SCIENZA E RICERCA

Un nuovo trattato in via di estinzione: l’accordo Open Skies

La nomoclastia del presidente americano Trump sta considerando l’eliminazione di uno degli ultimi accordi internazionali sul controllo degli armamenti ancora sopravvissuti alla sua furia: il trattato Open Skies. Il Trattato sui “cieli aperti”,in vigore dal 1° gennaio 2002,autorizza gli stati parte a condurre voli di osservazione disarmati sui territori di altri stati parte. Sappiamo dell’intenzione dell’amministrazione americana di ritirarsi dal trattato dalla lettera inviata il 7 ottobre scorso dal presidente della commissione per gli affari esteri della Camera degli Stati Uniti, Eliot L. Engel, al consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien, in cui esprime la preoccupazione della commissione per l’iniziativa di Trump.

Il trattato, negoziato fra la NATO e il Patto di Varsavia, vale fra 34 dei 35 paesi allora membri delle due organizzazioni difensive (il Kyrgyzstan non lo ha ancora ratificato): copre quindi quasi tutta l’Europa, incluse la Bielorussia, la Russia e la Turchia, oltre al Canada, la Groenlandia e gli Stati Uniti. Il trattato è di durata illimitata, prevede conferenze di revisione periodiche e ha come depositari il Canada e l’Ungheria.

Un po’ di storia

L’idea di un regime di voli di osservazione aerea disarmati per promuovere la reciproca fiducia, la prevedibilità e la stabilità strategica fu inizialmente suggerita dal presidente americano Dwight Eisenhower nel 1955. Il 12 maggio 1989, il presidente George Bush propose la creazione di un regime di cieli aperti, sviluppando il concetto di Eisenhower. In base a questo regime, i partecipanti avrebbero volontariamente aperto il loro spazio aereo su una base reciproca, consentendo il sorvolo del loro territorio al fine di rafforzare la fiducia e la trasparenza rispetto alle loro attività militari. 

Nel dicembre 1989, i partecipanti alla riunione del Consiglio della NATO concordarono il documento Open Skies: Basic Elements per l’istituzione di un regime di cieli aperti per i membri della NATO e del patto di Varsavia al fine appunto di promuovere l’apertura e la trasparenza, creare fiducia, e facilitare la verifica degli accordi sul controllo degli armamenti e sul disarmo.

Nell’incontro tra la NATO e il Patto di Varsavia a Ottawa il 12 febbraio 1990, il Canada e l’Ungheria proposero un’iniziativa analoga. Ulteriori negoziati a Vienna nell’ambito della conferenza dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) con la partecipazione degli Stati membri della NATO e del patto di Varsavia portarono alla firma del trattato 24 marzo 1990.

Elementi del trattato

Il trattato precisa in modo dettagliato il regime dei cieli aperti per lo svolgimento dei voli di osservazione. Il trattato conferisce a ciascuna parte il diritto di condurre, e l’obbligo di accettare, voli di osservazione su qualsiasi punto dell’intero proprio territorio, stabilendo una “quota passiva” per ciascuno stato, ossia il numero totale di voli di osservazione sul proprio territorio, e una “quota attiva”, il numero di voli sul territorio di ogni altro stato. 

La quota attiva di uno stato non può superare la sua quota passiva e un singolo stato non può richiedere più della metà della quota passiva di un altro stato. L’allegato A specifica entrambe le quote: per esempio, 42 quote per Russia e Stati Uniti, 12 per i maggiori paesi europei (Italia inclusa) e per gli altri stati da 7 (Norvegia) a 2 (Portogallo). Il trattato autorizza le parti a formare gruppi e ridistribuire le loro quote attive e ad avere un totale comune di quote attive e passive.

I voli di osservazione vanno condotti utilizzando aerei designati, appartenenti allo stato osservante o forniti dalla parte sotto osservazione. Per condurre un volo di osservazione, l’osservante deve fornire un preavviso di almeno 72 ore a chi desidera osservare e un piano di missione almeno 24 ore prima dell’inizio del volo. Lo stato osservato può proporre modifiche al piano di missione presentato e, in determinate condizioni, possono venir consentite deviazioni dal piano stesso. La missione di osservazione deve essere completata entro 96 ore dall’arrivo dello stato osservante, salvo diverso accordo. 

Vengono precisati gli aeroporti di partenza e quelli per eventuali rifornimenti e la lunghezza massima consentita alla missione a seconda dell’aeroporto, a garantire la totale copertura dello stato osservato: 5000-6500 km sulla Russia, 5000-6000 km sul Canada, 3.000-4.900 km sugli USA, 2100 km sull’Ucraina e fra 600 e 1.700 km per i vari paesi europei. 

Il trattato specifica quattro tipi di sensori per i velivoli di osservazione: telecamere ottiche panoramiche e ad aggiustamento automatico delle immagini, videocamere con visualizzazione in tempo reale, dispositivi di scansione nell’infrarosso e radar ad apertura sintetica laterale. Nel 2016 la Russia ha iniziato a usare sensori elettro-ottici digitali. Una copia di tutti i dati raccolti dall’osservante deve essere fornita al paese ospitante, mentre gli altri stati ricevono un rapporto di missione e hanno la possibilità di acquistare i dati raccolti dallo stato osservante.

Il trattato ha istituito una commissione consultiva per i cieli aperti (OSCC) che conduce i suoi lavori per consenso in riunioni plenarie mensili presso la sede dell’OSCE a Vienna. L’OSCC è responsabile delle questioni relative all’osservanza del trattato e cerca di risolvere le ambiguità e le differenze di interpretazione qualora dovessero verificarsi, prendere in considerazione le domande di adesione e occuparsi delle misure tecniche e amministrative. 

Risultati e tensioni

Nel contesto del trattato sono stati effettuati circa 1.500 voli di osservazione, un centinaio all’anno: in particolare 70 della Russia sugli USA e 200 degli USA sulla Russia, incluse delicate missioni nel 2014 dopo l’annessione russa della Crimea e nel 2018 quando i russi sequestrarono tre navi ucraine e i loro equipaggi nel Mar Nero. 

Come per ogni trattato internazionale, anche Open Skies non è stato perfettamente rispettato, in particolare a seguito del raffreddamento dei rapporti fra i paesi occidentali e la Russia. Già dal 2010 la Russia ha impedito i voli sull’Ossezia meridionale e l’Abkhazia, al confine fra Russia e Georgia, e la Georgia si è opposta a consentire ulteriori voli russi sul proprio territorio. Anche in reazione a una missione polacca ai limiti della regolarità, la Russia ha limitato a 500 km i voli consentiti agli Stati Uniti sull’enclave fortemente militarizzata di Kaliningrad. Gli USA, a loro volta, hanno posti vincoli ai voli russi su strutture militari in Alaska e Hawaii. 

I contrasti si sono intensificati a partire del 2017: gli Stati Uniti hanno annunciato che gli equipaggi russi non erano i benvenuti per pernottamenti nelle sue basi in Georgia e nel Sud Dakota e, in risposta, la Russia ha chiuso tre delle proprie basi militari previste quali punto di partenza di missioni americane.Queste questioni avrebbero potuto trovare composizione nell’ambito della commissione OSCC, se ci fosse un minimo di buona volontà da entrambe le parti, un atteggiamento ormai poco disponibile. 

Sotto l’influenza di John Bolton, fino al 10 settembre consigliere di Trump sulla sicurezza nazionale, negli USA si sono andate intensificando le critiche anche a questo trattato, sostenendo che possa essere di interesse solo per la Russia, dato che l’osservazione satellitare americana fornisce informazioni superiori a quelle aeree permesse dai “cieli aperti”. Così, nel maggio del 2018 l’amministrazione americana ha bocciato la richiesta dell’aereonautica di sostituire i due obsoleti aerei OC-135 destinati alle missioni di osservazione e il 13 agosto Trump ha passato un decreto legge di sospensione dei finanziamenti per il trattato finché “la Russia non sia in completa osservanza dei suoi obblighi”, motivazione invocata in modo pretestuoso per l’affossamento di precedenti accordi internazionali. 

Analisti americani ritengono che l’attuale iniziativa di Trump sia frutto di un colpo di coda di Bolton: egli avrebbe preparato il documento che il suo successoreO’Brien avrebbe fatto firmare al presidente, senza consultare sulla questione gli esperti diplomatici, militari e della sicurezza nazionale. Il documento firmato da Trump di per sé non comporta l’immediato ritiro americano dal trattato, che prevede (articolo XV) che ogni nazione che intenda recedere deve informare le altre parti almeno sei mesi prima; finora non ci sono state iniziative in tal senso da parte del segretario di stato. 

Va osservato che se il trattato può essere di maggior interesse per la Russia rispetto agli USA, date le minori capacità tecnologiche, esso svolge un cruciale ruolo di garanzia di sicurezza anche per tutti i paesi europei, e contribuisce a creare una situazione di trasparenza e di stabilità nel nostro continente. 

Infatti il maggior valore di Open Skies sta, piuttosto che nella raccolta dei dati nella cooperazione internazionale che promuove, nel mantenimento di un foro multilaterale, l’OSCC, dove discutere dei problemi della sicurezza di ciascuno e anche negli stessi contatti umani degli equipaggi delle due parti che compiono assieme i voli di osservazione. Infine, Open Skies è uno degli ultimi strumenti internazionali di controllo degli armamenti ancora in vigore e la sua fine segnerebbe un ulteriore passo nella direzione di negare validità al processo negoziale verso il disarmo e potrebbe togliere valore alla stessa nozione di “legge internazionale”. 

alessandro pascolini

ALESSANDRO PASCOLINI

Alessandro Pascolini è uno studioso senior dell’Università di Padova, già docente di fisica teorica e di scienze per la pace, ed è vice-direttore del Master in comunicazione delle scienze. Si occupa di fisica nucleare, controllo degli armamenti e divulgazione scientifica. Dal 1988 al 2002 è stato responsabile delle attività di promozione della cultura scientifica dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, producendo una sessantina di mostre in Italia e all’estero e predisponendo testi e materiali audiovisivi, cinematografici e multimediali. La Società Europea di Fisica gli ha conferito il premio 2004 per la divulgazione scientifica. È vicepresidente dell’ISODARCO e partecipa alle Pugwash Conferences on Science and World Affairs.

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