SOCIETÀ

“Vi racconto vent’anni di Russia”: da bazar di stato a impero economico

Ormai ci vive da 21 anni eppure Antonio Piccoli da Padova, area manager del gruppo Pavan di Galliera Veneta, è arrivato a Mosca per caso. Nessuno voleva andare nella Russia di Eltsin tra povertà, delinquenza e strascichi post-sovietici. Oggi la situazione è diversa: dopo anni incerti il gigante sembra essersi risvegliato, arrivando a superare l’Italia come ottava potenza industriale al mondo. Un cammino seguito molto da vicino da Piccoli, che da 10 anni è anche direttore di Confindustria Russia, l’associazione che raccoglie oltre 200 imprese che investono nella Federazione. “All’inizio trovai una specie di bazar disorganizzatissimo. Il sistema sovietico si stava dileguando, l’eccezione era divenuta la regola. Tutto molto lontano dall’immagine che ancora trapelava dai giornali italiani: quella di un paese freddo e cinico, l’ex ‘impero del male’”.

Oggi come è cambiata la situazione? “Il sacco dell’industria di stato è finito, e con esso inizia a scomparire anche il mito della ricchezza facile e veloce. Oggi, soprattutto nelle città, sta maturando una nuova coscienza civile e anche gli oligarchi – prima considerati come dei, circondati da paura e rispetto – sono ormai in via d’estinzione”. Un processo a cui per la verità non appare estraneo il presidente Vladimir Putin, che negli ultimi anni ha ingaggiato una lotta senza quartiere contro i gruppi di potere che non si piegavano alla sua volontà.

Oggi qual è la situazione per chi vuole investire nel Paese? “In questo momento chi vuole avere successo deve arrivare con i soldi. Il pionierismo degli anni ’90, l’epoca del porta a porta sono finiti. Per vendere i propri prodotti bisogna essere estremamente strutturati, e soprattutto tener conto delle peculiarità del mercato russo”. Quali? “Ad esempio la decisione d’acquisto è velocissima, ma non per questo superficiale. Le aziende sono abituate al tutto e subito, risposte veloci e operative. Poi sono molto preparati”. Un’eredità dell'educazione sovietica, che metteva la tecnica al prima posto? “Le aziende russe tendono ad essere molto organizzate, la maggior parte degli acquisti ormai si fanno in forma elettronica. Questo significa iscriversi a una Vendor list superando una preselezione, poi presentare una serie di documenti tramite i siti internet messi a disposizione”. E la corruzione? “Il problema non è eliminato, ma quasi sempre gli acquisti sono decisi da apposite commissioni, come negli Stati Uniti”.

Il mercato russo sembra maturare… “Sì, e questo può essere un problema per molte imprese italiane, soprattutto medie e piccole. Ottimi prodotti, ma non sempre si possono ripetere gli stessi schemi dell’Italia” E cosa state facendo per aiutarle? “Come associazione d’imprese cerchiamo di dare le ‘istruzioni per l’uso’. Poi il gioco di squadra: anche i grandi gruppi stanno capendo che devono dare un contributo, se proprio si vuole salvare il sistema Italia. Da questo punto di vista – mi permetta – la Russia è un’isola felice, e lo dico anche come esponente di un’azienda medio-piccola”. Ma l’Italia come appare da fuori? “Non vorrei apparire pessimista, ma l’uscita dal G8 è un dato di fatto, e tra poco potremmo essere fuori dal G20. La possibilità di cambiare appare lontana, e poi in fondo lo vogliamo davvero?”.

C’è oggi il rischio di un nuovo imperialismo? “Forse da un punto di vista economico; sempre più imprese russe vengono a ‘fare la spesa’ in Europa: anche la rete gas romana è per metà di Gazprom. Il passaggio può non essere indolore: per l’investitore russo il ritorno economico è la priorità, mentre appare più freddo verso tematiche come l’ecologia e i diritti dei lavoratori”. E dal punto di visto militare? “Tutto sommato non credo. Ovviamente vogliono contrastare lo strapotere americano; la guerra però oggi non si combatte con le testate nucleari, ma soprattutto con la tecnologia e l’informazione. In questo i russi sono pronti”.

Rimangono i problemi dell’evoluzione democratica del paese e dei diritti civili, tematiche molto sentite in Europa e negli Usa. “Personalmente ho visto un progresso anche in quest’ambito, certo in un paese in cui convivono diverse posizioni e anime. La Russia di oggi guarda comunque all’Europa più che all’Asia. Non è poco per un paese che vent’anni fa veniva da una mentalità da ‘grande caverna’”.

Antonio Piccoli, una laurea in filosofia all’università di Padova, è anche uno dei maggiori collezionisti di arte russa contemporanea: le opere della sua collezione vengono esposte in tutto il mondo. I cambiamenti degli ultimi anni si riflettono nella produzione artistica? “Senza dubbio. Negli anni ’90 c’erano ancora gli strascichi della cultura ufficiale: sostanzialmente propaganda di Stato. Del resto già Ždanov nel 1939 aveva stabilito per decreto non solo i contenuti, ma anche le forme dell’espressione artistica”. Quelli che tentavano di andare al di là, oltre ad essere condannati all’ostracismo, erano isolati rispetto ai grandi movimenti internazionali dell’arte mondiale. “C’era però una grande fame di novità: ne parlavamo in questi giorni con Francisco Infante [a dispetto del nome è uno dei maggiori artisti russi contemporanei, figlio di un rifugiato della Repubblica Spagnola ndr]. All’inizio degli anni Novanta alcuni giovani, che magari si limitavano a scopiazzare il surrealismo alla Dalì con un ritardo di cinquant’anni, vendevano le loro opere a quotazioni folli. Oggi quei quadri valgono meno della cornice. Poi però ci fu una seconda ondata di artisti, che iniziarono a viaggiare e a confrontarsi anche con i dissidenti che risiedevano all’estero, come Ilya Kabakov, esponente di una particolare forma di concettualismo, o la coppia di artisti Komar e Melamid, tra i maggiori esponenti della soc-art, una specie di pop art russa”.

Anche nell’arte, oltre che nell’economia, i russi sembrano aver bruciato le tappe. “L’arte russa ha una solida tradizione nelle avanguardie, basti pensare ad artisti del calibro di Kandinskij e Malevič. I russi sono inoltre estremamente permeabili alle novità. Oggi Mosca è una città estremamente viva dal punto di vista culturale: solo il museo di arte moderna in città ha cinque sedi, a cui si aggiungono il Mmoma e gli altri musei come il Puškin e la Galleria Tret'jakov. Ogni mese c’è almeno una grande mostra, a volte c’è solo il problema della scelta”.

Daniele Mont D’Arpizio

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