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Un vincitore, un vinto e uno stallo. La Spagna si ritrova a galleggiare nell’incertezza dopo le elezioni generali di domenica scorsa, ribattezzate 23J (da 23 Julio, data del voto), che hanno smentito di fatto tutte le previsioni della vigilia, portando in dote un paradosso squisitamente politico: il risultato è chiaro, ma il panorama generale è più confuso che mai. C’è il trionfo, nitido, del Partito Popolare di Alberto Núñez Feijóo (conservatore, marcatamente di destra) che ha conquistato 136 seggi (47 in più rispetto all’ultima tornata elettorale). C’è la tenuta sostanziale del Psoe, i socialisti del premier uscente Pedro Sánchez (+ 2 seggi, 122 in totale) che evitano il temuto tracollo dopo la netta sconfitta alle elezioni locali e regionali dello scorso maggio. Ma, soprattutto, c’è il crollo inaspettato dell’estrema destra di Vox, che si ferma appena a 33 seggi, ben al di sotto dei 52 raccolti nelle ultime elezioni: un sonoro schiaffo per il leader Santiago Abascal, nostalgico del periodo franchista, che già si proponeva come il nuovo “alfiere nero” della politica spagnola, sulla scia dell’onda di estrema destra che si sta affermando in gran parte d’Europa, dall’Italia alla Francia, dalla Svezia alla Finlandia (e il prossimo banco di prova sarà nei Paesi Bassi). Domenica sera Abascal, convinto anti-abortista, dichiaratamente ostile ai diritti delle donne (ha proposto l’abrogazione della legge sulla violenza di genere) e agli immigrati («i clandestini dovrebbero essere deportati altrove»), fieramente contrario a qualsiasi forma d’indipendenza regionale, ha addirittura preferito annullare la già prevista conferenza stampa in chiusura dei seggi.
Il risultato complessivo è una classica situazione di impasse, che El Pais riassume così: «Il Congresso che si costituirà il 17 agosto sarà la cosa più vicina a un labirinto politico. Le due destre insieme non raggiungono la maggioranza assoluta, e la possibilità di completarla con altri appoggi può essere completamente esclusa dall’incompatibilità di Vox con le formazioni nazionaliste». Partito Popolare e Vox, insieme, raggiungono 169 seggi, 7 in meno della maggioranza richiesta. Ma anche il blocco che ha sostenuto il governo di Pedro Sánchez negli ultimi quattro anni non raggiunge i 176 seggi. Ai socialisti, che pure sono riusciti a capitalizzare l’appello al “voto utile” per contrastare l’avanzata dell’estrema destra, non basterà l’alleanza con Sumar (coalizione formata da 15 partiti di sinistra, tra cui Podemos e Izquierda Unida, guidata dall’attuale ministro del lavoro Yolanda Diaz, del Partito Comunista spagnolo) per raggiungere la maggioranza in Parlamento. Avrebbero bisogno di ulteriori, al momento improbabili intese: magari con Junts, il partito indipendentista catalano idealmente da Carles Puigdemont (latitante dal 2017, la procura ne ha appena chiesto di nuovo l’arresto), che ha conquistato 7 seggi, ma che nella scorsa legislatura era all’opposizione. La candidata di punta, Miram Nogueras, ha già avvertito il Psoe che l’eventuale appoggio a un nuovo governo guidato da Pedro Sánchez non sarebbe “gratis”: «La nostra priorità resta la Catalogna e non la governabilità dello Stato», ha messo in chiaro Nogueras, che già pregusta la possibilità di diventare numericamente indispensabile in vista di una coalizione allargata. Ma la loro intransigenza rende l’ipotesi assai remota, perché quel “conto”, prima o poi, bisognerebbe pagarlo. E nemmeno un nuovo referendum, dopo quello del 2017, potrebbe bastare. Con la garanzia dell’autodeterminazione e un’amnistia per gli indipendentisti condannati i giochi si potrebbe riaprire: ma è una strada impervia.
Il governo che non c’è e difficilmente ci sarà
Si apre dunque uno scenario di estrema incertezza per la Spagna all’indomani di quelle che erano state definite “le più importanti dalla morte del dittatore Francisco Franco” (20 novembre 1975, dopo 36 anni di dittatura), perché per la prima volta da allora c’era la concreta possibilità che una formazione di estrema destra potesse formare il nuovo governo. E il fatto che stavolta non sia accaduto, non vuol dire che non possa accadere domani. Il leader di Vox, dopo 24 ore, ha ritrovato la voce e si è scagliato contro tutti, a partire dal leader del Partito Popolare, accusato di aver preso un’eccessiva distanza da Vox (soprattutto su temi come l’aborto): «Vedo molti festeggiamenti nelle sedi degli altri partiti», ha esordito Abascal, «sembra che abbiano vinto tutti e per questo colgo l’occasione per congratularmi con Feijóo come vincitore delle elezioni. Lo ha fatto non dipendendo da Vox, come voleva». Il leader neofranchista ha poi sostenuto che «…è una pessima notizia che Pedro Sanchez, anche se ha perso le elezioni, possa non soltanto bloccare l’investitura di un governo di destra, ma persino governare con l’appoggio del comunismo, del terrorismo e dell’indipendentismo. Ma siamo assolutamente pronti sia a fare opposizione che a ripetere le elezioni», ha concluso Abascal. E, in caso di nuove elezioni, «Vox alzerà le stesse bandiere e le stesse convinzioni» che li hanno portati a ottenere più di tre milioni di voti (ma ne hanno persi 627mila, non proprio un’inezia) e a confermarsi come terza forza politica al Congreso de los Diputados, la camera bassa delle Cortes Generales. Non è una resa, ma il lancio di una nuova sfida. Il leader dell’ultradestra ha ricevuto anche una telefonata d’incoraggiamento dalla presidente del Consiglio italiana: «Il nostro progetto comune continuerà», gli ha garantito Giorgia Meloni, che non ha nascosto la delusione per «non aver un governo amico nel Mediterraneo», vista l’assoluta sintonia, tra l’altro, sul tema dei migranti.
Re Felipe VI offrirà l’incarico a Feijóo
Le prossime settimane saranno perciò dense di incontri e di trattative, anche se a destra s’è aperta una crepa che difficilmente potrà essere rimarginata in pochi giorni. Mentre a sinistra sembra mancare proprio il tessuto per immaginare un ulteriore allargamento della coalizione. I negoziati, formalmente, cominceranno dopo la prima seduta del nuovo Parlamento, il prossimo 17 agosto (il 22 saranno costituiti i gruppi parlamentari). Re Felipe VI offrirà al leader del Partito Popolare, Alberto Núñez Feijóo, che ha ottenuto il maggior numero di voti, l’incarico per formare il nuovo governo. Qualora Feijóo dovesse rinunciare, anche per mancanza dei numeri necessari, il Re offrirebbe l’incarico al secondo classificato, l’attuale primo ministro Pedro Sánchez. Se nessuno dei due riuscisse a mettere in piedi una maggioranza, saranno indette nuove elezioni, verosimilmente entro la fine dell’anno. Uno stallo che i mercati finanziari non hanno accolto bene. L’indice IBEX 35 di Madrid ha chiuso in negativo: «Ora si apre un periodo di incertezza, che è il peggior scenario possibile per i mercati», ha commentato un analista finanziario.
Ma dall’analisi del voto è comunque possibile tracciare un bilancio dell’attuale stato di salute della politica spagnola. Primo punto: il bipartitismo si sta sempre più affermando. La somma dei voti del Partito Popolare (Pp) e dei Socialisti (Psoe) ammonta al 65% dei voti: nel 2019 era al 49%. Ed è verosimile che questa somma sia destinata ad aumentare, soprattutto se, come probabile, nessuno dei due blocchi riuscirà a formare un nuovo governo e si dovrà tornare al voto. Secondo punto: Alberto Feijóo, il volto emergente della destra moderata spagnola, esce certamente vincitore di questa tornata elettorale, ma da qui a festeggiare ce ne passa. Soprattutto perché aveva assaporato la possibilità di una vittoria se non a mani basse, di certo a portata di mano, come suggerivano i sondaggi. «Si vedeva già presidente, aveva pensato al colore delle tende della Moncloa, tutti gli chiedevano dei ministri che stava per nominare, sembrava qualcosa di già scritto», commenta la rivista letteraria Letras Libres. Trovarsi ora a sette passi dal traguardo (tanti sono i seggi che mancano al Pp, soprattutto per colpa di Vox) e non riuscire a colmare la pur minima distanza non deve essere piacevole. Una “vittoria di Pirro”, come l’ha definita il sindaco di Malaga, Francisco de la Torre, anche lui del Partito Popolare, che ha poi dato voce a un’ipotesi tanto suggestiva quanto improbabile: «È tutto aperto, ovviamente. Ma mi piace essere costruttivo, lanciare un messaggio di tranquillità all’opinione pubblica e immaginare che una soluzione politica possa essere ricercata anche tra le due principali formazioni politiche, Pp e Psoe. Abbiamo almeno il dovere di esplorare anche quel percorso, poi vedremo cosa succede nei primi contatti che avranno». Feijóo e Sánchez hanno già annunciato che “parleranno”.
Il terzo punto, già accennato, è la sconfitta di Vox che in qualche modo ridimensiona (almeno per il momento) il timore di un’onda nera in grado di cambiare i destini dell’Europa. La bocciatura è innegabile. Che poi Abascal annunci di «alzare anche in futuro le stesse bandiere» (tra le leggi che i neofranchisti vorrebbero abrogare ci sono quelle sulla violenza di genere, sull’aborto, sull’eutanasia, sui diritti LGTB, oltre a teorizzare “la fine del fanatismo climatico”) appare più che altro una dimostrazione di fragilità, perché priva di qualsiasi analisi che possa giustificare un simile crollo dei consensi. Peraltro in un’elezione che ha visto votare per la prima volta 1,6 milioni di giovani spagnoli. «La strategia di Vox è fallita» - scrive il quotidiano El Economista «e questo può essere spiegato solo dal timore che molti elettori abbiano avuto paura del ritorno dell’estrema destra al potere. Perché li riporta all'epoca di Francisco Franco, con il rischio di trasformare il 2023 in 1973». Un salto indietro di cinquant’anni che, evidentemente, non gode di grande appeal. Spietato il commento firmato da Cristina Fallarás, giornalista, scrittrice, attivista, su Público, quotidiano online spagnolo: «La campagna di Vox è consistita nel picchiare, imbavagliare, maltrattare e spaventare le donne. Hanno costantemente minacciato, quotidianamente, in ogni loro apparizione, di eliminare i meccanismi istituzionali che lottano per l’uguaglianza. E quando Santiago Abascal, dopo il voto, è uscito davanti al suo popolo, è improvvisamente apparso come un uomo in bianco e nero, antico, che ha perso tutta la ferocia mostrata per quattro anni. È un po' nessuno». Perché oggi la vera paura in casa Vox è proprio questa: che dopo aver sfiorato e sognato la vicepresidenza, il prossimo voto possa condannare gli estremisti di destra a un ruolo sempre più marginale.