SOCIETÀ

I morti invisibili sul posto di lavoro

In poco più di sei mesi nel 2018 nel solo Nordest (la locomotiva produttiva di Italia “laboriosa e felice”) ci sono stati 32 morti sul lavoro (dato aggiornato al 17 luglio). Nel resto di Italia non è andata meglio, ma limitiamoci pure al dato “locale”. Facciamoci allora una domanda: queste 32 vittime, tutte con un nome e cognome e una famiglia alle spalle, cosa rappresentano? Fermiamoci su una parola molto precisa: rappresentano o non rappresentano un’emergenza?

Se digitate in Google “emergenza morti sul lavoro” vi escono in tutto 62 risultati. Se provate con “emergenza incidenti sul lavoro” ( sempre rigorosamente fra virgolette) ve ne escono ancora meno, 59. Ma cosa accade se cambiate argomento, se allargate lo sguardo a altre problematiche, se tentate una comparazione? Prendiamo come “esempio alternativo” l’immigrazione, quante volte troviamo riprodotto sul motore di ricerca l’espressione “emergenza migranti”? Ben 286mila volte, avete capito bene 286mila , il quadro e la percezione si ribaltano totalmente e ce lo confermano pure “l’emergenza profughi” che segue a 79mila e “l’emergenza immigrazione” a 89.300.

Questo ci dice Google, nel rapporto caduti sul lavoro vs migranti siamo abbondantemente sotto lo 0,1%. Se facessimo lo stesso esperimento coi titoli dei giornali o i servizi dei telegiornali nazionali o i post sui social il risultato non cambierebbe. Talvolta nei tg si parla dei morti sul lavoro, si dice che i colleghi della vittima hanno proclamato uno sciopero, si dà conto delle reazioni sindacali, ma non c’è mai un racconto approfondito, qualcosa che susciti emozione e solidarietà, così il muro dell’indifferenza mediatica non si rompe e tutto resta come prima. Niente da fare: perdere la vita lavorando è solo una “tragica fatalità”dovuta o a imperizia o a sfortuna.

Torniamo indietro allora: se morire per guadagnarsi da vivere non viene ritenuta tale, cosa diavolo è allora un’emergenza? Qui può esserci di aiuto il vocabolario Treccani. Limitandoci alla parte riguardante il linguaggio giornalistico il vocabolario ci spiega che è una “situazione di estrema pericolosità pubblica, tale da richiedere l’adozione di interventi eccezionali”.

Mettiamo allora insieme i tasselli del ragionamento così come si è configurato finora leggendo criticamente ciò che si trova in Rete e sui media: evidentemente i migranti rappresentano questa “estrema pericolosità” e “richiedono provvedimenti eccezionali”, le vittime del lavoro no.

Ma chi ha deciso tutto questo? Che l’equivoco nasca dalla parola incidente? Può essere , ma solo fino a un certo punto se pensiamo che negli scorsi anni l’indignazione per il ripetersi degli incidenti automobilistici ha portato all’introduzione in Italia del reato di omicidio stradale, con tanto di leader politici pronti a celebrare l’evento. No, su questa problematica c’è qualcosa di specifico. Gli attori che orientano e focalizzano l’attenzione dell’opinione pubblica, politici e media che siano, di alcune cose parlano, di altre no. Perché su alcune si possono conquistare attenzione e consensi, su altre no. Ce li vedete opinionisti da talk show parlare con competenza di organizzazione del lavoro? Oppure fare sistematiche campagne di denuncia sulla carenza di controlli, sulla inadeguatezza delle misure di sicurezza, mettere in discussione quanto accade all’interno delle aziende? Dicono che viviamo un tempo in cui l’emotività prevale sul ragionamento. Vero, ma è un’emotività selettiva. Sulle vittime di un omicidio si fanno dirette, si ascoltano i familiari, i vicini, si fa il punto sulle indagini per molte sere consecutivamente, ci sono trasmissioni dedicate. Per chi cade in cantiere o in fabbrica il giorno dopo scende il silenzio.

Anni fa fior di sapientoni da talk show ci spiegavano che le ideologie ( intese come visioni del mondo legate a idee astratte e propagandistiche) erano ormai superate dal pragmatismo della concretezza. E qual è il risultato di cui il giornalismo sembra non accorgersi? Che i migranti per informazione e politica costituiscono un’emergenza che richiede “l’adozione di provvedimenti eccezionali”, i morti sul lavoro no. Sono morti in carne ossa, non una percezione, ma vengono subito rimossi, di fatto cancellati dalla scena. Se non è ideologico tutto questo, cos’altro è?

Roberto Reale

ROBERTO REALE

Giornalista e scrittore, laureato in Scienze Politiche con una tesi sul Corriere della Sera, entra in Rai come vincitore di concorso nel 1979. Caporedattore alla Rai del Veneto, è successivamente vicedirettore della Testata Giornalistica Regionale, del Tg3 e di Rainews 24. Qui cura “Scenari l’Inchiesta Web”, settimanale di approfondimento sull’attualità che, per la prima volta in Italia, propone in televisione un lavoro di indagine giornalistica che sfrutta come fonte di inchiesta documenti e materiali presenti in Rete e negli archivi Web. Si occupa di comunicazione e dell’evoluzione dei media , degli effetti concreti che nuovi strumenti e tecnologie hanno sulla società con particolare attenzione ai temi legati a cittadinanza e democrazia. Oggi è docente a contratto all'Università di Padova nel Corso di Laurea Magistrale in Strategie di Comunicazione dove insegna Radio Televisione e Multimedialità

Interruttore
Leggi la biografia

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012