SOCIETÀ

"Siate la nostra voce": l'appello degli studenti iraniani a Padova

“Certo che abbiamo paura. Siamo consapevoli dei rischi che corriamo ma sappiamo anche che se riusciremo a cambiare le cose potremo vivere una vita diversa, senza costrizioni che limitano ogni aspetto della nostra quotidianità. Ecco perché siamo soprattutto noi giovani il motore di queste proteste: sappiamo che abbiamo più da guadagnare che da perdere”.

A parlare così è una studentessa iraniana che si trova a Padova per il suo percorso universitario. La incontro insieme a un gruppo di altre studentesse e studenti che dall’Iran si sono trasferiti per un periodo di formazione all’università di Padova. Alcuni sono dottorandi, altri stanno conseguendo la laurea magistrale e spaziano tra discipline umanistiche e scientifiche.

Seguono quello che sta accadendo in Iran attraverso le notizie che filtrano attraverso il web e i social media. Il blocco della rete internet mobile e di piattaforme come Instagram e WhatsApp, disposto dal regime per nascondere le violenze commesse dalla polizia morale sui manifestanti, rende più difficoltoso il flusso di informazioni ma non sta impedendo la circolazione dei video delle proteste e della repressione del governo. Uno degli studenti mi mostra delle foto e dei video di una ragazza sanguinante, stesa su una barella: è una sua amica che è stata duramente percossa dalle forze di sicurezza iraniane durante le manifestazioni e ha profonde ferite in diverse parti del corpo. Un’altra immagine ritrae una ragazza con un ematoma esteso su quasi tutta la coscia destra. Senza poi dimenticare i manifestanti che pur bisognosi di cure mediche non vanno in ospedale per timore di essere successivamente condotti in carcere. 

Immagini come queste, a cui va aggiunto un conto di almeno 185 vittime e migliaia di arresti arbitrari, testimoniano in modo crudo la ferocia della repressione messa in atto dal regime per bloccare l’ondata di proteste innescata dalla morte di Mahsa Amini, la ragazza di 22 anni di origini curde deceduta due giorni dopo essere stata arrestata, mentre si trovava in vacanza a Teheran con la famiglia, da alcuni agenti della polizia morale perché a loro avviso non indossava correttamente il velo.

La sua morte - conseguenza di un violento pestaggio, nonostante il governo continui a tentare di ricondurlo a cause naturali - è diventata il simbolo dell’oppressione a cui sono costrette le donne che vivono nella Repubblica Islamica dell’Iran: c’è la questione del velo, introdotto al termine della rivoluzione khomeinista e reso obbligatorio a partire dal 1981, con un ulteriore inasprimento delle regole nei due anni successivi. Ma il velo è solo la punta dell’iceberg, simbolo religioso e politico di un sistema che controlla in misura maggiore le donne, con i loro stessi corpi che sono diventati il ​​campo di battaglia politico più cruciale dell'Iran, ma che più in generale, condiziona in modo asfissiante anche gli uomini. "Vogliono controllare ogni aspetto della vita dei cittadini, dal momento della nascita a quello della morte", spiegano gli studenti.

L’ondata di proteste in Iran continua intanto a crescere e, a quattro settimane dall’inizio delle prime manifestazioni, la mappa delle città in rivolta si estende e oltre alle piazze e alle università coinvolge adesso anche studentesse e studenti delle scuole superiori. A contestare il leader supremo Ali Khamenei, sono quindi anche gli adolescenti, un fatto inedito nei 44 anni di storia della Repubblica Islamica. Appartengono a una generazione diversa, più impermeabile alla propaganda statale e più coraggiosa nello sfidarla. 

Ma questo non è il solo elemento che distingue le proteste in corso da quelle che, in diversi momenti, hanno caratterizzato il recente passato dell’Iran e proprio in questa specificità potrebbe risiedere il motore in grado di portare a un reale cambiamento.

Stavolta, sottolineano gli studenti iraniani a Padova, la ragione delle manifestazioni non è politica (come fu, ad esempio, nel 2009-2010 quando la protesta era motivata dalla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad in una tornata elettorale caratterizzata dal forte sospetto di brogli elettorali a discapito del candidato moderato Mir-Hosein Musavi). Non è nemmeno una protesta determinata da fattori economici, come furono invece le manifestazioni del 2017 e del 2019 quando le dimostrazioni erano legate all'aumento dei prezzi di beni di prima necessità e dei costi dei carburanti.

Le radici adesso sono sociali e culturali. Espressione di una necessità di cambiamento che non può più aspettare e che, forse davvero per la prima volta, vede gli uomini abbracciare con convinzione le ragioni delle donne iraniane. Lo hanno fatto, con un gesto eclatante, anche i calciatori della nazionale maschile che hanno coperto le magliette con dei giubbotti neri durante l'inno prima di una competizione internazionale e continuano a farlo tutti i ragazzi e gli uomini che affiancano e proteggono le donne mentre protestano con i capelli scoperti o si tagliano ciocche di capelli in segno di protesta. 

L'analisi degli studenti iraniani di Padova è perfettamente coerente con quella proposta da Fatemeh Shams, poetessa e docente di letteratura persiana all'università della Pennsylvania, in un'intervista sul New Yorker. E' un movimento di protesta che proviene dal basso, senza un leader politico di riferimento (nel corso del tempo le figure portatrici di istanze riformiste o "moderate" sono state per lo più arrestate o messe ai margini e, anche nei momenti in cui hanno ricoperto un maggiore potere non sono riuscite a portare a compimento un reale alleggerimento del regime teocratico). E una rivolta spontanea può essere meno più difficile da controllare perché il governo non può  schiacciarla perseguitando un singolo leader. 

Altri elementi di importante novità sono, come detto, il fatto che sebbene la protesta abbia una forte identità femminile (pensiamo allo slogan Woman, Life, Freedom), vi abbiano da subito aderito anche gli uomini. E poi il carattere trasversale delle manifestazioni che coinvolgono grandi città così come piccoli villaggi e travalicano etnie, fasce demografiche e classi sociali. Fino ai casi, certamente sporadici ma significativi, di alcuni membri delle forze antisommossa che hanno sfilato con i dimostranti.

Ad essere invece monotoni e ripetitivi sono gli schemi con cui il regime tenta di delegittimare le proteste definendole, con le solite parole posticce, orchestrate da Stati Uniti e Israele. Consueta è anche la censura che passa attraverso il blocco di Internet e dei pochi social media che non erano già stati vietati in precedenza e attraverso la propaganda dei media allineati dove non di rado si assiste a confessioni estorte con minacce e violenze. Tra gli esempi recenti più eclatanti c'è quello di Sepideh Rashno, scrittrice e artista che era stata arrestata a luglio per non aver rispettato i codici di abbigliamento imposti dalla legge (inasprita a partire da questa estate dal nuovo decreto firmato dal presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi). A tutto questo si aggiungono i tentativi di negare che vi sia la mano delle forze di sicurezza iraniane dietro l'uccisione di alcune giovani manifestanti diventate presto, al pari di Masha Amini, potenti simboli del coraggio di chi pretende un cambiamento. Tra loro la sedicenne Nika Shakarami, il cui corpo senza vita è stato restituito alla sua famiglia il 1° ottobre, dieci giorni dopo la sua scomparsa, avvenuta mentre partecipava alle proteste sul Keshavarz Boulevard a Teheran. Le autorità dichiarano che sia caduta da un edificio e hanno impedito che la famiglia seppellisse la giovane nella sua città natale. Le ferite sul volto della giovane, che poco prima aveva scritto in un ultimo messaggio a un’amica di essere inseguita dalle forze di sicurezza, raccontano però tutt'altro. La stessa sorte è toccata a un'altra giovanissima: Sarina Esmaeilzadeh aveva 16 anni come Nika e anche nel suo caso le autorità iraniane insistono nel dire che sia caduta da un tetto. 

Episodi che rafforzano le proteste e portano i manifestanti ad essere sempre più convinti della necessità di andare avanti. "Un governo che uccide deliberatamente i propri cittadini non ha ragione di esistere", affermano gli studenti iraniani che hanno accettato di parlare con Il Bo Live. E, aggiungono, "è necessaria una maggiore attenzione a livello internazionale e una completa consapevolezza di quello che sta accadendo nel nostro Paese. in Iran c'è un elevatissimo grado di corruzione eppure il sistema continua a interessarsi ai capelli delle donne". 

"Siate la nostra voce", chiede la rete degli studenti iraniani a Padova. E mentre dopo quasi 4 settimane di rivolta nelle strade e nelle piazze la repressione si fa sempre più dura, i manifestanti non intendono fare nessun passo indietro e hanno deciso di resistere anche a costo della loro stessa vita. L'università di Padova intanto  ha espresso ufficialmente solidarietà "alle studentesse di nazionalità iraniana iscritte presso gli atenei italiani e più in generale a tutte le donne iraniane e ai tanti giovani uomini iraniani che in questi giorni stanno coraggiosamente protestando" e dalle piazze di tutto il mondo è arrivato un forte segnale di sostegno e vicinanza.

"E' solo questione di tempo: se anche non dovesse succedere nulla adesso l'occasione si ripresenterà nel giro di pochi mesi", dichiara una delle studentesse iraniane. Come osservano anche molti analisi appare evidente che il regime teocratico ha perso la gran parte della sua legittimazione popolare, e questo potrebbe portare a grossi sviluppi in futuro.

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