SOCIETÀ

Mortalità materna, di parto si muore ancora

Partiamo da uno studio recente che riguarda il nostro Paese e indaga il rapporto di mortalità materna (Maternal mortality ratio, Mmr, ovvero l’indicatore che rappresenta la probabilità di una donna di morire a causa di una gravidanza), identificando l’approccio più adatto per classificare le cause di morte in dieci regioni italiane. L’articolo Maternal mortality in Italy: results and perspectives of record-linkage analysis è stato pubblicato nel giugno scorso sulla rivista Acta obstetricia et gynecologica scandinavica dal gruppo di lavoro Iss (Istituto superiore di sanità) sulla mortalità materna e si inserisce nel sistema di sorveglianza ostetrica Itoss (Italian obstetric surveillance system) a cui, recentemente, ha aderito anche il Veneto, e più in generale negli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che, tra 2016 e 2030, punta a ridurre il tasso di mortalità materna globale a meno di 70 ogni 100.000 nati vivi. Lo studio italiano analizza i dati relativi al periodo 2006-2012, nelle dieci regioni che coprono il 77% delle nascite nazionali, rilevando "un totale di 277 decessi materni entro 42 giorni dalla gravidanza: 149 diretti, 102 indiretti e 26 non classificati, con conseguente Mmr di 9,18 per 100.000 nati vivi". In Europa la mortalità materna è diminuita drasticamente dal 1930 fino agli anni Ottanta quando ha raggiunto valori stazionari. Tuttavia, benché la mortalità e la morbosità materna grave correlate a gravidanza, travaglio e parto siano eventi sempre più rari nei Paesi socialmente avanzati, non possono essere considerate un problema superato. La mortalità materna esiste ancora e anche in Italia, “ci sono gravidanze ad alto rischio, per gemellarità, obesità o per patologie come la placenta previa. L’obiettivo è quello di ridurre ulteriormente il rischio”, commenta il presidente del corso di laurea in Ostetricia dell’università di Padova, Erich Cosmi (dipartimento di Salute della donna e del bambino). Come? “Continuando a investire nei controlli delle sale parto, nella formazione degli operatori, nell'aggiornamento teorico e pratico. Bisogna puntare sempre ad alzare gli standard qualitativi, inserire ulteriori protocolli ed essere in grado di gestire qualsiasi emergenza ostetrica. Stiamo lavorando in questo senso da anni, con impegno e costanza”.

Il tasso di mortalità materna nei Paesi in via di sviluppo nel 2015 è di 239 per 100.000 nati vivi contro i 12 per 100.000 nati vivi nei Paesi sviluppati. Sull'argomento è tornato recentemente anche The Guardian con un articolo, firmato da Liz Ford, che parte da una domanda dichiarata già nel titolo: Why do women still die giving birth?. È stato stimato che nel 2015, nel mondo, circa 303.000 donne sono morte durante e dopo la gravidanza e il parto. Ogni giorno, circa 830 donne muoiono per cause prevenibili legate alla gravidanza e al parto, il 99% delle morti materne si verificano nei paesi in via di sviluppo, oltre la metà di questi decessi si verificano nell'Africa sub-sahariana. Vi sono grandi disparità tra i Paesi, ma anche all'interno dei Paesi stessi, e tra le donne con reddito elevato e basso e quelle che vivono in aree rurali rispetto a quelle urbane. Si muore per sanguinamento grave e infezioni dopo il parto, ipertensione arteriosa durante la gravidanza (pre-eclampsia ed eclampsia), aborti in condizioni igienico-sanitarie precarie e, dunque, pericolose. Nelle aree più povere e fragili il rischio aumenta in maniera esponenziale perché risulta più difficile ricevere un’adeguata assistenza sanitaria.

Tutelare e migliorare la salute materna è una delle priorità chiave dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che lavora per contribuire alla riduzione della mortalità materna aumentando le prove della ricerca, fornendo una guida clinica e programmatica basata sull'evidenza, stabilendo standard globali e fornendo supporto tecnico agli Stati membri. Inoltre, l'Oms sostiene la necessità di trattamenti più accessibili ed efficaci, progetta materiali di formazione e linee guida per gli operatori sanitari e supporta i paesi nell'attuazione di politiche e programmi e nel monitoraggio dei progressi. Durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite del 2015, a New York, è stata lanciata la Strategia globale per la salute delle donne, dei bambini e degli adolescenti, 2016-2030 per porre fine alla mortalità materna prevenibile, ponendo tra gli obiettivi il superamento delle disuguaglianze nell'accesso e nella qualità dei servizi di assistenza sanitaria riproduttiva, materna e neonatale, la garanzia della copertura sanitaria universale e l’approfondimento delle cause della mortalità materna (con le patologie riproduttive e materne e relative disabilità). Risulta utile ritornare anche sui dati forniti dall'articolo pubblicato su The Lancet nel 2015 che, oltre a fare il punto sui livelli globali, regionali e nazionali della mortalità materna tra il 1990 e il 2015, forniva anche una proiezione relativa agli scenari al 2030 con relativi obiettivi. In questo senso, in un quadro di tutela e miglioramento delle condizioni di salute materna, si muove da tempo il programma internazionale di Medici con l’Africa Cuamm che, attraverso il progetto Prima le mamme e i bambini, accompagna mamme e figli nei primi mille giorni, ovvero nel periodo che va dall'inizio della gravidanza fino ai due anni di vita del bambino, e favorisce l’accesso gratuito al parto sicuro e alla cura del neonato che coinvolge sette Paesi dell'Africa sub-sahariana, dieci ospedali e i loro distretti di riferimento e che, come obiettivo 2017-2021, punta a garantire 320.000 parti assistiti in cinque anni.

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