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“Social freezing”, come posticipare la maternità

Negli ultimi trent’anni, nei Paesi occidentali, è stata osservata la tendenza da parte delle donne a posticipare la gravidanza. Alla base di questa scelta stanno ragioni differenti, come la volontà di cogliere opportunità professionali, la mancanza di un partner o di una sicurezza economica. Con l’età, però, la fertilità diminuisce e questo può creare difficoltà nel concepimento. Tra le tecniche di preservazione della fertilità, il “social freezing”– una possibilità molto discussa sul piano scientifico, sociale ed etico – consente alla donna di conservare i propri ovociti per una futura maternità. Ma quanto è conosciuto il fenomeno? Alla domanda cerca di rispondere uno studio pilota condotto tra 930 studentesse dell’università di Padova, recentemente pubblicato su Life Sciences, Society and Policy.

Servizio a cura di Monica Panetto ed Elisa Speronello

L’indagine, a cui ha lavorato un gruppo di ricercatori del dipartimento di Medicina molecolare dell’ateneo padovano, evidenzia innanzitutto una scarsa conoscenza di questa tecnica da parte della popolazione femminile studentesca presa in esame: quasi il 42% delle ragazze dichiara di non aver mai sentito parlare di crioconservazione di gameti femminili. Quelle, invece, che ne sono al corrente ne sono state informate da familiari e amici o ne sono venute a conoscenza dai mass media (34%), a scuola o all’università (22%). Solo nell’1% dei casi dai medici.

Il 73% delle intervistate pensa che non avrà mai una gravidanza dopo i 40 anni, mentre oggi la realtà dimostra il contrario. Tra le ragioni che potrebbero indurre a scegliere il “social freezing”, le esigenze lavorative vengono al primo posto per la maggior parte delle studentesse.

Quasi il 50% crede che la spesa debba essere a carico della donna, il 33% a carico del Sistema sanitario nazionale. Infine, la maggior parte delle studentesse (circa il 65%) non accetterebbe di donare i propri gameti né a una conoscente né a una coppia.

Emerge, evidentemente, una scarsa conoscenza del fenomeno a fronte del fatto che molti centri privati stanno offrendo questa possibilità. Forse sarebbe necessario approfondire la tematica, non tanto perché lo Stato debba farsene carico, ma per una maggiore consapevolezza da parte del mondo femminile.

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