UNIVERSITÀ E SCUOLA

Aretè, la barca guerriera del Team Project R3

Era il 2007 e il professor Lazzaretto viene contattato da Giacomo Pellicioli, velista e all’epoca ancora studente di ingegneria, per promuovere la partecipazione dell’Università di Padova a 1001 VelaCup, la competizione interuniversitaria nata da una proposta della facoltà di Architettura di Roma 3 nel 2005 e che aveva visto svolgersi in quell’anno la sua prima edizione. Decisa dal Consiglio di ateneo l’adesione a “Mille e una vela per l’università” e creato il gruppo di progettazione e realizzazione Team Project R3 (dal nome della classe velica di riferimento), Lazzaretto diventa il referente per l’Ateneo di questo nuovo progetto che prevede il disegno, la costruzione, la sperimentazione e la prova in acqua di una barca a vela di 4.60 m costruita in materiali naturali per almeno il 70% del peso. Le barche degli atenei partecipanti si sarebbero poi sfidate in una regata annuale, la 1001Vela Race cup. E così il docente e un gruppo di studenti si sono impegnati in quest’avventura con l’obiettivo di battere il Politecnico di Milano, dominatore delle prime edizioni, in regata.

La realizzazione di una barca da competizione per la 1001 VelaCup è un lavoro interdisciplinare: ci sono componenti tanto ingegneristiche quanto di design e, come racconta Anna Elsa Paccagnella, del team di quest’anno, se il gruppo di lavoro di altri atenei era composto più da architetti e studenti di design – la proposta iniziale era venuta da una facoltà di Architettura, a partire dall’esperienza nella progettazione di Yacht - quello di Padova era nelle mani degli ingegneri. In questi anni sono state costruite tre imbarcazioni, tutte dai nomi ispirati alla classicità: Argo, Aura e l’ultima arrivata, Aretè, valore: il nome greco della virtù guerriera.

I risultati sono stati molto buoni: con pochi mesi a disposizione fra l’ideazione e la realizzazione, nel 2008 Argo si è classificata al terzo posto nonostante i problemi tecnici che hanno impedito all’equipaggio di partecipare a due regate, la prima per un ritardo di progettazione, la seconda per un problema alla deriva. Nel 2009 Aura, nata dall’evoluzione di Argo, si aggiudica il terzo posto, e nel 2010 arriva a vincere la competizione interrompendo la serie di successi del Politecnico, e torna di nuovo sul podio nel 2011 (secondo posto). Nel 2012 è il turno di Aretè, la barca che i partecipanti all’incontro hanno potuto ammirare esposta fuori dal Bo: ottiene solo il sesto posto, ma è comunque motivo di orgoglio: per la ricerca e la sperimentazione di materiali che stanno alla base del nuovo progetto, e perché per la prima volta, invece di affidarsi ad equipaggi quasi professionisti contando su atleti iscritti al nostro ateneo, si è deciso di formare un team interno all’università con studenti appassionati di vela.

Ogni barca costruita è una nuova sfida: bisogna considerare molte variabili, a partire dalle prestazioni e dalla velocità che si vuole raggiungere, dai materiali impiegati e dal peso dell’imbarcazione. Una vela molto grande può permettere alla barca grande velocità, ma per ottenerla occorre che la forza del vento faccia “planare” la barca, ovvero la spinga a sollevare la prua e correre quasi a pelo d’acqua. Bisogna sempre operare delle scelte: se si vuole una barca veloce bisogna saper compensare i rischi delle sollecitazioni dello scafo e della minore manovrabilità al crescere delle sollecitazioni con l’abilità dell’equipaggio: se le prestazioni sono esagerate serve una capacità di conduzione fuori dall’ordinario e ogni errore può aver conseguenze potenzialmente disastrose, compromettendo in un attimo lo scafo e la gara.

Bisogna tenere presente che le pressioni che entrano in gioco, anche in imbarcazioni così ridotte e con un velatura prescritta di non più di 33 metri quadri complessivi, sono delle forze tutt’altro che indifferenti: per fare solo un esempio, le pressioni sul fasciame arrivano a circa 3 tonnellate per metro quadro (come due Mercedes una sopra l’altra). Realizzare un mezzo sicuro e competitivo non è quindi un lavoro semplice. Si è partiti da un disegno classico, capace di grande affidabilità, quello di Argo, che tuttavia riusciva ad essere anche molto veloce (e lo dimostra il terzo posto). L’avanzamento del progetto, passando per Aura, quest’anno ha portato ad Aretè, l’ultima (finora) tappa  dell’evoluzione della prima imbarcazione in legno. Scelta per nulla scontata: infatti l’innovazione, oltre che dal disegno, è costituita dai materiali. Dire che una barca è composta per il 70% da materiali naturali potrebbe sembrare una banalità, se si pensa alle navi dei Vichinghi o, ancora prima, degli eroi greci che avevano fatto del mare la loro casa, e così è rimasto fino a tempi molto recenti, perlomeno per imbarcazioni di dimensioni medie e piccole; negli ultimi decenni con il progresso della cantieristica e dei materiali è stato introdotto l’uso di materie plastiche con proprietà specifiche che davano quel quid in più per quanto riguardava agilità e sicurezza, oggi imprescindibili se si vogliono prestazioni agonistiche.

Ma ora, grazie a questo progetto, sappiamo che si può creare una barca competitiva anche a partire da materiali naturali, impiegati però secondo le tecniche più recenti. Aretè è costituita da materiale composito, come le imbarcazioni più moderne: una lega di almeno due materiali che risulta avere proprietà maggiori rispetto a quelle dei suoi singoli componenti; ma in questo caso sono le fibre naturali ad avere una parte preponderante. C’è una matrice, composta da una resina epossidica a cui si aggiunge un catalizzatore, che tiene unite delle fibre e permette un equa distribuzione dei carichi. Siccome questa matrice non ha spiccate proprietà meccaniche, sono necessarie delle fibre per rinforzare la struttura: con una scelta innovativa, si sono utilizzate quelle del lino. La base è in legno di balsa e gli studenti hanno dovuto affrontare l’eccessivo potere assorbente di questo materiale, che rischiava di dare alla barca troppo peso: hanno quindi dovuto pensare a come impermeabilizzarla superando il processo tradizionale, detto di infusione, e sostituendolo con uno in tre step successivi. Questa procedura innovativa ha permesso ad uno dei componenti del gruppo, Stefano Castegnaro, di vincere il concorso “Creativamente Impresando” indetto dalle province del Veneto in collaborazione con la Regione.

Quello che colpisce, durante la presentazione di Aretè, è l’entusiasmo con cui i relatori parlano del loro progetto. Nei loro occhi c’è il riflesso del mare e nelle loro parole c’è la fierezza di aver portato in mare la barca più leggera di tutte, di aver passato notti intere discutendo su come risolvere i problemi che si presentavano, che si parlasse di budget o di tecnica; di aver prodotto da soli alcuni dei componenti quando ci sono stati problemi di risorse, e di aver terminato di assemblare la barca nel giardino di uno di loro. Un’atmosfera contagiosa, dominata dalla fiducia nel progetto e da un clima di leggerezza che ha permesso di affrontare ogni difficoltà, fino a vedere scendere in mare una barca innovativa che i suoi creatori guardano, oggi, con l’orgoglio con cui Giasone poteva rivolgersi alla sua Argo.

Anna Cortelazzo

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