SCIENZA E RICERCA

A 5 anni dall’ERC: Collini, la fotosintesi e un laboratorio all’avanguardia

Nel 2012 l’European Research Council decideva di investire un milione e mezzo di euro su una giovane studiosa padovana di 33 anni che proponeva di indagare i meccanismi ancora poco noti dei processi di cattura dell’energia solare, ispirata da ciò che avviene nelle piante attraverso la fotosintesi clorofilliana. E suggeriva di farlo attraverso l’ideazione di nuove tecniche spettroscopiche. Dovevano essere ben chiare le ricadute che avrebbe potuto avere il progetto, se si considera che la fotosintesi è il più efficiente sistema di conversione energetica sulla Terra e dunque un ottimo modello a cui guardare per produrre energia in modo pulito. Capire il processo che avviene in natura significa, potenzialmente, favorire lo sviluppo tecnologico non solo nel campo del fotovoltaico, ma anche dei sensori e delle cellule a combustibile. Ebbene, a distanza di cinque anni dal finanziamento del progetto Quentrhel, Elisabetta Collini in una ipotetica check list può mettere la spunta agli obiettivi che si era preposta. E, grazie alla proroga di un anno, potrà proseguire lo studio fino a marzo del 2018.  

La docente del dipartimento di Scienze chimiche consegna innanzitutto alla comunità scientifica un nuovo laboratorio di spettroscopia elettronica multidimensionale che, per il tipo di strumentazione posseduta, si distingue tra i pochi al mondo. In secondo luogo, dopo aver analizzato in questi anni una serie di sistemi artificiali per la cattura di energia solare, di modelli molecolari di sintesi che mimano i processi di trasferimento energetico presenti nelle piante, ne descrive caratteristiche e proprietà creando una sorta di “libreria” cui poter attingere. Una mole di informazioni di cui potersi servire, ad esempio, per valutare nuovi tipi di materiali di possibile interesse anche per celle fotovoltaiche. “A noi – spiega – interessa capire in che modo la natura riesca a essere così efficiente, per riuscire a preparare dei materiali molecolari che imitino l’analogo naturale”.

Foto: Massimo Pistore

La ricerca svolta dal gruppo padovano parte da un presupposto importante, da una scoperta a cui la stessa Collini ha contribuito qualche anno fa durante il periodo trascorso alla University of Toronto, nel gruppo del professor Gregory Scholes: i processi di cattura energetica nelle piante, che avvengono nella prima fase del processo di fotosintesi detto light harvesting, non rispondono alle leggi della fisica classica come si pensava, ma sono regolati da meccanismi di tipo quantistico che finora si ritenevano legati solo a condizioni ambientali estreme. Ora si sta cercando di fare chiarezza proprio su questi aspetti e il gruppo della scienziata padovana sta dando un apporto significativo alla loro comprensione. “Quello che coordino è un team brillante e motivato – tiene a sottolineare – senza il quale non sarebbe stato possibile raggiungere questi risultati”. I ricercatori nel corso di questi anni hanno cercato di capire in particolare in che modo la struttura dei sistemi (cioè la geometria molecolare, la connettività tra gli atomi) possano influire e talora controllare gli effetti quantistici che si manifestano nella prima fase della fotosintesi. Studi resi possibili dall’introduzione di nuove tecniche spettroscopiche.

Foto: Massimo Pistore

Non nasconde una certa soddisfazione Elisabetta Collini quando parla del nuovo laboratorio allestito all’università di Padova. “Un fiore all’occhiello”, lo definisce la giovane studiosa, una strumentazione all’avanguardia che occupa degli spazi nel seminterrato del dipartimento di Scienze chimiche. “C’è stato un grosso sforzo da parte mia e del mio gruppo per creare l’ambiente più idoneo a svolgere il nostro progetto di ricerca. Abbiamo acquistato delle sorgenti laser ‘standard’ con cui abbiamo costruito il nostro set-up, cioè una serie di dispositivi ottici che utilizziamo per effettuare le misurazioni”. 

Il gruppo, in pratica, ha realizzato diverse varianti di spettroscopia elettronica bidimensionale basate per esempio sull’impiego di luce polarizzata o su diverse geometrie dei fasci laser. Si tratta di una tecnica che permette di seguire dei processi con una risoluzione temporale dell’ordine dei femtosecondi, cioè di milionesimi di miliardesimo di secondo. In questo modo si è in grado di cogliere processi velocissimi, come sono del resto gli effetti quantistici che i ricercatori stanno studiando. “Non esistono molti laboratori di questo tipo e ciò mi rende particolarmente orgogliosa: un paio in Italia, giusto per dare qualche numero, quattro o cinque in Europa e una quindicina in tutto il mondo. Complessivamente, tra allestimento dei locali e strumentazione, il laboratorio ci è costato più di mezzo milione di euro e senza il finanziamento europeo non sarebbe mai stato possibile pensare a un’impresa di questo genere”. 

Elisabetta Collini spiega che il laboratorio funge anche da volano per nuove collaborazioni accademiche, dato che alcuni ricercatori si sono già rivolti al gruppo padovano per l’analisi di materiali di vario tipo. “Saper maneggiare questo tipo di spettroscopia richiede un elevato livello di specializzazione e questo circoscrive il suo utilizzo a poche persone, anche per ragioni di sicurezza. La struttura, in pratica, si configura come una nuova facility nel nostro ateneo”.  

Monica Panetto

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