SCIENZA E RICERCA

La percezione soggettiva del tempo

Pare proprio che il tempo voli quando siamo contenti e proviamo piacere. Al contrario, ci pare che il tempo non passi mai quando siamo in una situazione poco gradevole. Le nostre sono sensazioni niente affatto banali. Non perché il tempo – quello fisico – acceleri quando ce la spassiamo e rallenti quando invece soffriamo. Ma perché questa percezione è reale e induce a precisi comportamenti.

Questo è, almeno, il risultato di una serie di esperimenti condotti su topi da Sofia Soares, Bassam V. Atallah e Joseph J. Paton, tre ricercatori della Fundação Champalimaud di Lisbona in Portogallo, i cui risultati sono stati pubblicati di recente sulla rivista Science.

La percezione del tempo che passa, nei topi come negli umani, non è costante, dicono i tre. Il tempo ci sembra, appunto, volare quando viviamo in una condizione piacevole e invece srotolarsi lentamente quando siamo annoiati. Questa sensazione ha una base reale: la possiamo misurare dai livelli di dopamina presenti, in un dato istante, nel mesencefalo. C’è un legame diretto tra l’attività dei neuroni dopaminergici – ovvero che utilizzano il neurotrasmettitore dopamina – e il giudizio che i topi danno degli intervalli di tempo che si succedono. Soares e i suoi colleghi hanno sia misurato sia manipolato l’attività di quei neuroni e hanno verificato come influisce sui giudizi che hanno a che fare con il tempo.

Hanno trovato, per esempio, che abbassando con opportuni farmaci i livelli di dopamina – o, se volete, inibendo l’attività dei neuroni dopaminergici, diminuisce la sensibilità al passaggio tempo. E che, inoltre, l’inibizione o l’attivazione temporanea dei neuroni che utilizzano la dopamina sono sufficienti rispettivamente ad abbassare o ad accelerare la percezione del tempo che passa.

Gli esperimenti hanno dimostrato che il comportamento dei topolini è modellato da esplosioni di attività dei neuroni dopaminergici del mesencefalo. Quando, per esempio, una ricompensa giunge in tempi inattesi, si genera un cosiddetto “errore positivo”: un aumento di dopamina che lancia il segnale: “Le cose vanno meglio dell’atteso”. Di conseguenza, come sottolineano i due neuroscienziati americani Patrick Simen e Matthew Matell, commentando l’articolo dei tre ricercatori portoghesi, viene alterata la comunicazione tra i neuroni corticali e i neuroni del corpo striato in modo da modificare il comportamento del topo nel tentativo di massimizzare la ricompensa. Al contrario, quando una ricompensa non arriva nel momento atteso, il rilascio di dopamina diminuisce e il topo si comporta come se avesse la sensazione che il tempo passa più lentamente.

L’importanza di questo studio è, dunque, triplice: a) conferma che la sensazione soggettiva del tempo ha una base biologica; b) conferma che in questa base biologica ha un ruolo decisivo la dopamina; ma, soprattutto, falsifica e addirittura capovolge la cosiddetta “dopamine clock hypothesis.”.

Nel 1983 un docente di psicologia e neuroscienze della Duke University di Durham, nel North Carolina, Warren Meck, scrisse un articolo che ha fatto scuola nell’ambito degli studi sulla percezione soggettiva del tempo. Ovvero dell’intervallo del tempo che noi pensiamo passi tra due eventi successivi. La percezione del tempo è una costruzione della nostra mente che può essere cambiata, manipolata, distorta in diverse circostanze. E, tuttavia, molti psicologi e neuroscienziati affermano che può essere studiata in maniera quantitativa, perché ha una base biologica.

Meck effettuò una serie di esperimenti sui topi (quattro per la precisione) che lo portarono a concludere che esiste un orologio interno nei topi e che questo orologio è regolato mediante la dopamina: di qui la sua “dopamine clock hypothesis”: un’elevata presenza di dopamina rallenta la percezione del tempo e, viceversa, una bassa concentrazione del neurotrasmettitore accelera la percezione del tempo.

Per molti anni questa ipotesi è rimasta tale, nel senso che non si sono avuti riscontri sperimentali tali da consolidarla definitivamente. Gli esperimenti di Sofia Soares, Bassam V. Atallah e Joseph J. Paton confermano che l’orologio interno esiste, che è regolato dalla dopamina, ma in maniera opposta a quanto sostenuto da Meck: più dopamina c’è, più il tempo sembra passare velocemente.  

Soares e i suoi colleghi sembrano confermare la nostra soggettiva percezione del tempo (o, almeno, la percezione che ne ha chi scrive): nei momenti di più intensa felicità il tempo vola, nei momenti di noia o di sofferenza, il tempo non passa mai. Ma sulla base scientifica di questa percezione umana, troppo umana, conviene essere prudenti. Gli esperimenti, specialmente quelli effettuati sui topi, sono delicati. E basta un piccolo errore per far giungere i ricercatori a conclusioni addirittura opposte. Non resta dunque, è il caso di dirlo, che aspettare che il tempo (quello misurato con l’orologio) passi, sciogliendo possibilmente ogni residua riserva.

Pietro Greco

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