SOCIETÀ

Abkhazia, la periferia delle Olimpiadi

Dai piani più alti degli hotel di Tsandripsch, sul Mar Nero, la vista spazia fino ad Adler, una delle sedi delle olimpiadi russe di Sochi; si riescono a vedere lo stadio dove si svolgono le cerimonie di apertura e chiusura, la vicina arena per il pattinaggio sul ghiaccio e il villaggio olimpico, che ospita la maggior parte degli atleti. Tsandripsch si trova però a 1 chilometro oltre il confine russo, in Abkhazia, una nazione dichiaratasi unilateralmente indipendente nel 1999, senza legittimazione da parte della Georgia, lo Stato cui formalmente appartiene. A riconoscerne la sovranità sono infatti solamente Russia, Nicaragua, Venezuela e le due minuscole nazioni del Pacifico, Nauru e Tuvalu. Un’indipendenza (contestata) arrivata nel 2008, al termine di una guerra di stampo etnico durata quasi vent’anni che ha accompagnato il dissolvimento dell’Unione Sovietica. E che ha visto gravi violazioni dei diritti umani da entrambe le parti: con i georgiani accusati di saccheggi e omicidi e le truppe dell’Abkhazia riconosciute responsabili della pulizia etnica della quasi totalità della popolazione di etnia georgiana. La guerra ha poi portato l’economia abkhaza alla rovina e legato ancor di più le sorti di questo territorio all’appoggio russo, che è anche finanziariamente enorme, visto che nel 2012 ha costituito circa il 70% del budget nazionale.

Non stupisce quindi che per gli abkhazi la Russia faciliti le procedure per l’acquisizione del passaporto o della cittadinanza (l’International Crisis Group stima che circa l’80% della popolazione abbia passaporto russo), e la questione si è trasformata in un ulteriore elemento di attrito con la Georgia, nazione con la quale i rapporti rimangono difficili. Il tornaconto si è presentato immediatamente, soprattutto in termini militari: nell’agosto del 2008, durante la guerra fra Russia e Georgia per l’Ossezia meridionale, le truppe armate russe sono potute arrivare facilmente in territorio georgiano passando attraverso quello abkhazo. Da allora, la presenza militare russa nel territorio è molto estesa, con particolare concentrazione lungo il confine orientale, nel distretto di Gali, fronte con la Georgia.

Mappa della zona del Caucaso. In blu gli Stati del nord, in rosso la zona sud caucasica; in rosa, le due repubbliche separatiste. A ovest, sul Mar Nero, Sochi (fonte: University of New Haven)

Non sorprende dunque che la recentissima decisione del governo russo di ampliare il bordo della zona di sicurezza attorno agli impianti olimpici russi, spingendolo in terra abkhaza e muovendo di fatto di 11 chilometri  il confine con la Georgia  entro il territorio formalmente georgiano, abbia incontrato una decisa opposizione: “Creare senza permesso una zona di confine in territorio sovrano georgiano viola ancora una volta l’integrità e la sovranità territoriale della Georgia e rappresenta una flagrante violazione degli obblighi internazionali russi” ha commentato il ministro degli esteri georgiano a gennaio. Di fatto, la zona di sicurezza è a tutti gli effetti russa, e in quanto tale soggetta ai controlli di polizia delle persone e delle vetture in transito. L’ex presidente georgiano Saakashvili aveva pianificato un boicottaggio delle Olimpiadi di Sochi, ma il governo Ivanishvili, in carica dal 2012, ha poi deciso di partecipare: un atteggiamento meno ostile rispetto alla questione abkhaza, ma ugualmente fermo nel reclamare la propria sovranità territoriale, tanto da minacciare “reazioni adeguate” all’annuncio dello spostamento della linea di sicurezza.

Questione, quella della sicurezza, che si è presentata subito come una priorità: già da un mese, 24 ore su 24, la zona vicina agli impianti olimpici è pattugliata da circa 37.000 addetti alla sorveglianza. Un numero al quale si è giunti dopo un ulteriore incremento delle forze in seguito all’attacco suicida di Volgograd a dicembre, che ha causato 34 vittime. Il gruppo islamista che ha rivendicato l’attentato aveva anche minacciato di fare, in occasione delle Olimpiadi, “un regalo che ricompensi tutto il sangue islamico versato”. Già nel 2012 i servizi russi avevano dichiarato di aver trovato una decina di arsenali in Abkhazia, probabilmente veicolati attraverso la Turchia dal Caucaso settentrionale, e avevano accusato di complicità la Georgia.

Dalla prossimità al confine russo l’Abkhazia ha sperato di giovare fin dall’annuncio della scelta di Sochi come sede olimpica, nel 2007. Si credeva in un impatto sul turismo, che non si è però verificato; il risultato non è che la costruzione di pochi edifici e di semplici infrastrutture, non certo del sistema ferroviario che invece era stato previsto e promesso anche dal governo russo. La regione non ha ricevuto che benefici residuali rispetto ai grandi investimenti messi in campo per la realizzazione delle Olimpiadi. Nonostante le sue cave abbiano fornito alla Russia circa 20 milioni di tonnellate di materiale da costruzione, questa quantità è solo la metà di quella prevista nel 2011. Con l’avvicinarsi delle Olimpiadi l’Abkhazia è di fatto rimasta immobile e sempre più isolata, senza voli né navi a connetterla con l’esterno. Una terra che in questi giorni è sotto agli occhi del mondo, ma rimane invisibile.

Chiara Mezzalira

 

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