SOCIETÀ

La Tunisia cerca di uscire dalla crisi istituzionale e nomina una donna a capo del governo

La nomina di Najla Bouden Romdhane, geologa e docente di ingegneria, a primo ministro della Tunisia rientra senza alcun dubbio nella categoria delle “buone notizie”. Anzitutto perché mai, nel mondo arabo, una donna era stata chiamata a dirigere un governo. La scelta, coraggiosa e innovativa, del presidente Kais Saied è quindi dirompente per la sua portata, che potrebbe consentire alla Tunisia di mantenere quel “primato” di paese progressista conquistato dopo la Rivoluzione dei Gelsomini del 2011: un passo che definire “storico” non sarebbe eccessivo (ma ci sono molti ma). In secondo luogo, è una buona notizia perché la nomina di un premier permetterebbe alla Tunisia di uscire dalla prolungata impasse istituzionale innescata dallo stesso presidente Saied nel luglio scorso, quando “licenziò” con un brusco (e tutt’altro che democratico) colpo di mano l’ex primo ministro Hicham Mechichi e l’intero governo, sciogliendo il Parlamento e poi anche la Corte Costituzionale, accentrando progressivamente nelle sue mani il potere esecutivo e legislativo, a suon di decreti presidenziali. 

Un crinale pericoloso: al punto che molti, dopo aver gridato al “colpo di stato”, sospettano che il vero obiettivo di Saied sia ancora quello di voler riscrivere la Costituzione del 2014, trasformando il paese in una Repubblica Presidenziale. La mossa di conferire l’incarico a Najla Bouden Romdhane ha riacceso i riflettori internazionali sulla Tunisia, eppure non è bastata a placare i sospetti, né a rassicurare gli scettici. Perché, ed è questo il contraltare della “buona notizia”, c’è chi teme che l’incarico alla geologa non sia altro che fumo negli occhi, una mossa di teatro, più apparenza che sostanza. Una nomina arrivata dopo settimane di crescenti pressioni, nazionali e internazionali. Perché, stando alla Costituzione tunisina (articolo 80) il Presidente può sì sospendere il Parlamento in caso di “pericolo imminente”, ma per un solo mese, non per tre. Peraltro, chi può ratificare oggi il mandato di Najla Bouden? Il Parlamento non c’è (“congelato fino a nuovo avviso”). Decide tutto Kais Saied, anche in virtù del decreto emesso il 22 settembre scorso che rafforza i poteri della Presidenza a scapito di Parlamento e esecutivo (sarà lui, e non il premier, a presiedere il Consiglio dei Ministri). Quale spazio autonomo di manovra potrà trovare Bouden? Qualche perplessità appare più che lecita.

Saied, nel commentare la decisione di affidarle  l’incarico, l’ha definito “un omaggio alla Tunisia e alle sue donne”. «Lavoreremo per porre fine alla corruzione e al caos che si è impadronito delle istituzioni del Paese. Abbiamo già perso molto tempo». Najla Bouden  è intervenuta utilizzando il suo profilo Twitter, aperto appena dopo la nomina: «Sono onorata di essere la prima donnaa ricoprire la carica di primo ministro in Tunisia», ha scritto. «Lavorerò per formare un governo coerente per affrontare le difficoltà economiche del paese, combattere la corruzione e rispondere alle richieste dei tunisini riguardo ai loro diritti naturali ai trasporti, alla salute e all’istruzione». Di lei non si sa molto, se non che è alla sua prima esperienza politica (e che è amica della moglie del Presidente): 63 anni, ingegnera specializzata in geofisica, docente universitaria alla scuola nazionale di Ingegneria di Tunisi, ha conseguito un dottorato in ingegneria sismica, a Parigi. Fino alla nomina a premier, Najla Bouden  è stata responsabile dell’attuazione del programma di riforma dell’Istruzione superiore, sostenuto dalla Banca Mondiale, presso il Ministero dell’università e della ricerca scientifica. Una perfetta outsider, fuori dal giro dei partiti e del potere tunisino, proprio quello che Saied ha deciso di spazzar via dal tavolo due mesi e mezzo fa con il gesto più antidemocratico da quando, alla fine del 2010, divampò in Tunisia l’enorme protesta popolare contro il governo autoritario di Zine al-Abedine Ben Ali (la scintilla fu il suicidio di Mohamed Bouazizi, un giovane venditore di frutta vessato e umiliato dalla polizia), che costrinse infine il dittatore alla fuga in Arabia Saudita. Un gesto “obbligato”, secondo il Presidente, contro “una classe politica che ha affamato il popolo tunisino”. Proprio per scardinare quell’impalcatura di corruzione che ha impedito, a suo dire, al paese di affrontare le emergenze economiche, sociali e sanitarie (aggravate dalla pandemia da coronavirus, quasi 25mila a oggi le vittime) che tante proteste avevano scatenato, nei mesi scorsi.

L’enigmatica figura di Kais Saied

Tutto ruota attorno alla figura enigmatica di Kais Saied, ex professore di diritto costituzionale all’Università di Tunisi, eletto a sorpresa nel 2019 senza avere alle spalle alcun partito, ma votato a valanga dai tunisini. La domanda è: ha buone o cattive intenzioni? Dopo il “golpe morbido” di luglio, rispose così al New York Times, citando una frase di Charles de Gaulle: «Pensi che, a 67 anni, inizierei la carriera di dittatore»? Lui, che di anni ne ha 63, ha tentato in ogni modo di tranquillizzare gli animi, di sopire le polemiche, promettendo che non avrebbe cancellato le libertà conquistate. E inizialmente il popolo l’ha seguito, plaudendo la cacciata di un primo ministro giudicato inetto e incapace di affrontare le tante emergenze (con una disoccupazione salita al 20% nell’ultimo anno e un’economia in caduta libera). Ma dalla firma del decreto del 22 settembre (che di fatto consente al Presidente non soltanto di riscrivere a suo piacimento la Costituzione, ma anche di governare per decreto senza alcun contrappeso) l’aria è cambiata. Saied ha perso anche l’appoggio di Abir Moussi, leader indiscussa del Partito dei costituzionalisti liberi, che contrasta apertamente il blocco dei gruppi islamisti, a partire dal partito Ennahda (che aveva la maggioranza dei rappresentanti in Parlamento). Altri quattro partiti hanno annunciato una coalizione per “opporsi alla monopolizzazione del potere”.

Kais Saied (che si dichiara musulmano, ma non islamista) non è un progressista. E’ contrario alla depenalizzazione dell’omosessualità, al riconoscimento dei diritti LGTB e all’abolizione della pena di morte. Lo scorso anno ha bocciato, appellandosi al Corano, la legge che voleva parificare uomini e donne in termini di diritto all’eredità (alla donna ne spetta la metà). Da qui i sospetti: perché nominare una donna a capo di un governo che non c’è, senza Parlamento e senza Corte Costituzionale? Chi sceglierà i ministri? Nella migliore delle ipotesi una manager-esecutrice, premier sì, ma di facciata.  L’ex ministro tunisino per i diritti umani, Samir Dilou (del partito Ennahda), ha scritto sul suo profilo Facebook : «La decisione merita elogi. Ma è davvero un momento storico? Purtroppo no, il simbolismo della nomina di una donna a questa posizione “alta” coincide con la sospensione della costituzione e l’unicità del Presidente della Repubblica con poteri faraonici». Scettiche anche le stesse organizzazioni femminili tunisine. «Il messaggio che Saied ci sta urlando è: “una donna ottiene il lavoro solo quando il lavoro non è più importante”», ha sostenuto Fida Hammami, coordinatrice per il Medio Oriente e il Nord Africa presso la Women’s International League for Peace and Freedom. «Usare una donna in questo particolare contesto politico, farla fallire e darle un mandato vuoto non è un gesto simbolico, è una farsa». Mentre Hoda Salah, politologo dell’Università di Francoforte, ha dichiarato alla tv tedesca DW: «Scegliendo un geologo abbastanza sconosciuto, Saied alimenta le speranze, dal momento che Bouden non è mai stata accusata di corruzione. Tuttavia, solleva anche scetticismo poiché ci si potrebbe chiedere se l’abbia scelta soltanto per esibirla, poiché manca chiaramente di esperienza nel campo politico».

I 4 miliardi di dollari del FMI

Dunque cosa vuole davvero Kais Saied? A cosa punta? Il suo primo obiettivo è senza dubbio riavviare il dialogo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ottenere un prestito da 4 miliardi di dollari con l’obiettivo di dare ossigeno a un’economia stremata (la pandemia ha praticamente azzerato il turismo). La richiesta era stata già avanzata lo scorso maggio dal precedente governo, ma le trattative si erano interrotte a luglio dopo la sospensione del Parlamento, anche perché il prestito sarebbe stato comunque vincolato dall’attuazione di una serie di riforme, ovviamente mai concretizzate. E perciò l’agenzia di rating Fitch ha declassato la Tunisia al livello “B-” con outlook negativo. Perplessità emergono anche dall’ultimo Focus Mediterraneo, pubblicato pochi giorni fa dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale): “In una società duramente provata dalla pandemia e sfibrata da un sistema economico da anni ormai non più in grado di rispondere ai bisogni della popolazione – scrive l’Ispi -, la decisione del presidente tunisino Saied apre scenari politici inediti per il Paese. Nonostante il presidente sembri godere dell’appoggio della maggioranza dei tunisini, secondo diversi osservatori Saied non avrebbe ancora avviato alcun processo politico per affrontare le più profonde problematiche socioeconomiche del paese”.

Aumentano i cortei di protesta a Tunisi

Infatti i tunisini cominciano ad alzare la voce. Il 26 settembre in migliaia sono scesi in piazza a Tunisi per protestare contro il “regime” e il “colpo di Stato”, innalzando bandiere tunisine senza insegne di partito. Saied ha capito che il tempo a sua disposizione sta probabilmente per scadere. Così la presidenza ha diffuso una nota nella quale ha ribadito “la necessità di accelerare la formazione dell’esecutivo, al fine di soddisfare le speranze del popolo tunisino e realizzare le sue aspirazioni”. Ma il presidente Saied ha fatto due scivoloni: prima sull’enfasi nel commentare la manifestazione dei suoi sostenitori, domenica scorsa, 3 ottobre, in avenue Habib Bourguiba, la strada principale nel cuore di Tunisi: «Erano almeno 1,8 milioni», ha dichiarato, soddisfatto, in un incontro alla presenza della premier incaricata. A smentirlo è stata la stessa polizia tunisina, che in una nota ha stimato i manifestanti in “non più di 8mila”. Poi sulla chiusura imposta alla stazione televisiva Zaytouna, vicina al partito Ennahda: un conduttore, Amer Ayad, è stato arrestato e accusato di "minare la sicurezza dello stato" solo per aver letto una poesia contro la dittatura. L'editore di Zaytouna, Lotfi Taouati, ha sostenuto che «è evidente la decisione è di punirci per le critiche espresse sulle decisioni del Presidente». Lo scorso luglio è stato chiuso, a Tunisi, l’ufficio della tv del Qatar Al-Jazeera. Stessa sorte per due tv “religiose”, Hannibal e Nessma. La giustificazione ufficiale è che non erano in regola con le licenze. Ma la censura non è un buon segnale, mai.

Saied continua a correre sul suo doppio binario: da un lato parole rassicuranti, dall’altro fatti, gesti, che vanno nella direzione opposta, o che mancano del tutto. Manca la riapertura delle istituzioni indispensabili per far funzionare una democrazia, manca la voce dei partiti, manca il voto dei tunisini. Perciò le reazioni internazionali sono tutte all’insegna della prudenza, a mascherare l’aperto scetticismo. Angela Merkel, dopo un colloquio telefonico con il presidente tunisino, ha ribadito come sia «essenziale che la Tunisia torni a essere una democrazia parlamentare, attraverso il dialogo con tutti gli attori politici». Mentre gli Stati Uniti stanno finendo la pazienza. Lo stesso Saied, martedì scorso, durante un incontro con una delegazione di senatori americani, ha ribadito che la sua intenzione non era quella di rovesciare il governo democratico e che il suo piano era nominare un nuovo capo del governo e avviare il processo di modifica della Costituzione. Il senatore democratico Chris Murphy ha commentato: «Questa settimana il presidente Saied ha fatto il contrario di quanto aveva promesso alla nostra delegazione dichiarando la sua intenzione di governare per decreto e sospendere alcuni testi della costituzione. Dobbiamo continuare a sostenere il popolo tunisino, ma fino a quando non sarà ripristinata la democrazia, dobbiamo riconsiderare il nostro programma di assistenza alla sicurezza della Tunisia». Il tempo sta per scadere: presto si capirà se qualcuno sta bluffando.

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