SCIENZA E RICERCA

Neuroni perfettamente preservati nel cervello vetrificato di una vittima di Ercolano

Quando lo avevamo intervistato a febbraio, in occasione della pubblicazione dello studio sul ritrovamento di un cervello vetrificato all’interno del Parco archeologico di Ercolano, il professor Pier Paolo Petrone, direttore del laboratorio di Osteobiologia umana e antropologia forense dell’università Federico II di Napoli, ci aveva annunciato che quella scoperta avrebbe aperto la strada a successivi risultati straordinari. Già allora la presenza dei resti vetrificati, appartenenti al custode del Collegio degli Augustali, colto nel sonno dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. aveva suscitato grande interesse perché il rinvenimento di tessuti cerebrali in ambito archeologico è un evento particolarmente raro e il fenomeno della vetrificazione non si era verificato in nessuna delle altre vittime di Pompei, Ercolano e Stabia.

Lo studio era stato pubblicato sul New England Journal of Medicine e aveva approfondito le condizioni di temperatura raggiunte all’interno del Collegio degli Augustali e il processo di rapido abbassamento termico che, determinando la vetrificazione del cervello del custode, ne aveva preservato i tessuti molli, permettendo di conservare a distanza di quasi duemila anni enzimi e acidi grassi.

In questi giorni la ricerca multidisciplinare condotta dall’università Federico II di Napoli insieme a CEINGE-Biotecnologie Avanzate, università Roma Tre, Statale di Milano e CNR, ha portato a scoprire, utilizzando la microscopia elettronica a scansione e strumenti avanzati di elaborazione delle immagini, che in quel cervello vetrificato sono presenti anche neuroni perfettamente preservati e lo stesso è accaduto per il midollo spinale. I risultati di questo nuovo studio sono stati appena pubblicati sulla rivista Plos One e sono di estrema importanza sia perché permettono di avere informazioni uniche sulle strutture cellulari di un cervello umano così antico, sia perché offrono indicazioni strategiche in un’ottica di gestione del rischio vulcanico.

"Ancora una volta Ercolano si è dimostrata un sito eccezionale dal punto di vista della biologia, dell’archeologia, dell’antropologia fisica e forense, ma anche sotto il profilo vulcanologico", ha spiegato Pier Paolo Petrone, responsabile del laboratorio di Osteobiologia umana e antropologia forense presso la sezione dipartimentale di Medicina legale dell’università Federico II di Napoli. E adesso le attese sono ancora molte perché "adesso si apre una nuova fase che è ad un livello del tutto iniziale. E' come vedere la punta di un iceberg sapendo che tutto il resto è sotto e va indagato sotto diversi punti di vista". 

Il professor Pier Paolo Petrone, dell’Università di Napoli Federico II, parla della ricerca che ha portato alla scoperta di neuroni perfettamente preservati nel cervello vetrificato di una vittima del Vesuvio. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Nell’articolo pubblicato in questi giorni su Plos One - introduce il professor Pier Paolo Petrone, dell'università Federico II di Napoli - abbiamo riportato i risultati di questa nuova ricerca sul cervello vetrificato che era stato rinvenuto un paio di anni fa durante le indagini che ho condotto presso il Parco archeologico di Ercolano. Nel 2018 era stata fatta una prima scoperta eccezionale: all’interno del cranio dell’ultima vittima ancora presente sullo scavo di Ercolano, individuata nei primi anni ’60 dal direttore dell’epoca Amedeo Maiuri, che è stato geniale perché ha preservato questo corpo lasciandolo integro nel suo letto e musealizzando il ritrovamento, il cervello si era vetrificato e questa era una novità assoluta, non solo in ambito archeologico, in quanto mai prima di allora era stato rinvenuto tessuto biologico umano vetrificato. In archeologia la vetrificazione è un processo noto, ma riguarda essenzialmente i legni. Viene utilizzato in clinica per lo studio delle strutture biologiche e delle cellule, sia umane che animali, perché attraverso il rapido raffreddamento di un tessuto si ottiene questo materiale vetrificato che un domani può essere riscaldato per ottenere di nuovo i tessuti intatti. Precedentemente veniva utilizzato il metodo del congelamento che però porta alla rottura delle strutture a causa della formazione di cristalli di ghiaccio. Un problema che con la vetrificazione non accade e questo consente alle strutture cellulari di mantenersi nel tempo completamente intatte"

L'evento eruttivo del 79 d.C. costò la vita a migliaia di abitanti che si trovavano nel raggio di 20 chilometri dal Vesuvio. Una morte istantanea a causa dello shock termico che vaporizzò sangue e tessuti e provocò la frattura delle ossa e della scatola cranica. Le condizioni per la vetrificazione non si sono però verificate in nessuna delle altre vittime. "A Ercolano questo processo si è verificato per effetto del tutto casuale e naturale dell’eruzione - spiega Petrone - ed è accaduto solo in quella vittima perché quelle trovate sull’antica spiaggia, quelle scoperte a Pompei o a Oplonti non hanno mai dato luogo a questo tipo di processo. Si tratta quindi di un caso unico a cui adesso si unisce un’altra circostranza eccezionale rappresentata dal fatto che all’interno di questo materiale abbbiamo trovato un intero sistema nervoso centrale umano. Tra l’altro - aggiunge il direttore del laboratorio di Osteobiologia umana e antropologia forense dell’università Federico II di Napoli - siamo riusciti a raggiungere questo risultato nonostante le limitazioni legate all’emergenza Covid: abbiamo lavorato collegandoci da casa con il tecnico del gruppo di ricerca del professor Guido Giordano, dell’università Roma Tre, che era al microscopio elettronico e che seguiva le nostre indicazioni a distanza. L’aspetto incredibile è che siamo riusciti a mettere in evidenza cellule neuronali, assoni e le guaine mieliniche, indagando queste immagini anche con il supporto di filtri matematici che ci hanno consentito di vedere dettagli che altrimenti sarebbe stato molto complesso cogliere. Con il Sem, microscopio elettronico a scansione, per ottenere un dettaglio molto specifico bisogna metallizzare il campione, ma se lo avessimo fatto lo avremmo bloccato e non avremmo più potuto utilizzarlo per altri tipi di analisi. Un altro elemento di rilievo è che questo sistema neuronale non lo abbiamo trovato solo nel cervello, ma anche in un frammento di midollo spinale che avevo campionato nel 2006 quando però non c’era ancora la possibilità di effettuare il tipo di analisi che abbiamo fatto in seguito".

Le indagini sui resti delle vittime dell’eruzione non si fermano qui: l'approccio multidisciplinare e il rilevante progresso degli strumenti di analisi stanno facendo emergere particolari che in precedenza non era stato possibile cogliere. "In questa nuova fase  - conferma il professor Pier Paolo Petrone - siamo ad un livello del tutto iniziale: è come avere un iceberg di cui vediamo solo la punta ma tutto il resto è sotto e va indagato da più punti di vista. Questo rinvenimento è importante per diversi motivi: in primo luogo dal punto di vista biologico perché ci dà la possibilità di studiare un sistema nervoso centrale, sia a livello cerebrale che del midollo spinale, di un individuo di duemila anni fa, tra l’altro conservato in un modo che non ha eguali. E’ fondamentale dal punto di vista archeologico, ma occorre sottolineare anche il profilo della vulcanologia".

Gli studi in corso, valutando le fasi dell'eruzione, gli effetti della temperatura raggiunta e le conseguenze del rapido raffreddamento, potranno offrire indicazioni importanti in termini di gestione del rischio vulcanico. "Aver rinvenuto un intero sistema nervoso centrale vetrificato ci dà delle indicazioni precise su quanto successo durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Dagli studi effettuati fino ad oggi è risaputo che in tutta l’area vesuviana l’eruzione avvenne in questo modo: al di sotto del vulcano c’è una camera vulcanica che preme e all’inizio ci sono dei terremoti. La crosta inizia a rompersi e nel momento in cui il tappo si lacera l’eruzione parte e la colonna pliniana, così denominata dal nome del nipote di Plinio che l’ha descritta per la prima volta, raggiunge un’altezza di 30-35 chilometri nella stratosfera. A quel punto, a seconda dei venti dominanti c’è la prima fase di ricaduta del fallout, cioè delle pomici e delle ceneri. Tre i vari eventi eruttivi del Vesuvio solo nel 79 d. C. è accaduto che i venti spirassero verso sud, mentre normalmente spirano verso nord-est. La città di Pompei è stata quindi sfortunata perché è stata colpita subito e le prime morti furono provocate dal crollo dei tetti e dei solai dovuto all’accumulo delle pomici. Ad un certo punto avvenne il collasso della colonna pliniana e si formarono i flussi piroclastici: nel 79 d.C ce ne furono sei con una doppia sequenza di surge, la parte più turbolenta che arriva prima, e flow, quella più lenta, che fa più attrito e arriva in un secondo momento. Il primo surge fu quello che, come dimostrammo nel 2001 in un articolo pubblicato su Nature, uccise all’istante gli antichi ercolanesi, non per asfissia ma per effetto del calore. E in seguito studi approfonditi su tutte le vittime di Pompei, Ercolano e Oplonti ci consentirono nel 2010 di pubblicare su Plos One un articolo che metteva in evidenza come nell’intera area vesuviana, probabilmente fino a Stabia che si trova a 20 chilometri dal vulcano, il calore era stato tale da provocare la morte istantanea per tutti gli abitanti del posto", spiega Petrone. 

"La particolarità di Ercolano è che la distanza dal Vesuvio ha consentito di osservare effetti termici e meccanici che hanno permesso di mantenere intatta un’intera città, sia le costruzioni, le strutture, le case e i mobili ma soprattutto le vittime e i tessuti umani. Dal cervello vetrificato possiamo risalire a quanto successo durante l’eruzione: i primi flussi piroclastici hanno raggiunto anche il custode del Collegio degli Augustali e, facendo analisi dei legni trovati all’interno della stanza della vittima, abbiamo stabilito che la temperatura del surge iniziale fu di almeno  500 °C. La vetrificazione ci dice però che c’è stato un rapidissimo raffreddamento, un abbassamento di temperatura di 250 gradi che ha permesso il verificarsi di questo processo"

"Ancora una volta Ercolano si è dimostrato un sito eccezionale dal punto di vista della biologia, dell’archeologia, dell’antropologia fisica e forense, ma anche sotto il profilo vulcanologico perché i risultati che abbiamo raggiunto e le analisi che stiamo conducendo forse un giorno potranno salvare delle vite e comunque ci daranno delle indicazioni importanti e utili per il management del rischio vulcanico da parte delle autorità preposte", ha concluso Petrone

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012