SOCIETÀ

Il "mal di nazione", passione che divide

Memoria comune e sguardo rivolto al futuro. Queste le basi su cui fondare un’identità europea condivisa. A partire da un “progetto politico aperto, i cui prevedibili risultati siano moralmente e politicamente difendibili e offrano risposte efficaci ai problemi dell’agenda globale: la costruzione istituzionale di un’unione federale in cui l’unità si rafforza mediante la valorizzazione delle diversità”. Le condizioni, insomma, per un disegno europeo moderno, pronto ad accogliere una cultura plurale. Un’Europa davvero “unita nella sua diversità”, per usare le parole di Thomas Eliot.

Se questo è l'obiettivo, nella realtà però siamo di fronte a un vero e proprio percorso a ostacoli, perché il riconoscimento di identità plurime entro una singola entità politica sopranazionale può costituire un fattore destabilizzante e impedire la costituzione stessa di un progetto comune. Parte da qui "Mal di nazione" (Egea, 2013), il libro di Alberto Martinelli, professore emerito di Scienza politica e sociologia all’università di Milano, nell’introdurre e analizzare cause e possibili effetti del nazional-populismo contemporaneo, attualmente la più pericolosa minaccia alla costituzione degli Stati Uniti d’Europa. Giocando sull’analogia con il mal d’amore, passione che logora.

“Partiti e movimenti nazional-populisti sono in crescita in diversi paesi dell’Unione europea – scrive Martinelli – e atteggiamenti antieuropeisti si diffondono tra intellettuali e leader politici di diverso orientamento che affermano che lo stato nazionale è la sola istituzione reale a fronte delle utopie sopranazionali”. Se è storicamente vero che il nazionalismo ha portato alla fondazione dei moderni stati-nazione, è altrettanto vero che ha, successivamente, alimentato pregiudizi e conflitti.

Dalla sua nascita, fissata simbolicamente nel 1789 con la rivoluzione francese, Martinelli segue l’irresistibile ascesa del nazionalismo tra Ottocento e prima metà del Novecento, constatando la sua degenerazione in regimi autoritari e totalitari e soffermandosi sul preludio alle due guerre mondiali. È l’apogeo della ‘tradizione’, accompagnata da tutto il suo bagaglio di simboli e linguaggi, e, al tempo stesso, il momento delle “tradizioni nuove per garantire la coesione sociale”: tutti segni distintivi in epoche di grandi cambiamenti. Il nazionalismo attraversa i grandi movimenti di decolonizzazione in Africa e Asia per riemergere, prepotentemente, anche in Europa alla fine del XX secolo, quando mostra la sua duplice matrice. Quella che trova, appunto, la sua fonte nella rivoluzione francese e guarda alla nazione come “una solidarietà su vasta scala che presuppone un comune passato eroico, grandi leader, autentica gloria e anche un oblio collettivo delle precedenti identità divisive, e caratterizzata al presente dal consenso, dal desiderio chiaramente espresso di continuare la convivenza come membri di una stessa comunità”. E una seconda natura, che guarda al romanticismo tedesco di Herder e Schlegel “ponendo l’accento sul significato culturale e linguistico della nazione”, puntando su un’unità fondata sulla storia, il linguaggio, l’arte, la scienza, da difendere dagli attacchi dell’assimilazione culturale.

Rivendicazioni identitarie che dividono il mondo in ‘noi’ e ‘loro’, ‘amici’ e ‘nemici’, o rivendicazioni legate al ‘tempo’ e alla necessità di diffondere la versione ‘autentica’ della storia nazionale, stabilendo un collegamento denso di significati con il passato in cui riconoscersi. Infine, rivendicazioni legate allo ‘spazio’ che fanno riferimento a un legame inestricabile tra nazione e territorio, forza modellatrice del carattere nazionale. Questi, in sintesi, i tre gruppi fondamentali a cui fa riferimento lo studioso turco Umut Ozkirimli, e ai quali ricorre lo stesso Martinelli, per definire la natura ambivalente del nazionalismo.

Ma nell’epoca della globalizzazione qual è il destino del nazionalismo? “Studiosi come McNeill, Hobsbawm, Bhabha ritengono che l’età delle nazioni sia giunta alla fine per il duplice impatto della globalizzazione economica e dell’ibridazione delle culture, mentre altri, come Breuilly, Smith, Grosby, Calhoun affermano che le nazioni e il nazionalismo mantengono la loro forza. Altri ancora, come Habermas, sostengono che il mondo degli stati nazionali culturalmente omogenei viene gradualmente sostituito da forme politico-economiche di integrazione sopranazionale”. Martinelli riconosce le trasformazioni profonde del mondo contemporaneo ma è cauto, convinto che “il nazionalismo continui a suscitare forti sentimenti di appartenenza e solidarietà collettiva grazie alla sua natura di mito più che di ideologia”. E aggiunge: “I processi di globalizzazione, e le relazioni che hanno suscitato, hanno indotto alcuni studiosi a prevedere l’evaporazione o la scomparsa dello stato nazionale e, dato lo stretto rapporto esistente, anche delle ideologie nazionaliste. Si è trattato di un de profundis affrettato”. 

Da Front National (di Jean Marie e Marine Le Pen, con la suo condanna del mondialismo, la nuova schiavitù, e dei capi della finanza internazionale) e Mouvement national republicaine in Francia allo United Kingdom Indipendent Party (Ukip) nel Regno Unito, passando per il Partito dei veri finlandesi e il Partito popolare danese, l’Unione civica ungherese (Fidesz) o Interesse fiammingo (Vlaams Belang) in Belgio – solo per citarne alcuni – i partiti e i movimenti nazional-populisti sono una realtà in crescita nei paesi membri dell’Unione europea.

La vera alternativa al nazionalismo? Non il cosmopolitismo, bensì il federalismo. Fenomeno politico moderno (nato con gli Stati Uniti d’America) rivelatosi capace di conciliare la necessità delle comunità politiche di unirsi per conseguire obiettivi comuni con il bisogno di mantenere la propria identità: sono “le grandi unioni federali multietniche e multiculturali, l’organizzazione politica più adatta al presente”. Un patto politico e, al tempo stesso, un insieme di valori in cui ritrovare fiducia reciproca, eguaglianza di diritti e doveri per l’unità delle parti e la conservazione delle singole autonomie. Rifiutando l’egoismo nazionalista, guardando ai modelli di federalismo reali come quello americano e quello tedesco (“da non applicare acriticamente ma da integrare in uno schema innovativo”) e sviluppando, dettaglio imprescindibile, un sentimento di appartenenza alla comunità di cittadini europei. Solo così sarà possibile mettere le basi per la costruzione dell’Europa federale.

Francesca Boccaletto

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