SOCIETÀ

L'ombra russa sui Balcani e sull'Europa dell'Est

Ormai il discrimine, soprattutto lungo la cerniera più a Est dell’Unione Europea, non è più tra conservatori e progressisti, tra destra e sinistra a volerla semplificare, ma tra candidati più o meno apertamente filo-russi che si contrappongono a quelli schierati nel campo occidentale, o comunque nell’alveo dell’Unione Europea. Una sfida che da politica diventa così di “appartenenza”, con bandierine da collocare da una parte o dall’altra, come ai tempi della guerra fredda. In Europa gli esempi non mancano: i premier di Ungheria e Slovacchia non perdono occasione per rimarcare nei fatti il loro ruolo di “ambasciatori del Cremlino”. E Mosca sta investendo moltissimo, in termini di tempo, uomini, denaro e tecnologia, per costruire (con mezzi non sempre leciti) un “cuscinetto di protezione” a quello che viene ritenuto il potere crescente della Nato, soprattutto nella penisola balcanica. Prova ne sia quanto sta accadendo in Georgia (la recente vittoria del partito Sogno Georgiano continua a essere aspramente contestata dalle opposizioni), oppure in Romania, dove le elezioni sono state addirittura annullate dalla Corte Costituzionale, dopo che i servizi segreti rumeni hanno portato alla luce documenti che proverebbero la regia del Cremlino in diversi “attacchi ibridi per condizionare il voto”. Secondo un alto funzionario della Nato, Mosca ha intensificato gli attacchi non convenzionali contro l’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina, nel 2022: «Il numero di questi tipi di attacchi ha raggiunto un livello che in precedenza sarebbe stato considerato assolutamente inaccettabile», ha dichiarato James Appathurai, capo delle minacce ibride e informatiche dell’Alleanza Atlantica, in un'intervista rilasciata a Sky News. Mentre il Parlamento Europeo ha da poco discusso una risoluzione, che sarà portata al voto questo mese, per contrastare le campagne di disinformazione russe. «Come abbiamo visto di recente in Romania, Moldavia e Georgia, la Russia non ferma i suoi tentativi di minare e destabilizzare la nostra Unione e i nostri partner», ha denunciato Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che ha rimarcato l’impegno dell’UE a lavorare «contro le interferenze russe volte a far deragliare i loro progressi verso l’integrazione europea». L’UE ha già deciso di imporre le prime sanzioni a cittadini e associazioni russe accusate di aver organizzato ed eseguito “operazioni di disinformazione”.

Il Trump della Croazia

È in questo scenario che si colloca l’appuntamento di domenica prossima, 12 gennaio, quando gli elettori della Croazia sceglieranno il nome del loro prossimo presidente della Repubblica. Che, salvo sorprese alle urne, sarà il presidente uscente, il nazionalista, populista e filo-russo Zoran Milanovic, il “Donald Trump croato”, come è stato più volte definito dalla stampa internazionale, un “bellicoso critico della Nato e dell’Unione Europea”. Milanovic, ex esponente del partito Socialdemocratico (si è dovuto formalmente dimettere, come prevede la legge croata, quando è stato eletto nel 2020) ha sfiorato la rielezione al primo turno, raccogliendo il 49% dei consensi, contro il suo principale avversario, l’europeista Dragan Primorac, candidato dell’Unione Democratica croata (HDZ, di centrodestra, che guida il governo), fermo al 19% dei voti. Un abisso che difficilmente potrà essere colmato al ballottaggio di domenica prossima. Il presidente uscente è un personaggio controverso: fino a pochi anni fa emblema della sinistra (come leader socialdemocratico è stato primo ministro dal 2011 al 2016), si era dichiarato espressamente a favore della difesa dei diritti dei più vulnerabili, a partire dai migranti. Dopo la sua elezione a presidente, nel 2020, il tono di voce è cambiato. Oltre ad aver cominciato ad attaccare frontalmente le associazioni femministe, ha cambiato radicalmente atteggiamento nei confronti dei migranti («queste persone sono qui illegalmente e dovrebbero essere trattate come tali: il confine croato è sacro»). E si è schierato a difesa delle forze di polizia croate, che erano state accusate di crudeltà da un rapporto pubblicato nel 2021 dal Consiglio d'Europa (immigrati costretti a tornare in Bosnia-Erzegovina a piedi nudi, altri gettati nel fiume Korana con le mani legate, altri ancora costretti a stendersi faccia a terra mentre alcuni agenti sparavano colpi di pistola accanto a loro). Milanovic era arrivato a definire gli estensori del rapporto «parassiti che ficcano costantemente il naso e danno lezioni». Il presidente è contrario a offrire aiuti militari all’Ucraina e ha tentato di opporsi all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. Secondo il primo ministro croato, Andrej Plenković, il presidente è diventato «il barboncino di Putin». Il politologo croato Zarko Puhovski, interpellato dall’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, ha fotografato così la situazione: «Milanovic non ha alcun programma: è lui il programma. Si presenta come un uomo di parole chiare e di idee chiare che non usa mezzi termini. Questo è ciò che piace alla gente: uomini forti. Lo stiamo vedendo anche in Ungheria e negli Stati Uniti».

Insomma: o di qua o di là. O con l’Europa o con Mosca. L’ha ammesso anche lo sfidante di Milanovic, Dragan Primorac: «Queste elezioni mostreranno se la Croazia si sta rivolgendo verso l’Est o verso l’Ovest, verso la divisione o verso l’unità». In realtà la situazione politica croata è assai più complessa di come viene presentata. Dopo le ultime elezioni parlamentari, lo scorso aprile, la maggioranza di governo (indebolita da numerosi scandali, l’ultimo dei quali ha visto il ministro della Sanità accusato di corruzione per aver intascato tangenti) si è spostata ancor più a destra, con l’Unione Democratica croata che ha stretto un accordo con il partito di estrema destra Movimento per la Patria (DP), che si è offerto di sostenere la maggioranza parlamentare solo a condizione che ai membri del Partito Serbo Democratico Indipendente (SDSS, espressione della minoranza serba), non fosse permesso di partecipare al governo in alcun modo. Zoran Milanovic accusa il primo ministro Andrej Plenkovic e il suo partito di corruzione e afferma che rappresentano una «seria minaccia per la democrazia». Plenkovic ha replicato sostenendo che il presidente uscente si sta comportando in modo “dittatoriale”, facendo il gioco della Russia, distruggendo la credibilità di Zagabria con la Nato e con l’Unione Europea, compromettendo la sicurezza nazionale e destabilizzando il paese: «Milanovic insulta i giornalisti, chiama le donne concubine. Gli manca la cultura politica, gli mancano i filtri». L’affluenza al primo turno delle presidenziali è stata piuttosto bassa, 46%.

A proposito dell’influenza della Russia nei Balcani: più di un anno fa, novembre 2023, il Council on Foreign Relations, autorevole e indipendente istituto di ricerca americano specializzato in politica estera, scriveva: «L’antagonismo geopolitico nei Balcani è cresciuto per decenni sulla scia della dissoluzione della Jugoslavia negli anni Novanta e delle guerre che ne sono seguite. Poiché le relazioni già tese tra Russia e Occidente si sono ulteriormente deteriorate a causa della guerra in Ucraina, le tensioni sono aumentate anche nei Balcani. I tentativi di portare le nazioni balcaniche nelle istituzioni occidentali hanno costantemente attirato l’opposizione della Russia e dei gruppi nazionalisti e separatisti locali che sostiene. Con lo spettro di un conflitto irrisolto che incombe in Bosnia-Erzegovina e tra Serbia e Kosovo, gli analisti occidentali affermano che Mosca sta cercando di sfruttare l’instabilità in corso per mantenere la sua influenza e indebolire l’UE e la Nato».

Il ricatto del gas

E uno dei prossimi obiettivi di Mosca sembra essere la Moldavia. È di pochi giorni fa la notizia della gravissima crisi energetica che ha colpito la Transnistria, una sottile striscia di terra tra il fiume Dniester e il confine ucraino, che si è autodichiarata indipendente dalla Moldavia nel 1990, sostenuta politicamente, economicamente e militarmente dal Cremlino. Ebbene, dal 1° gennaio Gazprom ha interrotto tutte le forniture di gas verso l’Europa attraverso l’Ucraina, in virtù di un accordo pre-bellico appena scaduto e non rinnovato dal governo ucraino. La Transnistria, circa 400mila abitanti è rimasta senza gas, senza riscaldamento e acqua calda, e anche l’acqua fredda è razionata. Manca anche la corrente, circa 8 ore al giorno. Tutte le imprese industriali sono chiuse. La leadership politica, sostenuta dal Cremlino, ha finora rifiutato le offerte di aiuto della Moldavia. Dorin Recean, primo ministro moldavo, accusa Mosca di aver provocato deliberatamente una crisi umanitaria nella regione, con l’obiettivo di destabilizzare il governo filo-europeo a pochi mesi dalle elezioni, previste il prossimo autunno. Come scrive la Pravda europea, ong d’informazione ucraina: «Vale la pena sottolinearlo: la Russia può ripristinare le forniture di gas alla Transnistria in qualsiasi momento. Tuttavia il Cremlino non lo fa e spinge deliberatamente la regione sotto il suo controllo in una profonda crisi umanitaria per “salvarla” in seguito, e per addossare la responsabilità delle vite perse e dell’economia distrutta all’attuale governo della Moldavia, i cui indici di gradimento sono già stati colpiti a causa della crisi energetica. È molto probabile che la Russia ripristinerà presto parzialmente le forniture di gas alla Transnistria occupata, ma lo presenterà come un risultato di uno dei politici filo-russi della Moldavia. L’intero schema si basa sulle elezioni parlamentari in Moldavia, che si terranno nell’autunno del 2025. L'obiettivo del Cremlino è quello di sostituire l’attuale governo filo-europeo della Moldavia con uno filo-russo e reintegrare la Transnistria nel paese a condizioni tali da rendere impossibile per il paese rivolgersi nuovamente all’Occidente».

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