SCIENZA E RICERCA

La vera “dieta paleo” conteneva una quantità elevata di metalli pericolosa per l’uomo

La moda delle diete non si ferma mai, proponendo a ritmo serrato regimi alimentari “innovativi” oppure semplicemente pescando dal passato. È il caso della Paleo Diet, la dieta dei paleolitici, portata in auge e rivista in chiave moderna dal professore dell’università del Colorado Loren Cordain. Il regime alimentare prevede che si possa mangiare pesce, carne, frutta, verdura e semi, eliminando tutti i cereali, legumi, latte e derivati entrati nell’alimentazione dell’uomo dopo l’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento. È stato scoperto, tuttavia, che gli uomini dell’età della pietra potrebbero aver ingerito, attraverso l’assunzione di pesce, una quantità di metalli pericolosi, 20 volte maggiore rispetto alle dosi consigliate per l’uomo.

L’archeologo Hans Peter Blankholm dell’Artic University of Norway ha cercato di scoprire quanto diffuso fosse il problema. Già nel 2015 alcuni ricercatori hanno dimostrato che il merluzzo ingerito 6.500 anni fa dai primitivi della costa nordamericana fosse altamente tossico. Dangerous food. Climate change induced elevated heavy metal levels in Younger Stone Age seafood in northern Norway è il titolo della ricerca condotta dall’archeologo, insieme ad altri colleghi dello stesso istituto e dell’università di Stoccolma, in cui sono stati analizzati i resti di cibo utilizzati dagli antenati della Norvegia settentrionale, più precisamente a Varanger

I soggetti dello studio sono state i resti di merluzzo bianco e le ossa di foca, trovati in antiche fosse utilizzate per la spazzatura di otto siti archeologici diversi. Entrambi gli animali erano parte integrante della dieta degli uomini vissuti nell’area tra i 6.300 e i 3.800 anni fa: dai tagli delle ossa, i ricercatori hanno dedotto anche che la foca veniva utilizzata principalmente come alimento che per la sua pelle. Si ipotizza che i cambiamenti climatici possano aver contribuito a rendere malsano e addirittura tossico il cibo pescato, attraverso l’aumento di piombo, mercurio e cadmio nell'acqua.

Questi metalli sono presenti naturalmente sulle coste: attraverso l’erosione delle scogliere e l’innalzamento del livello del mare, i ricercatori hanno ipotizzato che i metalli siano confluiti poi nel mare, andando a contaminare la vita marina. In particolare, il cadmio supera di 20 volte il livello odierno nel merluzzo, di 15 volte per la foca; in entrambi i casi, la quantità di piombo è “solo” di 4 volte maggiore rispetto a oggi. Il livello di mercurio, invece, è alto ma ancora al di sotto del limite raccomandato e gli stessi dati sono stati riscontrati nel pescato di adesso.

L’autore della ricerca specifica che non è ancora stato scoperto quanto questi cibi contaminati abbiano influenzato in modo negativo la vita degli abitanti, poiché la loro dieta includeva anche frutta, carne di renna e di coniglio, cibi “terrestri” che potrebbero aver attenuato l’effetto dei metalli pesanti nell’organismo. Inoltre, si tratta di un campione della popolazione molto ristretto: l’obiettivo dei ricercatori ora è di analizzare ulteriori resti animali, per avere prove sufficienti a dimostrare l’inquinamento e la tossicità degli animali marini in quell'epoca. 

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