UNIVERSITÀ E SCUOLA

Atenei e social network: una risorsa sfruttata solo a metà

Gran parte degli atenei italiani dispone di un account su uno dei principali social media (Facebook, Twitter e Youtube), che vengono in genere gestiti dalle strutture universitarie che si occupano di comunicazione esterna; pagine e profili delle università presentano un grado intermedio di apertura all’interazione da parte degli utenti, e gli atenei che aprono la loro bacheca rispondono ai messaggi in modo piuttosto rapido; la maggioranza delle università pubblica meno di un post al giorno; le grandi sedi hanno il maggior numero assoluto di utenti che ne seguono il profilo, ma le università non statali primeggiano nel rapporto tra utenti effettivi e utenti potenziali. Sono, in sintesi, i risultati della ricerca del Nexa Center del Politecnico di Torino sull’uso dei social network da parte delle università italiane: il primo tentativo di far luce su come istituzioni per le quali è vitale la comunicazione verso le fasce giovanili e il pubblico più avanzato nelle tecnologie sappiano utilizzare Internet per parlare ai loro utenti, diffondere notizie, idee e promuovere la propria offerta didattica e le attività di ricerca. L’indagine ha analizzato l’attività social delle 67 università statali e delle 29 non statali (delle quali 11 telematiche) nel corso del 2013. A tutto settembre dello scorso anno, disponeva di almeno un account su Facebook l’80% degli atenei; su Twitter la percentuale era del 76%; il 61% delle università aveva un proprio canale Youtube. Seguono, a grande distanza, iTunesU (19%), LinkedIn (13%), G+ (11%) e Flickr (10%). Andando a distinguere tra le tipologie di atenei, risulta che i più presenti sui social network sono quelli non statali tradizionali (il 100% è presente su Facebook e l’83% su Twitter), seguiti dagli atenei statali (79% su Facebook, 77% su Twitter); in coda, a sorpresa, le università telematiche, il 73% delle quali è su Facebook mentre solo il 54% è su Twitter. Quanto alla tempestività nell’attivazione, pochi “pionieri” hanno aperto i primi account Facebook (3) nel 2008; dal 2009 si aprono anche i primi account su Twitter (9) e altri 10 su Facebook, ma il boom delle nuove attivazioni dei due principali social network da parte delle università avviene nel 2010 (38 account in totale), 2011 (50) e 2012 (39). Se si guarda a chi, negli atenei, è responsabile della gestione dei social si constata che la competenza è largamente attribuita all’ufficio che si occupa della comunicazione esterna (50% dei casi per Facebook, 56% per Twitter). Va notato che nel 7% dei casi per Facebook e nel 9% per Twitter la competenza è attribuita a un ufficio che si occupa specificamente di social media. Bisogna sottolineare che quasi tutte le università optano, correttamente, per l’apertura su Facebook di una pagina, e non di un profilo utente: questa seconda tipologia di account, normalmente indicato per i privati, è usata solo dal 5% degli atenei, contro il 41% dei Comuni e il 22% delle Province; segno, secondo i ricercatori, di una consapevolezza molto maggiore nell’uso dei social network da parte delle università rispetto ad altri settori dell’amministrazione pubblica. Una maggiore competenza che si registra anche nella migliore riconoscibilità (utilizzo del logo ufficiale, descrizione dell’attività), del maggior utilizzo di contenuti multimediali, nella più rapida risposta agli utenti.  Riguardo al successo incontrato presso gli utenti dalle pagine social delle università (misurato in “like” su Facebook e “followers” su Twitter), la ricerca distingue i dati assoluti, che vedono comprensibilmente in testa i grandi atenei, dai dati “di incidenza”, ossia il rapporto tra utenti reali (che effettivamente seguono le pagine social) e utenti attesi (l’insieme degli utenti potenziali, che sono gli studenti iscritti più i docenti in servizio): questo secondo indicatore dà, per i ricercatori di Nexa, la misura dell’effettiva efficacia delle pagine social non solo all’interno della comunità universitaria di riferimento, ma anche verso utenti esterni. Dunque, guardando al dato “di incidenza”, si nota che non c’è correlazione tra dimensioni dell’ateneo e successo sui social: sono in testa per Facebook università telematiche e non statali, mentre per Twitter primeggiano gli atenei non statali tradizionali e quelli statali. Quanto ai contenuti che gli atenei diffondono tramite i social network, si nota una notevole varietà di scopi: dall’informazione su eventi o ricerche alla promozione dell’offerta formativa, dalle comunicazioni di servizio per studenti e docenti (tasse, bandi, scadenze) a notizie su pratiche di segreteria. Quanto spesso gli atenei pubblicano post sui loro account? In media, ogni ateneo inserisce su Facebook 1,8 post al giorno e su Twitter 1,4 (tra tweet e retweet). Questa media contrasta però con un altro dato: la maggioranza degli atenei pubblica meno di un post al giorno (il 67% per Facebook e il 61% per Twitter). Ciò significa che, accanto a un gran numero di università che hanno un’attività scarsa, c’è una minoranza che pubblica in modo intensissimo, contribuendo a elevare la media generale. Interessante è il dato sull’interattività, cioè su quanto gli account degli atenei siano aperti all’intervento degli utenti e al dialogo con loro, consentendo la pubblicazione di commenti, recensioni, post in bacheca e messaggi privati: in media, si registra un’interattività medio-alta (46% degli atenei con 3 funzioni consentite) o alta (35% degli atenei con 4 funzioni consentite); solo il 12% degli atenei consente due funzioni e appena il 7% una. È significativo, comunque, che ben il 43% degli account non consenta agli utenti di lasciare messaggi in bacheca. Infine, il dato sulla rapidità nelle risposte agli utenti su Facebook: i quattro atenei più popolari (quelli con il maggior numero di post da parte degli utenti rispetto al numero di post totale del loro account) hanno un tasso di risposta medio del 92,5%, con un “tempo di reazione” medio pari a 18 ore e 45 minuti. Dalla ricerca di Nexa emerge un quadro dinamico: la presenza degli atenei sui social è molto forte, ma l’utilizzo che ne fanno è ancora lontano dallo sfruttarne a pieno le potenzialità, e l’interattività è, per il momento, limitata.

Martino Periti

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