SOCIETÀ

Spagna, non si spengono le polemiche sulle scelte politiche di Sanchez

Qual è il limite dell’opportunismo politico? O per dirla meglio: può una ragione di opportunità scavalcarne una di principio? Domande che agitano in queste ore il dibattito politico in Spagna, dopo la decisione del leader socialista Pedro Sánchez di chiamare a far parte della sua coalizione anche gli indipendentisti catalani (Junts, 1,6% dei voti nell’ultima tornata elettorale, con una dote di 7, indispensabili, seggi in Parlamento) con l’obiettivo di formare il prossimo governo (l’investitura ufficiale è attesa nelle prossime ore). Junts, in cambio del sostegno al governo, ha chiesto l’amnistia per più di 300 tra attivisti e leader indipendentisti (il beneficiario di più alto profilo è il presidente regionale, Carles Puigdemont, tuttora latitante in Belgio), che nel 2017 avevano tentato con un colpo di mano illegale d’insediare un Parlamento Catalano, tentativo poi represso d’imperio dal governo di Mariano Rajoy. Una ferita rimasta ancora oggi aperta nel tessuto sociale e politico della Spagna. Pedro Sánchez, prima del voto, si era dichiarato contro l’amnistia e contro la concessione di un nuovo referendum agli indipendentisti catalani. Promessa non mantenuta. L’ex premier socialista Zapatero lo giustifica così: «Si può cambiare idea. L’amnistia aiuterà ad avviare un processo per cercare di riunire la Catalogna con lo Stato dopo un conflitto molto grave che ha prodotto una profonda divisione». Una larga parte dell’elettorato spagnolo (dell’opposizione, ma non soltanto) è invece scesa in piazza: decine di migliaia di persone che hanno protestato per giorni a gran voce, e spesso con episodi di violenza, per dire no al piano del governo. Tra loro naturalmente gli attivisti dell’estrema destra di Vox, uscita malconcia dall’ultima tornata elettorale, e i conservatori del Partito Popolare, che sebbene abbia conquistato il maggior numero di voti (33 per cento) non è riuscito, con il suo leader Alberto Núñez Feijóo, a mettere insieme una maggioranza. Così la palla è tornata al premier uscente, che coinvolgendo gli indipendentisti (non soltanto i catalani, ma anche i baschi, che alla fine qualcosa pretenderanno) è riuscito a trovare i numeri necessari. Ma, appunto, a quale prezzo?

Il fragile accordo con Puigdemont

I suoi avversari, che parlano apertamente di “colpo di stato”, hanno definito Sánchez un “infame”, un “traditore che tratta con i terroristi e svende l’unità della Spagna”, “un presidente imbroglione che calpesta la Costituzione”, che “incoraggia la secessione” e che per i suoi interessi personali “mette a rischio l’unità dello Stato”. Vox ha addirittura annunciato che denuncerà Sánchez alla Corte Suprema chiedendo la sospensione della sua investitura. Ma non sarà questo a fermare, nell’immediato, la tabella di marcia per la formazione del nuovo governo: il Congresso spagnolo, in sessione plenaria, si riunirà a mezzogiorno di oggi, 15 novembre, per cominciare a discutere l’investitura formale del nuovo esecutivo guidato da Sánchez, che avrà bisogno della maggioranza assoluta dei parlamentari: vale a dire almeno 176, su un totale di 350. L’eterogenea maggioranza architettata da Sánchez può contare su 179 seggi, il che vuol dire che basterebbe, o basterà, soltanto un soffio per far crollare l’intera impalcatura. Lo stesso Puigdemont ha commentato/minacciato: «A differenza della precedente legislatura, Sánchez dovrà conquistare la stabilità accordo per accordo, giorno per giorno». Il voto finale del Congresso è atteso per domani, giovedì. 

Toni dunque sempre più alti e sempre più accesi (nei quali s’inserisce il grave e ancora oscuro attentato contro Alejo Vidal-Quadras, fondatore di Vox, colpito giovedì scorso da un colpo di pistola al volto, mentre camminava nel centro di Madrid), ai quali si stanno aggiungendo anche altri settori della società spagnola. A partire dai giudici, con il Consiglio Generale della Magistratura (CGPJ) che ha condannato la “possibile amnistia dei crimini commessi in occasione della richiesta di indipendenza in Catalogna”. Nella dichiarazione finale (9 voti a favore, 5 contrari, una scheda bianca) si afferma che l’approvazione della norma equivarrebbe “all’abolizione dello stato di diritto in Spagna”. I magistrati spagnoli hanno anche inviato il testo dell’accordo alla presidente della Commissione Europea, chiedendo di fatto un intervento esplicito di Bruxelles. Al pari del leader del Partito Popolarei Núñez Feijòo, che ha dichiarato poche ore fa: «È necessario che l'Unione europea intervenga contro questa amnistia, che è contro lo stato di diritto, che è un ricatto alla Spagna. I gravi danni che Sanchez sta provocando alla democrazia spagnola rappresentano gravi danni anche alla democrazia europea. L’Unione Europea non può consentirlo». L’accordo sta creando non pochi imbarazzi anche tra le fila dei Socialisti europei, alleati di Sánchez. Come trapela dalle parole pronunciate da Josep Borrel, socialista, Alto rappresentante dell’UE per la politica estera: «Sono a conoscenza degli accordi politici raggiunti dal Psoe con due partiti indipendentisti e certamente questi accordi mi causano qualche preoccupazione». Nel testo, sottoscritto la scorsa settimana dal Psoe e da Junts, è prevista la presentazione di “una legge di amnistia per i politici, i leader catalani e i cittadini coinvolti nel processo di indipendenza catalana che sono stati oggetto di decisioni o processi giudiziari” (oltre agli oltre 300 attivisti ci sono anche 73 agenti di polizia che erano finiti sotto processo per uso eccessivo della forza contro i manifestanti indipendentisti). La legge dovrà poi essere approvata dalle Cortes Generales, ed è verosimile che l’iter sarà lungo e complesso (il governo dovrebbe garantire a Puigdemont anche un servizio di scorta). Inoltre, tra le concessioni garantite ai secessionisti catalani, c’è la possibilità di indire un referendum sull’autodeterminazione della Catalogna (ma questa volta seguendo le regole imposte dalla Costituzione spagnola, dunque esteso a tutti i cittadini spagnoli, a differenza del 2017, quando a pronunciarsi furono chiamati soltanto i catalani) e la richiesta di un’eccezione fiscale per la Catalogna, in base alla quale il 100% delle tasse riscosse rimarrebbe in gestione alla comunità autonoma. Anche quest’ultimo punto è oggetto di contestazioni e polemiche.

Sánchez si difende: «È in gioco il futuro dell’UE»

Ma la domanda iniziale non può restare inevasa: a quale prezzo (politico e d’immagine) Sánchez sta formando il suo nuovo governo? Il premier spagnolo non è un novellino: sa bene che d’ora in avanti gli rimarrà incollata l’etichetta dell’opportunista (a prescindere da tutto quel che, di buono o meno, ha fatto in questi anni passati). Di un leader che ha utilizzato l’arma dell’amnistia soltanto per garantire la propria sopravvivenza politica, anche mettendo a repentaglio l’unità territoriale della Spagna. Che ha deciso di scontentare anche ampi settori del proprio elettorato (secondo un sondaggio fresco di stampa il 70% degli spagnoli sarebbe contrario alla concessione dell’amnistia agli indipendentisti catalani), provocando rivolte sociali e ideologiche, pur di non azzardare un’ulteriore tornata elettorale, dall’esito quantomeno incerto. Spaccare il paese per non rischiare di consegnarlo alla destra. È il trionfo dell’uovo oggi sulla gallina domani. Ed è su questo punto che continuerà ad essere attaccato dai suoi avversari. Ma non soltanto lui: la “colpa” di questa lacerazione sociale e morale ricadrà sull’intero Partito Socialista spagnolo, vale a dire uno dei rari esempi di una sinistra che in Europa aveva saputo “resistere” e funzionare. La mossa, peraltro, rischia non soltanto di dilaniare l’opinione pubblica spagnola (le proteste si svolgono ininterrottamente un po’ ovunque, da Madrid a Barcellona, da Malaga a Siviglia, da Valencia a Granada) ma di restituire anche fiato e coraggio a quelle pulsioni secessioniste che negli ultimi anni si erano affievolite.

Sánchez comunque tira dritto e guarda avanti: «Con le prossime elezioni del Parlamento europeo è in gioco il futuro dell’Ue», ha sostenuto intervenendo la scorsa settimana al Congresso del Partito del Socialismo europeo, a Malaga. «Abbiamo bisogno di un’Europa che sia un faro di libertà, progresso e diritti umani. Dobbiamo vincere per le generazioni future». È vero che l’avanzata delle destre in Europa, soprattutto quelle più marcatamente populiste ha fatto suonare più di qualche campanello d’allarme. Ma è altrettanto vero che la sconfitta elettorale dell’estrema destra di Vox in Spagna, sommata al tracollo del partito PiS in Polonia, allontana l’ipotesi di una possibile alleanza in Europa tra il Partito Popolare Europeo e i “conservatori” di destra dell’ECR (gruppo al quale appartiene anche Giorgia Meloni), che avrebbe spinto fuori dal governo di Bruxelles proprio i Socialisti. Quindi, secondo il calcolo di Pedro Sánchez, è indispensabile impedire che anche la casella della Spagna (dopo la Svezia, la Danimarca, l’Austria, la Slovacchia, la stessa Italia, i Paesi Bassi, senza trascurare quanto sta accadendo in Germania e Francia) venga colorata di nero.

Comprensibile, ma comunque assai rischioso. Óscar R. Buznego, docente presso il Dipartimento di Sociologia dell'Università di Oviedo, sintetizza tutte le attuali difficoltà in questo editoriale pubblicato sul quotidiano indipendente La Nueva España: «Lo stato spagnolo è ormai un’incognita», scrive il sociologo. «Il patto con Junts contiene accordi e, soprattutto, disaccordi che alimenteranno a lungo una polemica che si preannuncia piena di spigoli. Anche Puigdemont ha affermato che soltanto il parlamento catalano può porre limiti alla sua azione politica. Ha negato qualsiasi illecito, e si è compiaciuto di proclamare che non aveva bisogno di chiedere perdono. Il Psoe si sta assumendo dei rischi. Pedro Sánchez ottiene quello che voleva, come se non gli importasse nient’altro, al punto di sembrare immune al crescente rimprovero sociale subìto dal suo partito, alla tensione nelle strade e alla voce dei sondaggi, che coincidono nell’allargare il vantaggio del Partito Popolare nell’evoluzione del voto. Una volta investito, Sánchez sarà ancora una volta padrone della situazione. Avrà chiuso la strada al PP, potrà godere dell’esercizio del potere e gestirà l’agenda, il calendario, i tempi e la molla decisiva della chiamata elettorale, anche se in questa legislatura dovrà essere molto più consapevole della stretta marcatura dei nazionalisti. Che vedono arrivare il loro momento». Come dire: per Sánchez, e per il Partito Socialista, questo “successo” potrebbe trasformarsi in un clamoroso autogol.

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