Mai sottovalutare il naso! È il messaggio, gridato dal sottotitolo, di un libro curioso, inusuale, intelligente, che parla di odori. Il suo titolo è Il senso perfetto (Codice editore): l’autrice, la neuroscienziata Anna D’Errico, vi raccoglie storie di puzza e profumo che ruotano sulla punta del nostro naso.
Perché definisci l'olfatto il senso "perfetto"? E perché, secondo te, sembra invece essere il più negletto?
«È una domanda che mi fanno spesso, ma non ho una risposta univoca: ai lettori lancio una provocazione, o un invito, perché alla fine del libro decidano in autonomia se e perché l’olfatto è il senso “perfetto”.
Molti, quando sentono parlare di olfatto, restano perplessi, hanno bisogno di un istante per far mente locale e “visualizzare” quello di cui si sta parlando. Spesso alla parola “olfatto” è utile farne seguire altre come “odore”, “profumo”, “puzza”, allora la lampadina si accende e le persone inziano formulare impressioni, il più delle volte commenti su quanto amino o detestino certi odori o sul loro legame con i ricordi. Però l’impatto iniziale rimane, e questo rende l’idea di come l’olfatto sia un senso un po’ trascurato. Siamo abituati a parlarne e usarlo poco. Poi però ci profumiamo un sacco e il settore fragranze nel comparto beauty è uno dei più floridi».
Ci sono persone (o gruppi umani) che hanno un olfatto migliore o peggiore degli altri? E perché?
«I “super-nasi”, i nasi con abilità eccezionali, non esistono. Certo vi è molta variabilità individuale, ma la differenza nella capacità di percepire e riconoscere gli odori è principalmente questione di allenamento e attenzione. I maestri profumieri, per esempio, sono abili nel riconoscere e comporre le fragranze perché seguono studi e percorsi di formazione. Poi, come in tutte le cose, ci vuole allenamento.
Vi è però anche una questione culturale: nelle società occidentali tradizionalmente si è data meno importanza alla componente olfattiva della vita quotidiana che ha preso soprattutto connotati edonici legati alla sfera dei “profumi di bellezza”. In altre parti del mondo la situazione è diversa e si riflette anche nel linguaggio. È stato dimostrato da diversi scienziati, come la neuroloinguista Asifa Majid, che alcune popolazioni in Indonesia e Malesia hanno un linguaggio olfattivo ricco e variegato, dotato di termini precisi per descrivere odori, puzze, profumi. Questo contribuisce a mostrare che l’idea che il cervello umano non sia capace di dare nomi agli odori è un’idea sbagliata».
L'olfatto si perde con l'età?
«Sì, può succedere. Con il normale e fisiologico processo di senescenza, l’olfatto, come avviene spesso anche con udito e vista, può calare o perdersi del tutto. Nel caso dell’olfatto vi è poi un altro dato importante: la perdita o il calo sono associati allo sviluppo di demenze senili e malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer. Anche per questo gli studi sono molto attivi: capire la relazione tra olfatto e malattie potrebbe aiutare a sviluppare screening diagnostici più accurati e tempestivi. Oltretutto, gli scienziati hanno osservato che spesso uno dei primi sintomi di queste malattie, anche anni prima che gli altri si manifestino, è proprio la perdita dell’olfatto. È quindi importante approfondire queste osservazioni e sviluppare protocolli di monitoraggio dei pazienti con problemi olfattivi, soprattutto dopo i sessant’anni».
Ma a che cosa serve, a noi uomini moderni, l'olfatto? Che cosa si perdono gli anosmici?
«Una delle cose che chi perde l’olfatto dice spesso è che ci si sente come in una campana di vetro, una sorta di anestesia sensoriale che impedisce di assaporare i piccoli piaceri della vita: la brezza marina, il pane appena sfornato, un profumo. Ma anche odori dal valore emozionale decisamente più importante: non si sente l’odore dei propri figli, della persona amata e le relazioni intime spesso ne risentono. Gli anosmici, chi cioè ha perso l’olfatto, sviluppano spesso un senso di allerta costante perché non possono riconoscere la puzza di bruciato o le fughe di gas, temono di non essersi lavati a sufficienza e quindi di puzzare, e talvolta sviluppano inappetenza o un rapporto distorto con il cibo. Infatti, se l’olfatto non funziona, non si sente più il sapore del cibo e questo si ripercuote anche sugli aspetti sociali del mangiare e bere in compagnia».
Per le ricerche sull'olfatto è stato assegnato un premio Nobel. Che cosa ha cambiato la ricerca sull'olfatto e che cosa sta cercando ancora di capire?
«Il premio Nobel per gli studi sull’olfatto fu dato nel 2004 a Linda Buck e Richard Axel per le loro scoperte sui geni dei recettori olfattivi e su alcuni meccanismi fondamentali del codice olfattivo, cioè su come le molecole odorose e i recettori nel naso generano il messaggio olfattivo che noi interpretiamo come odore. Da quel momento, cioè da 15-20 anni, la ricerca sull’olfatto ha fatto un grande salto, ma sono scoperte relativamente recenti che riguardano i meccanismi di base. Molte domande fondamentali sono ancora aperte. Per esempio: abbiamo circa 400 geni per i recettori olfattivi, ma ogni neurone ne esprime solo uno. Come avvenga questa scelta è ancora in gran parte ignoto. Così come non conosciamo ancora quale sia il codice degli odori. Sappiamo che le molecole odorose si legano a diversi recettori e, un po’ come un codice a barre, determinano un odore, ma non siamo riusciti ad avere la traduzione di tutti i codici a barre: insomma se vogliamo sapere che odore hanno certe molecole dobbiamo annusarle ».
Tu di che cosa ti occupi?
«Io di formazione sono una neurofisiologa, quindi studio il “come funziona” dei neuroni e delle loro connessioni. Per diversi anni l’ho fatto sui neuroni della corteccia olfattiva che, nel cervello, si occupa di ricevere i messaggi odorosi da naso e bulbo olfattivo ed elaborarli. Mi sono poi spostata anche su versanti interdisciplinari esplorando le potenzialità artistiche dell’odore e il suo uso in ambiti come le performance e il teatro. Conoscere come funzionano il nostro naso e il nostro corpo e come reagiscono agli odori è molto utile per usare gli odori nello spazio e in ambiti in cui metafora e emozioni ci aiutano a narrare storie ed evocare immaginari. L’olfatto è connesso alla parte emotiva e istintiva del nostro cervello, gli odori evocano sensazioni viscerali, disgusto, piacere, e questi elementi possono essere usati in ambito artistico per fare una delle cose in cui noi umani siamo più bravi: usare la fantasia e creare viaggi fantastici».
Tu che naso hai? E hai anche tu una madeleine?
«Ho un naso direi abbastanza normale, ma nel tempo mi son abituata ad annusare di tutto e collezionare profumi e puzze. Tra gli odori a cui sono più legata c’è quello della macchia mediterranea: l’odore delle erbe aromatiche e degli arbusti vicino al mare».