SOCIETÀ

Nazionalismo, muri e globalizzazione: qual è la situazione in Europa?

Pawel Adamowicz, il sindaco di Danzica pugnalato da un 27enne davanti a centinaia di testimoni, raggruppati per un evento pubblico, a seguito della sua morte è balzato agli onori della cronaca come il sindaco pro-migranti e pro-Lgbtq. L’assassino ha dichiarato di averlo ucciso per una vendetta personale contro Piattaforma civica, partito polacco a cui Adamowicz apparteneva quando questo era al governo nel 2014, anno in cui il giovane venne incarcerato per rapina.

Il timore diffusosi, a seguito di questo atto, in un contesto politico internazionale particolarmente complesso, è quello che – a un secolo di distanza dagli eventi politici del 1919 – alcuni malumori popolari sfocino in una recrudescenza di atti estremi e violenti e di principi politici improntati al nazionalismo. Il periodo storico che stiamo vivendo sembra tendere verso un ritorno al classico amor patrio, che coesiste con un mondo in continua espansione. Da una parte sembra che i confini non siano mai stati più labili: il multiculturalismo è presente più che mai nelle grandi città, dall’altra si ergono muri: si tende a proteggersi da quella che viene percepita come un’invasione o, se non altro, come un’integrazione forzata calata dall’alto.

Ha senso, oggi, parlare di nazioni? Lo abbiamo domandato allo storico italiano Antonio Varsori, esperto di relazioni internazionali e integrazione europea, professore ordinario all’università di Padova: “Il concetto di nazione è profondamente radicato e legato alla nascita dello Stato. Se pensiamo allo stesso sorgere degli Stati nazionali, tra la fine del Medioevo e gli inizi dell’età moderna, capiamo come in ambito europeo – e non solo, perché è un concetto che si diffonde a livello mondiale, anche se con diverse modalità – sia un elemento fondamentale nelle relazioni internazionali e nella storia in generale. Certamente tutto può essere messo in discussione, ma si tratta di una realtà concreta, che abbiamo di fronte a noi nella sua importanza”.

Liberazione nazionale e supremazia

Il Nazionalismo, che etimologicamente deriva dal concetto sopraccitato di nazione, è un’estremizzazione di esso: si tratta dell’insieme di dottrine e movimenti che attribuiscono un ruolo valoriale centrale all’idea di nazione e delle identità nazionali. Storicamente si è manifestato in due forme, come ideologia di liberazione delle nazioni oppresse e come ideologia di supremazia di una nazione sulle altre. Possiamo quindi parlare di spinte negative e positive, che vengono racchiuse in un termine piuttosto “vago e indefinito” usando le parole dello stesso Varsori:

Alle origini di esso c’è una forma di identità nazionale, il cui presupposto è un gruppo di individui che si riconosca in alcuni concetti, valori e tradizioni da loro ritenuti comuni. L’identità nazionale ha delle radici, pensiamo al caso italiano: se nell’800 non si fosse sviluppato e diffuso questo concetto, anche se circoscritto alle élites colte, noi non avremmo avuto un processo di unificazione nazionale. Questo conduce a delle forme di patriottismo cioè all’amore nei confronti della nostra patria e verso chi, come noi, ne condivide la storia. Così comprendiamo il significato di nazionalismo come lotta all’oppressore, come fu durante il Risorgimento. Molti popoli hanno lottato per avere le proprie libertà, affermazione e indipendenza. È il caso di quelli soggetti a dominio coloniale: il processo di decolonizzazione è stato un grande processo di liberazione nazionale. Negli anni ’50 consideravamo movimenti di liberazione nazionali quelli che lottavano per la liberazione dell’Angola e del Mozambico dalla dominazione portoghese.”.

Esiste questa realtà: se c’è qualcuno che mi opprime, che io non riconosco come facente parte della mia identità e della mia storia, in qualche modo cerco di liberarmene Antonio Varsori

"Questi fatti si sono ripetuti diverse volte nella storia e possono anche dare origine a fenomeni violenti nell’affermazione della propria identità. Abbiamo assistito negli ultimi decenni alla lotta degli irlandesi cattolici contro la posizione britannica, alla lotta dei paesi Baschi, il caso dell’ex Jugoslavia. Abbiamo tutta una serie di recenti avvenimenti di questo tipo, perché è un fenomeno che è sempre esistito. Così sarà anche nel futuro, finché ci sarà una convinzione dell’esistenza di una identità da affermare e preservare. Può esserci uno sviluppo verso l’esterno: un passaggio da una forma di patriottismo a una forma di nazionalismo. L’affermazione della mia identità, anche contro quella degli altri, come supremazia che porta a delle conseguenze negative, alle quali, purtroppo, l’Europa ha già assistito in passato”.

Il confine tra patriottismo e nazionalismo è molto labile, il pericolo è quando lo si supera Antonio Varsori

C’è il rischio di una degenerazione di questo tipo conseguentemente ai contemporanei sviluppi storici, economici e politici? “Ci sono stati degli episodi negativi – continua Varsori – ma ritengo che, tutto sommato, siano semplicemente questo: non vedo una minaccia così forte paragonabile a quella che si manifestò nell’Europa degli anni ’30. Ci sono dei fenomeni preoccupanti, questo non si può negare. Però è bene non confondere fenomeni che vengono definiti come populisti e sovranisti e altri fenomeni, perché sono gli uni diversi dagli altri nelle loro caratteristiche. Fare di tutta l’erba un fascio è abbastanza pericoloso: l’analisi della storia si fa anche trovando le peculiarità e le differenze.  Possono esserci sentimenti di affermazione della propria identità nazionale con atteggiamento razzista, ma anche reazioni di protezione contro la distruzione della propria identità nazionale. Sono risposte agli aspetti negativi della globalizzazione, che poi trovano espressione in fenomeni definiti, in alcuni casi, di populismo, ma che in realtà hanno caratteri, motivazioni e possibilità di svilupparsi in modi totalmente differenti fra loro”.

Senso della nazione

In realtà, come ci spiega l’esperto, sarebbe meglio parlare di senso della nazione, perché la parola nazionalismo ha già in sé un’accezione negativa. Racchiude un’idea di supremazia sugli altri, in relazione a quanto avvenuto in Europa nel '900. Il senso di appartenenza a una nazione, invece, è diverso: tutti noi apparteniamo a qualche cosa. Per esempio: siamo parte della nostra famiglia, nel bene e nel male, poi facciamo parte di una realtà locale, una nazionale e una globale: “Alcune realtà ci appartengono per forza di cose in modo più preciso, in questo io non vedo niente di negativo, perché altrimenti saremmo degli esseri senza identità”.

“Ci sono degli stati forti nel panorama delle relazioni internazionali, come Cina, India, Russia o gli Usa che ragionano ancora sulla base di una logica di difesa degli interessi nazionali. Se voglio analizzare la realtà esistente, devo essere consapevole che questa è fatta di Stati e dei loro rapporti. Ogni stato difende i propri interessi nazionali, la questione di fondo è come questi vengono difesi: scontrandosi con delle guerre oppure partendo dal presupposto che sì, gli interessi sono diversi, ma c’è la possibilità di parlarsi e raggiungere un compromesso, in modo che ognuno abbia un minimo di vantaggio”.

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