SCIENZA E RICERCA

Il tempo vola nella realtà virtuale

A molti sarà capitato di perdere la cognizione del tempo giocando ai videogiochi, ma quanto è consistente questo effetto quando i videogiochi in questione prevedono l'uso di un visore per la realtà virtuale in grado di catapultare il giocatore in un'esperienza immersiva?
La sensazione che il tempo scorra più velocemente è un effetto psicologico chiamato compressione temporale. È questo l'oggetto di uno studio condotto da Grayson Mullen e Nicolas Davidenko, due ricercatori del dipartimento di psicologia della University of california di Santa Cruz che hanno cercato di scoprire se e in che misura il tempo sembra scorrere diversamente quando ci si trova immersi in uno scenario di realtà virtuale.

Abbiamo parlato di percezione temporale e dei risultati di questo studio insieme a Giovanna Mioni, docente di psicologia generale all'università di Padova.

“Per capire cosa intendiamo quando parliamo di compressione e dilatazione temporale basta pensare ad alcune situazioni molto comuni”, spiega Mioni. “Possiamo avere la sensazione che il tempo sia trascorso più in fretta, ad esempio, dopo una giornata passata in spiaggia a rilassarci: può sembrare che sia passato poco tempo dal nostro arrivo, ma guardando l'orologio ci accorgiamo che le ore che abbiamo trascorso distesi al sole sono volate.
Un caso in cui il tempo sembra non passare mai, invece, può essere quello in cui ci troviamo alla fermata dell'autobus perché dobbiamo andare a un appuntamento importante o a sostenere un esame all'università. In quel caso ogni minuto d'attesa ci sembra infinito. Esiste quindi una differenza tra lo scorrere del tempo oggettivo e la nostra percezione soggettiva.

Lo studio dei processi che intervengono quando giudichiamo gli intervalli temporali o pensiamo al tempo ha delle applicazioni pratiche anche nell'ambito clinico”, continua Mioni. “In alcuni studi, ad esempio, sono stati mostrati dei video, talvolta utilizzando anche la realtà virtuale, ad alcuni pazienti che stavano ricevendo la chemioterapia. Il risultato? Molti di loro hanno pensato che fosse trascorso meno tempo rispetto alle normali sedute, con effetti benefici anche sull'umore e sulla propensione a continuare la terapia.

In altri casi, la realtà virtuale è stata utilizzata per aiutare pazienti con ansia e depressione, facendo vivere loro delle esperienze simulate a una velocità diversa da quella normale, per combattere la sensazione di essere “bloccati nel tempo” che alcuni di loro lamentavano”.

L'intervista completa a Giovanna Mioni. Montaggio di Elisa Speronello

Vediamo quindi com'è stata indagata la percezione del tempo nella ricerca di Mullen e Davidenko, che hanno studiato la compressione temporale come conseguenza di un'esperienza immersiva. I due ricercatori hanno sottoposto i partecipanti all'esperimento a due diverse modalità di gioco. Hanno sviluppato un videogame che consisteva nel dover individuare il percorso giusto per uscire da un labirinto e hanno chiesto ai partecipanti di giocarci prima davanti a un normale monitor e poi usando un visore per la realtà virtuale che dava loro la sensazione di trovarsi dentro il labirinto.
Per misurare gli effetti sulla percezione del tempo hanno chiesto ai partecipanti di fermarsi appena avessero ritenuto che fossero passati cinque minuti.

“I risultati di questo lavoro interessanti”, commenta Mioni. “Far giocare lo stesso gruppo di partecipanti prima davanti allo schermo del computer e poi in una condizione più immersiva ha permesso ai ricercatori di confrontare il cambiamento di percezione del tempo in base alla diversa prestazione nei singoli individui.

Hanno potuto constatare che il tempo veniva fermato più tardi dai partecipanti che giocavano nella realtà virtuale. Questo è stato interpretato come l'effetto di una compressione temporale nelle persone che continuavano a giocare per un tempo maggiore nel labirinto che gli autori avevano creato con la realtà virtuale, dando dimostrazione di aver perso contatto con il tempo oggettivo”.

Come dobbiamo leggere quindi questi risultati? Partendo dalle considerazioni proposte dagli autori, quali ipotesi è possibile avanzare per spiegare il diverso comportamento dei partecipanti quando si trovavano immersi in scenari di realtà virtuale rispetto a quando giocavano davanti a un monitor?

“Quando elaboriamo stime temporali o pensiamo al tempo, le indicazioni che riceviamo provengono anche dall'interno del nostro corpo”, spiega Mioni. “Il battito cardiaco, ad esempio, è un indice della nostra percezione soggettiva del tempo.
La tesi degli autori, perciò, è che la realtà virtuale sia così immersiva e coinvolgente da far perdere il contatto con le informazioni propriocettive che provengono dal corpo.

Un'altra spiegazione proposta si basa sul fatto che giocare nella realtà virtuale toglie la possibilità di ricevere informazioni dall'ambiente esterno, come la vista del sole che tramonta, ad esempio. Questa è la principale differenza tra giocare in ambienti virtuali e trovarsi all'aria aperta”.

La novità dello studio di Mullen e Davidenko sta nell'approccio che hanno usato. Come scrivono nello studio, infatti, la compressione temporale è stata studiata molto poco in relazione alla realtà virtuale, e mai chiedendo ai partecipanti di stimare il tempo mentre giocavano.
Ricerche precedenti avevano misurato questo effetto chiedendo ai partecipanti di stimare il tempo trascorso nella realtà virtuale basandosi sul ricordo di questa esperienza, esprimendo perciò una valutazione a posteriori.

Esiste infatti una differenza tra lo studio del tempo prospettico e di quello retrospettivo.

“Chiedere a una persona quanto tempo è trascorso da un determinato evento attiva dei processi mentali che sono molto dipendenti dalla memoria”, chiarisce Mioni. “Pensiamo, ad esempio, alla durata di un'esperienza che abbiamo vissuto, come un'intervista. Per stimare quanto è durata recuperiamo una certa quantità di informazioni dai nostri ricordi, che dipendono anche dallo stato emotivo in cui ci trovavamo. In questo caso, la valutazione che stiamo facendo riguarda il tempo retrospettivo.

Possiamo misurare il tempo prospettico, invece, quando siamo consapevoli di dover compiere un giudizio temporale. È proprio in questo che sta la novità dello studio in questione: aver informato le persone fin dall'inizio che avrebbero vissuto un'esperienza di cui avrebbero dovuto stimare la durata ha permesso di ottenere una misura molto diretta della loro percezione soggettiva del tempo.
In casi come questo sono i processi attentivi a entrare principalmente in gioco: più attenzione dedichiamo al tempo, migliore sarà la nostra percezione di esso.

Ci si può accorgere di questo, ad esempio, anche quando si fa bollire la pasta. Se stiamo attenti allo scorrere dei minuti, è più facile raggiungere il grado di cottura che desideriamo. Se invece siamo distratti e guardiamo la televisione o il telefono, le nostre informazioni temporali saranno meno accurate e il rischio di non avere gli spaghetti al dente sarà maggiore”.

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