SOCIETÀ

Anno nuovo, armi nuove: le mine di Trump

La risposta di Donald Trump alle nuove armi di Vladimir Putin non si è fatta attendere; se la Russia punta a ipertecnologici, iperveloci missili nucleari, gli USA propongono armi all’estremo inferiore dello spettro di potenza esplosiva: lo sviluppo di nuove mine anti persona e una nuova politica per il loro impiego. Mentre gli Avangard russi rientrano nel confronto strategico fra le due potenze, le mine americane avranno un impatto immediato nelle operazioni convenzionali sui vari fronti in giro per i mondo. Venerdì 31 gennaio scorso il presidente americano ha appunto deciso di annullare la Presidential Policy Directive-37 (PPD-37) emessa da Barack Obama nel gennaio 2016 per fissare la politica statunitense in materia di mine antiuomo

Obama aveva già indicato nel settembre 2014 la decisione di avvicinare gli USA agli obiettivi umanitari del bando totale delle mine anti persona introducendo una nuova politica basata su quattro elementi fondamentali: il bando dell’impiego di mine anti persona al di fuori della penisola coreana e la distruzione delle scorte di mine non necessarie per la difesa della Repubblica di Corea; il bando della produzione e acquisizione di tali armi; lo studio di armamenti alternativi; la ripresa delle azioni verso l’adesione degli USA al bando delle mine. Nella PPD-37 venne inoltre precisato che la decisione dell’impiego di mine spettava al presidente degli USA e che le mine anti persona devono rispettare le regole indicate nel secondo protocollo della Convenzione sulle armi inumane.

Al posto della PPD-37, il segretario della difesa Mark Thomas Esper ha indicato in un memorandum per le forze armate la nuova politica delle mine anti persona, operativa dal primo febbraio 2020, “appropriata per le sfide operative odierne, pur rispettando l’intento di limitare il rischio di danni involontari ai non combattenti”. 

Le ragioni di  Trump e le condizioni di Esper

Le mine diventano uno strumento importante per “la strategia di difesa nazionale, che richiede che i nostri militari riguadagnino i loro vantaggi competitivi diventando più letali, resistenti, agili e pronti per tutta una varietà di potenziali contingenze e aree geografiche. Sistemi di controllo ambientale, come le mine antiuomo, svolgono un ruolo importante per tali obiettivi. Questi sistemi contribuiscono a proteggere le forze di difesa sia da carri armati che da fanteria nemici e ad assicurare che le unità sotto attacco non siano travolte o bloccate. Le mine ostruiscono e dirigono i movimenti del nemico, incanalando le forze nemiche in zone in cui le forze statunitensi possono concentrare una potenza di fuoco travolgente. Inoltre ritardano o bloccano le forze nemiche, migliorando l’efficacia delle altre armi che le forze statunitensi possono impiegare, e per di più con ridotti requisiti di manodopera e munizioni. Infine, fungono da moltiplicatore di forza, aiutando le forze degli Stati Uniti a combattere efficacemente contro minacce nemiche anche numericamente superiori.” 

Per poter valorizzare a pieno le potenzialità belliche delle mine, nel rispetto dei vincoli legali esistenti per gli USA, la nuova politica della Difesa prevede: di non impiegare mine antiuomo persistenti, ma solo mine con meccanismi di autodistruzione e auto-disattivazione entro 30 giorni o meno dall’installazione; alle autorità militari responsabili delle operazioni vengono demandate le decisioni relative all’impiego di mine, alla durata dei campi minati, senza limitazioni geografiche a priori, sulla base delle sole necessità operative militari.

“Inoltre, sebbene le mine antiuomo non-persistenti riducano adeguatamente il rischio di danni involontari per i non combattenti, i dipartimenti militari dovranno esplorare l’acquisizione di mine antiuomo e sistemi alternativi che possano ridurre ulteriormente il rischio di danni involontari ai non combattenti”.

L’esercito americano è da tempo impegnato a sviluppare il programma Gator Landmine Replacement, su cui ha già investito centinaia di milioni di dollari e prevede di spenderne 93 milioni nel corrente anno finanziario. Il programma prevede di sostituire le attuali mine “stupide” con un sistema di armi d’ostacolo protettive collegate in rete fra loro e con un militare, in modo che se un sensore viene fatto scattare, il soldato ha la capacità di indagare la situazione e discernere se il sensore è stato attivato da un combattente, un non combattente, un veicolo o un animale. Una volta determinata la causa del segnale, il militare ha la possibilità di attivare o meno l’arma e, nel caso, di eliminare la minaccia.

Limitazioni umanitarie all’impiego di mine anti persona

Il diritto umanitario, che fissa i limiti delle azioni militari in guerra, comprende l’inviolabile principio di distinzione che proibisce attacchi deliberati contro la popolazione civile o obiettivi civili e limita la violenza bellica solo contro le forze armate della parte avversa, le persone che partecipano attivamente alle ostilità e gli obiettivi militari. 

Alla luce di tale principio, nel 1980 venne  approvata la Convenzione sul divieto o la limitazione dell’impiego di talune armi classiche che possono essere ritenute capaci di causare effetti traumatici eccessivi o di colpire in modo indiscriminato (“Convenzione sulle armi inumane” CCW). La convenzione CCW si presenta come uno strumento quadro completato da protocolli riguardanti armi specifiche e originalmente si limitava a conflitti internazionali ma con la seconda conferenza di revisione (21 novembre 2001) venne estesa a valere in ogni circostanza, in pace e in guerra e per ogni tipo di conflitto internazionale o interno. 

Il complesso secondo protocollo della CCW (rivisto nel 1996) riguarda il divieto o la limitazione dell’impiego di mine, trappole e altri dispositivi; in particolare, fra l’altro, proibisce l’uso di trappole e l’impiego di mine contro non combattenti o obiettivi civili e la creazione di campi minati ad alto rischio per la popolazione; sono escluse mine che non possono venir individuate nella fase di bonifica e quelle che non si autodistruggono dopo un certo periodo o non si auto-disattivano; si impone l’eliminazione dei campi minati appena termina la loro funzione militare, e la precisa documentazione delle zone minate; vengono imposte limitazioni al commercio e scambio di mine, indicate procedure per le operazioni di bonifica e si sollecita e formalizza la collaborazione internazionale. Il protocollo è attualmente in forza in 106 paesi, incluse Cina, Corea del Sud, India, Israele, Pakistan, Russia e USA.

Alcuni paesi trovarono insufficienti i limiti imposti dalla CCW alle mine antiuomo, data la vasta contaminazione mondiale da tali ordigni con le pesanti conseguenze per la vita o integrità delle popolazioni civili e per il ripristino della vita ordinaria dopo la cessazione dei conflitti. Il Canada lanciò un processo diplomatico (“processo di Ottawa”) alternativo alla CCW per raggiungere un bando totale dalle mine. Al compimento dell’obiettivo concorsero numerosi paesi, il Comitato internazionale della croce rossa e molte attive organizzazioni non governative, che svilupparono una incisiva campagna internazionale (International

Campaign to Ban Landmines ICBL), suscitando l’universale rifiuto popolare per queste armi insidiose. 

Una conferenza diplomatica tenuta a Oslo (1-18 settembre 1997) definì la Convenzione sul divieto dell’impiego, del deposito, della fabbricazione e del trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione (Convenzione di Ottawa) per il bando definitivo di queste armi, nel contesto dei principi umanitari. La convenzione è in vigore dal 1 marzo 1999; vi aderiscono attualmente 164 stati, ma non ne fanno parte importanti paesi, fra cui Cina, le due Coree, Cuba, Egitto, India, Iran, Israele, Libia, Myanmar, Pakistan, Russia, USA e Vietnam. 

Le mine antiuomo continuano a uccidere 

Cessato da anni l’interesse dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica mondiali per le mine antiuomo, estremamente importanti sono gli annuali rapporti del Landmine and Cluster Munition Monitor, che mantiene viva l’attenzione su questi ordigni che continuano a colpire in particolare le popolazioni civili. 

L’ultimo rapporto (novembre 2019) informa che nel corso del 2018 ci sono state 6.897 vittime di mine o residuati bellici, con 3.059 decessi, in 50 paesi; il 71% delle vittime è formato da civili e di queste il 54% bambini. Il Landmine Monitor ha confermato nuovi impieghi di mine anti persona da parte dell’esercito del Myanmar e da forze non governative in Afghanistan, India, Myanmar, Nigeria, Pakistan e Yemen. Undici stati sono ritenuti continuare a produrre mine: Cina, le due Coree, Cuba, India, Iran, Myanmar, Pakistan, Russia, Singapore e Vietnam, con India, Myanmar e Pakistan particolarmente attivi. Gruppi non governativi hanno prodotto nel corso del 2018 mine improvvisate in Afghanistan, Colombia, Myanmar, Nigeria, Pakistan, Tunisia e Yemen. 

A ottobre 2019 risultano ancora colpiti da mine 60 paesi, ed esistono zone contaminate superiori a 100 km2 in Afghanistan, Angola, Azerbaijan, Bosnia ed Erzegovina, Cambogia, Ciad, Croazia, Iraq, Tailandia, Turchia, Western Sahara e Yemen. 

Nel 1999, negli arsenali mondiali erano immagazzinate circa 160 milioni di mine anti persona e a tutt’oggi ne rimangono ancora un 50 milioni. Dal 1999 a oggi ci sono state in totale oltre 130 mila vittime, con 90 mila sopravvissuti, molti gravemente mutilati.

Il problema delle mine anti persona è quindi sempre attuale e nonostante gli sviluppi tecnologici queste infide armi rimangono in grado di causare danni indiscriminati e gravi sofferenze e ferite a non combattenti e danni ambientali a lungo termine. 

La nuova politica americana rispecchia l’atteggiamento generale di Trump: insofferenza per i vincoli internazionali, rifiuto astioso di ogni decisione di Obama, minima sensibilità per i diritti umani, ampia libertà di azione operativa concessa ai militari.

Riducendo le restrizioni sull’impiego di mine anti persona, riprendendo di fatto la loro produzione e prevedendone l’impiego nel prossimi conflitti, gli USA legittimano  e normalizzano il loro uso da parte di ogni paese, invertendo la tendenza umanitaria verso il loro bando assoluto, come universalmente richiesto.

alessandro pascolini

ALESSANDRO PASCOLINI

Alessandro Pascolini è uno studioso senior dell’Università di Padova, già docente di fisica teorica e di scienze per la pace, ed è vice-direttore del Master in comunicazione delle scienze. Si occupa di fisica nucleare, controllo degli armamenti e divulgazione scientifica. Dal 1988 al 2002 è stato responsabile delle attività di promozione della cultura scientifica dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, producendo una sessantina di mostre in Italia e all’estero e predisponendo testi e materiali audiovisivi, cinematografici e multimediali. La Società Europea di Fisica gli ha conferito il premio 2004 per la divulgazione scientifica. È vicepresidente dell’ISODARCO e partecipa alle Pugwash Conferences on Science and World Affairs.

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