SOCIETÀ
West Nile virus: il nemico è fra noi
“Un nemico ce l’abbiamo già in casa e lo teniamo sotto controllo, ma alle porte ci sono ben altre insidie”. L’avvertimento, indirizzato ad amministratori e operatori della sanità, è di Giorgio Palù, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova e responsabile dell’unità operativa di Microbiologia e Virologia dell’Azienda ospedaliera, punto di riferimento regionale nella lotta al West Nile Virus, il “nemico” che da oltre 10 anni ha fatto la sua apparizione in Italia e che da 5 anni consecutivi dà forti segnali di presenza nel Veneto. Palù ha fatto il punto della situazione nel Veneto all’indomani della pubblicazione su Eurosurveillance dei risultati delle indagini eseguite dall’équipe padovana, che dimostrano la presenza di un nuovo ceppo del virus - si chiama così perché fu isolato la prima volta su una donna nella regione West Nile in Uganda nel 1937 - ormai endemico nel Nord Est d’Italia. Il virus ha causato il primo caso di infezione in un uomo a metà luglio, più precocemente rispetto agli altri anni, quando dal 2008 al 2011, i casi di infezione venivano registrati a fine agosto e inizio settembre, periodo di massima attività della zanzara Culex , vettore del virus. Il caso è stato riscontrato in un soggetto asintomatico, donatore di sangue, in provincia di Treviso, nell’area del fiume Livenza, grazie all’attività di screening su trasfusioni e donazioni di organi e tessuti, che viene regolarmente eseguita dal 2008 nelle province in cui è documentata la circolazione virale. Casi di infezione da West Nile Virus quest’anno sono stati registrati anche in Sardegna, Grecia, Israele, Palestina e Russia.
L’analisi della sequenza del virus rilevato nel donatore di sangue ha dimostrato che era identica a quella del ceppo identificato nella stessa area nel 2011. Il “virus del Livenza” è da considerarsi endemico in Veneto, così come l’analisi filogenetica molecolare ha dimostrato che i casi di infezione del 2008 e del 2009 erano riconducibili a un unico ceppo virale endemico dell’area del Po. Lo ha sottolineato Luisa Barzon, docente del dipartimento di Medicina molecolare, che ha ripercorso i 5 anni, dal 2008 al 2012, della presenza del virus in Veneto.
Oltre all’attività di sorveglianza della West Nile, il gruppo di ricerca di Padova sta collaborando con altri centri europei, nell’ambito di un progetto finanziato dall’Unione Europea per lo studio della virulenza e dei meccanismi di patogenicità dei ceppi di WNV circolanti in Italia e in Europa, per lo sviluppo di un vaccino per la profilassi dell’infezione e per la scoperta di nuovi farmaci antivirali.
Che fare per sconfiggere il West Nile virus? Prevenzione, soprattutto, ha ricordato Palù, usando repellenti, mettendo zanzariere alle finestre, svuotando contenitori di acqua stagnante. Non esiste una terapia specifica per la febbre West Nile. Nella maggior parte dei casi (80%) il contatto con il virus è asintomatico, in un 20% si registrano sintomi (febbre, mal di testa, nausea, vomito, linfonodi ingrossati, sfoghi cutanei) simil-influenzali che possono protrarsi anche per qualche settimana. Solo in una percentuale inferiore all’1% possono verificarsi conseguenze gravi nell’uomo: encefalite, meningite, paralisi.
Ma un ruolo fondamentale, secondo Palù, va riservato alla ricerca, per non trovarsi impreparati di fronte alle nuove minacce infettive. Che si chiamano Dengue virus (procura una febbre tropicale detta “spacca-ossa”), il Chikungunya virus, il Crimean Congo haemorrhagic fever virus, l’Hantavirus e altri patogeni d’importazione, ben più agguerriti del West Nile Virus.
Proprio in questi giorni ha fatto il punto sul West Nile Virus in Italia il presidente della commissione sanità del Senato, Antonio Tomassini : “Non bisogna creare situazioni di allarmismo ma non dobbiamo nemmeno abbassare la guardia”. Dal 2008 al 2011 - ha sottolineato - sono state colpite 5 regioni, Veneto ed Emilia in primis, con un’incidenza dello 0,55 % ogni 100 mila abitanti. Preoccupante - ha detto il presidente della commissione di palazzo Madama - la situazione per gli equini: al 27 febbraio 2012 sono stati confermati oltre 90 focolai di infezione con 197 animali coinvolti. Anche se siamo lontanissimi dai dati degli Stati Uniti dove, all’apice della malattia, sono stati registrati 15 mila casi solo nei cavalli.
Valentino Pesci