UNIVERSITÀ E SCUOLA

Anche in Spagna la riforma aumenta le tasse: universitari in piazza

La riforma universitaria che più polemiche ha provocato in Spagna negli ultimi decenni è stata annunciata ad aprile dal ministro José Ignacio Wert, provocando un’ondata di indignazione immediata in un paese che vanta uno dei tassi di scolarizzazione superiore più bassi d’Europa e il più alto tasso di abbandono universitario (in media il 50%, che arriva al 90% per gli studenti di ingegneria, mentre la media europea si colloca al 30%). Dopo le pensioni, i servizi socio-sanitari, i farmaci e gli stipendi dei funzionari, la politica di austerità promossa dal governo eletto il 21 novembre scorso non poteva tralasciare la scuola. Toccherà però alle regioni (comunità autonome, nel linguaggio istituzionale spagnolo) fare la parte dell’orco, visto che gestiscono direttamente le risorse da destinare alla formazione, attuando le linee guida emesse dall’esecutivo di Madrid.

Già da quest’anno le regioni dovranno risparmiare tre miliardi di euro nelle voci di bilancio dedicate all’educazione. Si riducono i servizi di mensa, si contraggono gli stipendi e, a sorpresa, aumentano le tasse universitarie: fino a 540 euro annuali in più. Gli universitari dovranno contribuire con le loro matricole al 25% del totale della spesa. Quindi, se fino ad oggi pagavano tra i 900 e i 1.000 euro per immatricolarsi in un Grado (il primo ciclo di studi) o in un Master abilitiativo, dal prossimo anno il costo aumenterà da 150 a 250 euro a seconda dell’università in cui si iscriveranno.

Verranno castigati i "ripetenti", che per immatricolarsi la seconda volta pagheranno dal 30% al 40% in più, fino ad arrivare a un aumento del 75% per la terza iscrizione e del 100% dalla quarta in poi. Anche le tasse delle matricole dei master non abilitativi lieviteranno: nell’anno accademico 2011-2012 gli studenti pagavano in media 1.800 euro per l’iscrizione, mentre dal prossimo ne pagheranno 2.700, con un proporzionale aumento delle tasse per i ripetenti fino a un massimo di 3.500 euro l’anno. 

Per controbilanciare, aumentano le borse di studio concesse (entrano in vigore nuovi sussidi statali, regionali e accademici che arrivano a coprire fino al 100% delle matricole), anche se si inaspriscono i criteri per ottenerle e mantenerle: l’approvazione del 90% dei crediti di ogni anno, percentuale che prima della riforma era del 70%. Grazie alla nuova legge, quest’autunno la Spagna passerà dal sesto posto nella lista dei paesi economicamente più esigenti con i propri studenti (dopo Portogallo, Italia, Paesi Bassi, Irlanda e Inghilterra), al terzo posto, superata solo dalle università irlandesi e inglesi.

Le proteste negli atenei non si sono fatte attendere. Gli studenti di Valencia sono stati i primi a scendere in strada, diventando notizia nella stampa internazionale per via degli episodi violenti di cui si è macchiata la polizia locale. L’onda si è poi espansa a tutte le regioni e decine di università tra le 72 sparse nel territorio (50 pubbliche e 22 private) sono state parzialmente occupate fino a fine giugno.

I rettori hanno appoggiato le proteste e a fine maggio hanno rappresentato nel modo più plateale possibile (abbandonando una riunione ufficiale) il disaccordo con un ministro che non si era preoccupato di chiedere loro un parere prima di approvare il decreto legge. A inizio giugno è andata in scena la «riappacificazione», con una distensione nei rapporti tra rettori e ministro. Tuttavia, la preoccupazione rimane alta, soprattutto per via dell’incertezza. Ogni regione ha il potere (e il dovere) di fare da sola i calcoli per stabilire il grado di aumento delle tasse. E centinaia di migliaia di famiglie, già castigate dal tasso di disoccupazione più alto d’Europa (24,5% della popolazione attiva), dovranno aspettare settembre per conoscere l’entità dei rincari. 

 

Claudia Cucchiarato

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