Malattie rare: un problema per 2 milioni di italiani

Circa due milioni di persone in Italia convivono con una malattie rara. Allargando lo sguardo al di fuori del nostro paese si scopre che in Europa le persone a cui è stata formulata una diagnosi di malattia rara sono circa 30 milioni e se ragioniamo a livello globale si arriva a superare i 300 milioni.

Dati alla mano, quindi, circa il 5 della popolazione mondiale è affetto da una malattie rara. Questi numeri possono sembrare sorprendentemente elevati perché l’aggettivo che definisce queste patologie deriva da una prevalenza che non supera la soglia (secondo i criteri europei, leggermente diversi rispetto a quelli statunitensi e a quelli giapponesi) di 1 caso ogni 2000 persone, pari allo 0,05% della popolazione.

Come spiega l'Istituto superiore di sanità, "sebbene ciascuna patologia possa colpire solo pochi individui nel mondo, nell’insieme rappresentato una cifra tale da poter essere il terzo Paese più grande del mondo". Il motivo è che l’elenco delle malattie rare conosciute e diagnosticate è piuttosto lungo e continua a crescere, con il progresso della ricerca scientifica e, in particolare, degli studi nel campo della genetica. Attualmente se ne calcolano tra le 7.000 e le 8.000 (la mancanza di un numero univoco dipende anche dalla disomogeneità dei criteri con cui a livello internazionale una malattia rara viene definita rara) e a queste vanno poi aggiunte le patologie da cui sono affetti i malati rari senza diagnosi che, secondo i dati del National Institutes of Health, rappresentano il 6% popolazione generale dei malati rari.

In alcuni casi la difficoltà di arrivare ad una diagnosi può dipendere proprio dal fatto che ci si trova davanti a nuove malattie finora mai diagnosticate. In altri casi invece ritardi o errori diagnostici possono derivare dall’estrema rarità di alcune di queste patologie (si stima che l’85% delle malattie rare abbia una frequenza inferiore a 1 caso per milione, dunque estremamente più bassa rispetto alla soglia base) o da sintomi che si presentano in modo atipico rispetto a patologie già note. Non di rado infatti una stessa malattia rara può dare luogo a manifestazioni cliniche differenti e questo complica molto il compito dei medici chiamati a formulare una diagnosi, soprattutto quando non si è indirizzati a un centro altamente specializzato.

Oltre il 70% delle malattie rare ha un'origine genetica, molte altre condizioni possono essere acquisite (come nel caso di malattie infettive o autoimmuni) oppure essere determinate da un intreccio di fattori genetici e ambientali. Per altre ancora, infine, la causa è ad oggi ancora sconosciuta. Nella maggioranza dei casi le malattie rare si presentano già alla nascita o durante l'infanzia, come nel caso dell'amiotrofia spinale infantile, della neurofibromatosi, dell'osteogenesi imperfetta, delle condrodisplasie o della sindrome di Rett. Ma ci sono anche patologie rare che si presentano più frequentemente in età adulta, come le amiloidosi cardiache, la sclerosi laterale amiotrofica, la malattia di Huntington, la Charcot-Marie-Tooth o il sarcoma di Kaposi. 

Le malattie rare sono dunque un insieme molto eterogeneo, oltre che numeroso. Si stima siano almeno dieci per ogni distretto corporeo ma non di rado possono riguardare più organi, innescando conseguenze ancora più difficili da gestire. Questo universo complesso, variegato e ancora non del tutto noto ha però diversi tratti in comune, il principale dei quali è la vulnerabilità delle persone colpite che spesso si trovano ad affrontare l'esperienza di un iter diagnostico lungo e faticoso, nel quadro di una malattia che può condurre ad un esito cronico e invalidante e per la quale la disponibilità di cure risolutive è ancora limitata ad un numero esiguo di patologie (sebbene per molte altre esistano trattamenti e terapie in grado di migliorare aspettativa e qualità della vita).

Negli ultimi anni dalla scienza sono arrivate risposte importanti e la tempestività con cui si riesce a riconoscere la presenza di una malattia rara può davvero fare la differenza. Ci sono, ad esempio, forme gravi di atrofia muscolare spinale (Sma) che possono essere tenute efficacemente sotto controllo grazie agli screening neonatali che vengono effettuati prelevando poche gocce di sangue dal tallone del neonato, entro 72 ore dal parto: questa malattia, che colpisce circa 1 neonato ogni 10.000, è la più comune causa genetica di morte infantile, ma scoprirla subito e iniziare le cure ben prima che si manifestino i sintomi può cambiare la storia di vita di un bambino. Attualmente la Sma non rientra nella lista di patologie monitorate grazie agli screening obbligatori programmati a livello nazionale, ma alcune Regioni hanno avviato dei progetti pilota inserendola tra le patologie oggetto di indagine.

Recentemente l'Osservatorio malattie rare è tornato sull'argomento ribadendo la richiesta che gli screening neonatali siano oggetto di un allargamento. Ci sono dieci malattie, spiegano gli esperti, facilmente diagnosticatili e "per le quali si può intervenire efficacemente con terapie farmacologiche, incluse alcune terapie geniche, con il trapianto o una dieta specifica, dando a chi ne è affetto una prospettiva di vita in salute o comunque con un carico di malattia molto più lieve". 

Il 23 e 24 febbraio, alla vigilia del Rare Disease Day che si celebra il 28 febbraio, Padova ha ospitato gli Stati generali delle Malattie rare: un convegno in chiave internazionale dove si è sottolineato il ruolo delle 24 Reti di riferimento europee, volute dalla Commissione per favorire la condivisione di protocolli e conoscenze. Data l'impossibilità di crearne una specifica per ognuna delle migliaia di malattie rare conosciute, le ERN (European Rare Disease Network) sono state organizzate per gruppi di patologie e l'Azienda ospedaliera di Padova partecipa in 22 delle 24 reti, il numero più ampio per una singola realtà.

E' nel contesto del convegno che abbiamo intervistato Paola Facchin, responsabile Coordinamento Malattie rare del Veneto e professoressa associata di Pediatria all'università di Padova, per un ragionamento sui temi dell'assistenza ai malati e alle loro famiglie, ma anche per una valutazione di quali siano le prospettive più interessanti dal punto di vista dello sviluppo di nuove terapie. E poi un commento sul Piano nazionale malattie rare 2023-2025 il cui testo finale è stato approvato proprio alla vigilia degli Stati generali. "E' essenziale perché la legge definiva dei principi, ma poi bisogna che la realtà funzioni in base a quei principi. Adesso occorre però che sia anche finanziato".

Intervista a Paola Facchin, responsabile del coordinamento Malattie rare Regione del Veneto. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

In Veneto circa 44-45 mila malati rari residenti

"Le malattie rare sono definite tali per la loro bassa frequenza, stabilita da normative che sono diverse nel mondo. Partendo da questa frequenza è stato individuato un numero sempre crescente di malattie. Il motivo è che ne vengono scoperte di nuove man mano che aumentano le conoscenze del genoma e poi perché di alcune malattie, che prima erano classificate come un unicum, si scoprono delle condizioni sia genetiche, che fenotipiche ma anche di risposta ai farmaci, che le portano ad essere ripartite in tipologie differenti", introduce la professoressa Paola Facchin.

Le persone con una malattia rara residenti in Veneto sono circa 44-45 mila. "Significa un po’ meno di 1 persona ogni 100 abitanti. Non sono quindi così rari, sono abbastanza frequenti, tutti messi insieme. E’ che si suddividono in una grande varietà di sottoforme", osserva Franchin.

Assistenza: serve un modello che risponda anche ai problemi complessi e meno frequenti

Patologie a bassa o bassissima prevalenza sono presenti in tutte le specialità della medicina e questo implica anche bisogni di assistenza che andrebbero ritagliati su misura del paziente. "Alcune sono infettive, altre polmonari, altre metaboliche o a livello dell'apparato osteo-muscolare e così via. La conseguenza è che la programmazione dell'assistenza e la sua organizzazione faticano a rispondere a problemi meno frequenti e più complessi ma di grande impatto come quelli posti delle malattie rare", osserva la professoressa Franchin.

La tendenza a creare un'offerta standardizzata, solitamente impostata sulla base delle patologie croniche più comuni e diffuse, rischia quindi di lasciare senza risposte i malati rari e i loro famigliari. "Questo è uno dei punti centrali contro cui si scontrano i diritti delle persone", commenta la responsabile del Coordinamento Malattie rare del Veneto .

Trattamenti e possibilità terapeutiche 

La ricerca sulle malattie rare va avanti e in alcuni casi è arrivata a fornire delle risposte impensabili fino a pochi anni fa. La percentuale delle patologie rare oggi note per le quali si è arrivati a una cura definitiva sono ancora basse, ma gli esperti concordano sul fatto che la strada della terapia genica sia ormai tracciata. Il meccanismo è quello di fornire all’organismo una copia corretta del gene difettoso o un altro gene che possa compensarne il malfunzionamento nelle cellule colpite dalla malattia. La prima malattia rara trattata e curata con una terapia genica a base di cellule staminali è stata l’ADA-SCID (immunodeficienza combinata da deficit di adenosina deaminasi), ma con il crescere delle conoscenze delle malattie rare e dei meccanismi che le sostengono le possibilità di applicazione stanno aumentando.

"Questo trattamenti sono un’apertura per il futuro e sono molto rilevanti perché prospettano l'idea di una guarigione. Però attualmente interessano meno del 3% delle persone con malattia rara", puntualizza la professoressa Facchin. 

"Nell'ambito delle frontiere offerte dalle manipolazioni geniche le tecnologie sono molte, dalle Car-T ai crossover. E poi tutta la parte degli anticorpi monoclonali, l’utilizzo come se fosse una fabbrica di batteri modificati affinché producano delle sostanze che l’organismo, a causa del difetto genetico, non produce: i sostitutori enzimatici, ad esempio, o i fattori ricombinanti.

Un altro filone molto importante è quello relativo ai passaggi dei comparti: il nostro organismo è suddiviso in comparti e alcuni sono molto protetti come la barriera ematoencefalica. Molecole che funzionano nel soma generale non arrivano al cervello e magari il danno è proprio lì. Ci sono quindi delle molecole che permettono di penetrare comparti dell’organismo, nella cellula o nella struttura della cellula", approfondisce Paola Facchin.

Molte di queste prospettive hanno come bersagli ideali i tumori (secondo gli studi più recenti le neoplasie rare rappresentano il 24 per cento di tutti i nuovi casi di tumore) ma spesso i traguardi a cui giunge la ricerca possono estendersi anche ad altre patologie. "Pensiamo alle nanoprotesi e alle nanotecnologie. C’è tutto un comparto di ricerca, non solo farmacologica, che può partire dai malati rari per lo sviluppo di prototipi ma che può essere estesa, se si arriva a un risultato, anche a una platea molto più grande di persone. Da questo punto di vista le malattie rare sono dei modelli sperimentali naturali", osserva l'esperta. Insomma, il ritorno che si può avere investendo sulle terapie e sui trattamenti per le malattie può estendersi a numerose altre circostanze e condizioni.  

E sebbene per il momento solo per poche malattie rare sia stata individuata una cura definitiva per molte altre è comunque possibile ridurre significativamente i sintomi, rallentare la progressione della patologia e migliorare aspettativa e qualità della vita del paziente. "Esistono trattamenti, anche articolati, che riguardano i sintomi, le comorbidità, le funzioni dell'organismo e che sono indispensabili per la loro sopravvivenza. Il problema non è solo garantire l’accesso a terapie innovative, ma assicurare la possibilità di essere inseriti in una dimensione di assistenza, anche non farmacologica, che comprenda prodotti dietetici, presidi, protesi, ausili. E' l'insieme di tutto questo a permettere una sopravvivenza più lunga e migliore".

L'iter diagnostico

Il primo scoglio rimane comunque quello di una diagnosi corretta e il più possibile tempestiva. E invece prima che una malattia rara venga identificata in modo appropriato trascorrono in media cinque anni. Un tempo enorme che limita fortemente la possibilità di arginare la progressione di una patologia. "Ci sono delle volte in cui la diagnosi è proprio difficile. Magari perché c’è un fenotipo diverso rispetto a quello che ci si aspetta. Le malattie rare non solo solo migliaia ma all’interno di quella forma possono avere fenotipi molto diversi. A volte la difficoltà di comprensione può dipendere da una malattia non ancora codificata. In altri casi il paziente si ferma nel posto dove non c’è la competenza per capire. E’ questo l'aspetto su cui possiamo intervenire. Il numero di persone che gira inutilmente e aspetta tanti anni sconta il fatto di non essere stato indirizzato verso il posto giusto".

"La rete di cura, su questo insistono le nuove norme, deve interessare un intero grande territorio, una regione o un gruppo di regioni messe insieme. Il punto di partenza sono le strutture di base (medici di famiglia, pediatri, ma anche ospedali e specialisti) e nel sospetto è fondamentale inviare il paziente ai centri di riferimento dove tutta la procedura diagnostica, anche se non si conclude con una conferma, è gratuita e dove le persone possono avere subito la certificazione di malattia ed entrare in questo circuito", spiega Facchin.

Il Piano nazionale malattie rare

Le malattie rare, come abbiamo visto, riguardano un numero considerevole di persone e negli ultimi anni l'attenzione della politica è cresciuta. Nel 2021 è stato approvato il Testo unico, volto a garantire sull’intero territorio nazionale l’uniformità della presa in carico diagnostica, terapeutica e assistenziale dei malati rari e disciplinare in modo sistematico ed organico gli interventi dedicati al sostegno della ricerca, sia sulle malattie rare sia sui farmaci orfani. La stessa legge prevedeva anche la predisposizione di un Piano nazionale che è stato approvato il 22 febbraio di quest'anno. 

"Il Piano nazionale è essenziale perché la legge definiva dei principi ma poi bisogna che la realtà funzioni in base a quei principi. Il Piano ma molti aspetti positivi e lo stesso vale per il decreto di riordino della rete anche perché chiarisce finalmente in maniera inequivocabile chi fa cosa, come e quando e qual è il percorso del malato. Bisogna però fare quelle cose. Il Piano è stato approvato ma deve essere anche finanziato", conclude Paola Facchin.

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