SCIENZA E RICERCA

Per chi voti? Questione di Dna

Non manca molto alle prossime elezioni. E, da una parte all’altra degli schieramenti politici, i candidati si arrabattano a convincere gli elettori a dare il proprio voto. Dai cartelloni pubblicitari, alle incursioni televisive, fino a Twitter. Eppure esiste una possibilità che i nostri politici forse non considerano. E se l’orientamento dei votanti non fosse esclusivamente frutto di una scelta personale? Se non fosse solo l’espressione di valori e principi individuali, ma il colore politico fosse già scritto nel Dna? A dirla così l’ipotesi sembrerebbe alquanto azzardata, eppure esistono studi che si muovono in questa direzione. 

Di recente ne parla su The Independent Tim Spector, docente di epidemiologia genetica al King’s College di Londra, che presenta un’analisi condotta a marzo attraverso dei questionari su 2.355 gemelli (612 paia complete) di età compresa tra i 18 e gli 80 anni. L’analisi delle risposte fornite, secondo Spector, dimostrerebbe che i gemelli identici sono più propensi a votare allo stesso modo rispetto ai gemelli non identici, suggerendo che l’influenza genetica è più forte dei fattori ambientali. Questo però (precisazione curiosa) varrebbe solo per i conservatori e non per i liberal democratici. Possibile? 

Il rapporto tra genetica e politica non è nuovo nella letteratura scientifica, sebbene discusso da posizioni talora molto divergenti. I primi a toccare la questione, ad esplorare l’influenza che la genetica poteva avere negli orientamenti politici, furono probabilmente Lindon Eaves e Hans Eysenck in un articolo pubblicato nel 1974 su Nature. È tuttavia il contributo di Nicholas Martin e del suo gruppo alla metà degli anni Ottanta del Novecento a essere considerato fondamentale in questo settore di studi. In prima battuta, tuttavia, sembra che il lavoro sia rimasto lettera morta, ignorato dalla comunità scientifica. Le teorie eugenetiche della prima metà del Novecento, osserva Lizzie Buchen in un articolo su Nature, avevano reso gli scienziati estremamente sospettosi quando si trattava di questioni che prendevano in esame le differenze genetiche tra individui. Solo negli anni 2000 John R. Hibbing e John R. Alford vennero a conoscenza del lavoro di Martin e attraverso il riesame dei dati e nuovi studi su gemelli statunitensi giunsero alle stesse conclusioni. Da lì in poi, catturata l’attenzione degli studiosi, altre indagini anche su campioni considerevoli di gemelli giunsero a risultati similari. 

La questione, tuttavia, è ben lontana dall’essere valutata in modo univoco. A essere messa in discussione da alcuni è la stessa metodologia utilizzata. Ciò che si fa è confrontare gemelli monozigoti che condividono il 100% del codice genetico e gemelli eterozigoti che invece hanno in comune solo il 50% del Dna: se si riscontra con maggiore frequenza lo stesso tipo di comportamento nei gemelli omozigoti rispetto agli eterozigoti, si suppone che tale tratto possa essere influenzato da fattori genetici.  Ebbene, alcuni ritengono che questa procedura non renderebbe conto di come il genoma possa spingere le persone a votare a destra o a sinistra. Mentre altri osservano che questo tipo di studi verrebbe spesso pubblicato in riviste i cui editori e revisori hanno scarsa familiarità con il problema della replicabilità dell’esperimento. 

Nel commentare il più recente studio di Tim Spector Leonardo Salviati, docente di genetica all’università di Padova, è cauto: “Non si tratta di un articolo pubblicato su una rivista scientifica, sono ancora risultati preliminari e dunque non ancora sottoposti a sistemi di peer review. Non ho strumenti per valutare la metodologia seguita, né dei numeri precisi su cui poter ragionare”. Tuttavia continua: “Alcuni tratti della personalità hanno delle componenti genetiche che li determinano, pertanto non è implausibile supporre che l’orientamento politico abbia in parte anche radici genetiche, a patto che vi siano studi sufficientemente rigorosi da dimostrarlo. Ovviamente ad essere interessato non sarebbe un singolo gene, ma migliaia di varianti differenti”. Già molte ricerche dimostrano ad esempio che alcune patologie psichiatriche hanno una elevata componente genetica. In caso di disturbo maniaco-depressivo le coppie di gemelli ad avere entrambi la patologia sono molto più frequenti tra gli omozigoti che tra gli eterozigoti. Lo stesso discorso vale per alcuni tratti della personalità. 

Certo va considerato secondo Salviati che oltre alla componente genetica possono i fattori ambientali: la famiglia, la scuola, il lavoro, la società in cui si vive. Il problema consiste proprio nel valutare in che misura influiscono l’una e gli altri. Il docente spiega che l’ostacolo maggiore in questo genere di studi sta nell’individuare un sistema con cui definire il tratto della personalità che si intende esaminare. Un aspetto che, a differenza di elementi come l’altezza o il colore degli occhi, è difficilmente misurabile. A entrare in gioco sono numerose variabili. Oltre ai possibili problemi di metodo già osservati, va considerato anche che molti individui condividono lo stesso ambiente e questo potrebbe portare a sovrastimare alcune componenti e a sottostimarne altre. “L’orientamento politico di un individuo – continua Salviati – è un fattore complesso da considerare. Basti pensare che non manca chi nel corso della vita passa da posizioni di estrema sinistra a posizioni di estrema destra. Tuttavia non è da escludere la possibilità che a influire siano anche fattori genetici”. 

Il rapporto tra biologia e comportamento, dunque tra biologia e politica, non è nuovo e la genetica è solo uno degli aspetti considerati. Nonostante continuino a crescere tuttavia, gli studi sono da considerarsi ancora agli inizi e il dibattito rimane aperto.     

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