SOCIETÀ

C'è bisogno del sindacato. Subito

Nonostante si discuta sempre più spesso della loro fine annunciata, tornano in questi giorni a far parlare ancora una volta di sé i sindacati americani, assieme naturalmente ad alcuni dei loro nemici giurati. 

Ormai da mesi, dal maggio scorso per la precisione, sono in corso tesi negoziati sul rinnovo del contratto tra la piccola ma potente International Longshore and Warehouse Union, che rappresenta i lavoratori dei porti della costa del Pacifico, inclusi quelli di San Diego, Los Angeles e San Francisco, e le grandi compagnie di navigazione. Il braccio di ferro ha portato al blocco dei porti in questione nell’ultimo fine settimana e ha convinto persino il segretario al Lavoro Thomas Perez a rendersi disponibile per aiutare a trovare un compromesso. Intanto, dall’altra parte del Paese, sono in sciopero anche i dipendenti delle raffinerie di petrolio nei dintorni di Philadelphia in Pennsylvania. Non bisogna poi dimenticare che il 2014 è stato l’anno degli scioperi lampo dei lavoratori dei fast-food. 

Nel frattempo, il neo-eletto governatore repubblicano dell’Illinois, il finanziere miliardario Bruce Rauner, ha deciso di emulare il collega del Wisconsin Scott Walker dichiarando guerra ai sindacati del settore pubblico, con un decreto che limita enormemente la loro possibilità di raccogliere fondi per sostenere le proprie attività. E sempre in Illinois si avvicinano le elezioni per il primo cittadino di Chicago, con il sindaco uscente, il democratico Rahm Emanuel, ex-capo di gabinetto del presidente Barack Obama, che sta centrando la propria campagna per la rielezione sull’agenda delle riforme nel campo dell’istruzione che ha portato avanti durante il suo primo mandato e che l’ha visto scontrarsi duramente con i sindacati degli insegnanti. 

Arriva quindi a puntino il nuovo libro di Thomas Geoghegan, Only One Thing Can Save Us, su come solo una rinnovata coscienza dei lavoratori, capace di prendere forme nuove e diverse da quelle sindacali tradizionali, possa salvare l’anima democratica degli Stati Uniti. 

Il volume, snello e colloquiale, forse fin troppo, prende ad esempio la Germania della cogestione, dove i consigli dei lavoratori sono parte integrante del management delle grandi imprese e hanno un’influenza che va ben oltre la semplice negoziazione degli stipendi e dei benefit. L’obbiettivo è ambizioso, si tratta di arrivare a creare anche negli Stati Uniti un sistema di relazioni industriali nel quale i dipendenti, anziché essere poco qualificati e facilmente rimpiazzabili, diventino progressivamente sempre più coinvolti nella direzione complessiva della propria azienda. “Se i lavoratori non possono essere facilmente licenziati ci sono più ragioni per investire su di loro nel lungo periodo – scrive Geoghegan – […] Più grossi sono questi investimenti, più solide diventano le loro competenze e, di conseguenza, maggiori le responsabilità che si possono assumere, il che li rende ancora più difficili da sostituire […] e più pronti a rivestire incarichi importanti nei consigli dei lavoratori e persino nei consigli di amministrazione”. 

Non a caso proprio in Germania esiste una cultura diffusa dell’apprendistato, che i giovani che non vanno all’università, molto più numerosi di quanto non sia negli Stati Uniti, fanno direttamente in azienda. Le spese sono a carico degli imprenditori, e la qualificazione conseguita dai giovani apprendisti consente loro poi di arrivare a guadagnare stipendi che i lavoratori americani non si sognano nemmeno. Per Geoghegan, questo è un meccanismo assai più ragionevole per aiutare i meno privilegiati ad accedere alla classe media che non l’insistenza dei politici americani oggi sull’importanza di una laurea, quando in realtà il mercato del lavoro offre per lo più posti che non richiedono affatto questo tipo di qualifiche.  

In questo senso, è quindi interessante la battaglia sindacale dei dipendenti delle raffinerie della Pennsylvania che, grazie alle caratteristiche uniche dell’industria in cui operano, godono già di ottimi stipendi e benefit generosi, ma stanno lottando ora per ottenere maggiori garanzie a livello di sicurezza e di orari lavorativi. In pratica, proprio come auspica Geoghegan, essi chiedono di aver più voce in capitolo su come viene amministrato il proprio luogo di impiego. Oggi, però, il numero di lavoratori americani che ha un potere contrattuale sufficiente per avanzare richieste del genere è molto limitato. 

Per aumentare il genere e la portata di queste azioni sindacali, Geoghegan auspica campagne e scioperi diretti non agli imprenditori ma al Partito democratico, quindi di natura più apertamente politica e non più solo legate ai dettagli, seppure cruciali, del rinnovo di un contratto o alle modalità in cui le rappresentanze sindacali possono, o non possono, auto-finanziarsi. “A patto che tali mobilitazioni siano grosse e visibili, poco importa che vinciamo o perdiamo la singola battaglia – scrive l’autore – Mi pare lo scopo sia piuttosto di costruire un movimento politico in stile 1968, che obblighi il Partito democratico a fare propria una riforma delle leggi sulle aziende che introduca, ad esempio, i consigli dei lavoratori”. Tra gli altri obiettivi ultimi di Geoghegan anche una nuova cornice legislativa e legale che aggiunga l’appartenenza a un sindacato alla lista dei diritti civili, e quindi protegga dalla discriminazione i lavoratori che ne fanno parte in maniera più efficace delle norme attuali. 

Diversi i conflitti che sarà bene seguire da vicino per capire quali saranno gli sviluppi su questo versante. Uno è certamente il duello di Chicago tra un sindaco democratico ma poco amico dei sindacati - come per altro lo sono oggi molti dei leader democratici, incluso anche il Presidente Obama - e le rappresentanze degli insegnanti. Un duello che ha un valore simbolico di molto superiore ai punti contesi nella pratica, giacché si tratta di decidere che posto ha il movimento dei lavoratori nella politica progressista e liberal degli Stati Uniti. E del pari va seguito anche l’esito della causa intentata dai dipendenti di McDonald’s, che prova a re-interpretare la questione sindacale in chiave costituzionale.

Il difetto maggiore del libro di Geoghegan è infatti il non soffermarsi quasi per nulla sulle grandi trasformazioni economiche globali che hanno, negli anni, minato l’influenza dei sindacati americani. I porti californiani, ad esempio, sono destinati ad affrontare una competizione sempre più intensa grazie al prossimo allargamento del Canale di Panama, all’ammodernato porto di Vancouver in Canada e al progetto cinese di costruire un nuovo porto e un nuovo canale in Nicaragua. Nel futuro prossimo, quindi, l’insolito potere di cui gode ancora la International Longshore and Warehouse Union potrebbe diminuire drasticamente. Ma è forse proprio in questo contesto che le parole di Geoghegan appaiono particolarmente sagge. Per non morire, i sindacati e più in generale il movimento dei lavoratori devono assolutamente alzare la posta in gioco e mirare oltre la semplice difesa dei termini contrattuali.

Valentina Pasquali

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