SOCIETÀ

"C'era una volta..." Il computer racconta favole

“Può un algoritmo scrivere un articolo migliore rispetto a quello di un reporter in carne e ossa?” scriveva nell'aprile 2012 Steven Levy rivelando ai lettori dell'edizione americana di Wired che molte notizie pubblicate su Forbes, come su altre ugualmente autorevoli testate, erano state composte non “al” ma “dal” computer. Oggi, a due anni di distanza, l'idea di “bot journalism”, il giornalismo dei robot, non sconvolge (quasi) più nessuno, anche perché le aziende come Narrative Science, specializzate nello sviluppo di questi “software di redazione”, sono ben attente a sottolineare che i reporter umani non trarranno altro che benefici dal lavoro dei colleghi digitali, umilmente dediti a macinare cifre su cifre a tutto vantaggio delle “teste pensanti”. 

Quanto questo quadro sia veritiero è da vedersi (una ricerca pubblicata giorni fa su “Robotics: Science and Systems” e rilanciata da “Quartz” ha peraltro reso noto che gli umani non sembrano affatto scontenti all'idea di ricevere ordini da una macchina), ma è comunque un dato di fatto che intorno all'idea del “computer scrittore” si sta ragionando da parecchio tempo. 

Addirittura risale al 1961 il celebre Tape Mark I, esperimento poetico di Nanni Balestrini realizzato – citiamo l'autore – “sfruttando le possibilità combinatorie di un calcolatore elettronico IBM (così allora veniva chiamato il computer): una serie di spezzoni di frasi venivano montate in successione, fino a formare sequenze di versi, seguendo semplici regole trasformate in un algoritmo che guidava il lavoro della macchina”. Un esperimento cui Balestrini ha dato seguito in modo molto più ambizioso con il romanzo Tristano che, pubblicato in versione singola da Feltrinelli nel 1966, ha finalmente trovato quarant'anni dopo, nel 2007, la sua dimensione plurima grazie allo sviluppo della stampa digitale. La nuova edizione, per DeriveApprodi, consiste infatti in “una tiratura di copie uniche numerate, contenente ciascuna una diversa combinazione del materiale verbale precostituito, elaborata dal computer secondo un programma stabilito”.

In realtà, a dispetto delle apparenze, il gioco delle varianti innescato da Balestrini mette più che mai al centro l'autore, vero demiurgo di un'operazione dove il ruolo creativo della macchina è inesistente. Ma al di là delle sperimentazioni letterarie, è possibile insegnare a un computer a scrivere vere e proprie storie, che non siano brevi articoli sulle quotazioni di una certa azienda o resoconti delle partite amatoriali di calcio (due settori in cui, a quanto pare, i “bot journalists” sono particolarmente dotati)? 

Le ricerche in questo senso sono avviate in diversi paesi, ma a quanto pare, qualcuno è già riuscito a ottenere risultati notevoli, se – come ha annunciato il “Guardian” ai primi di agosto – in Australia, presso la University of New South Wales, è stato messo a punto un programma che consente a un computer di scrivere delle favole. A convertire un congegno composto di plastica e metallo in un novello Esopo è stata una giovane ricercatrice, Marjorie Sarlej, che ha elaborato un software, grazie al quale il computer può comporre delle piccole storie, ciascuna delle quali ruota, proprio come era il caso per La volpe e l'uva o Il lupo e l'agnello, intorno a un concetto-chiave (avidità, imprudenza, superbia...). 

Un lavoro facile? Tutt'altro. Come ha spiegato il supervisore dello studio di Sarlej, Malcolm Ryan, che nel 2007 aveva inutilmente cercato di insegnare a un computer a capire e a riprodurre una pagina di Peter Coniglio di Beatrix Potter, “gli umani hanno una qualità notevole: fanno cose complicate e le considerano semplici”. Proprio partendo da quell'insuccesso Ryan e il suo gruppo hanno definito meglio i limiti di comprensione della macchina: “Per esempio – spiega Sarlej – se Bob dà una mela a Alice, Alice avrà la mela e Bob no. Per un umano questo è ovvio e non richiede spiegazioni. Se Bob dà un pugno a Carl, la gente darà di solito per scontato che Carl non ne sarà contento, ma un computer non possiede il 'senso comune' per giungere a questa conclusione. Nel lavoro di programmazione, tutti questi particolari vanno resi espliciti”.

Così finalmente, dopo un'applicazione costante e certosina da parte di Sarlej, è nato MOSS, The Moral Storytelling System, un programma in grado di produrre favole i cui personaggi hanno una gamma di 22 emozioni e si possono muovere lungo diverse linee narrative. Inutile dire che la ricercatrice è orgogliosa del suo lavoro e sebbene ammetta che difficilmente un computer possa elaborare un'opera come Guerra e pace, prevede un futuro pieno di possibilità per la sua creatura: “Un sistema che generi automaticamente storie con la stessa morale in un'ampia rosa di ambientazioni, in modo da andare incontro agli specifici gusti di ogni bambino, può aumentare l'interesse e dunque facilitare l'apprendimento”. E Ryan le fa eco, con obiettivi anche più ambiziosi, convinto com'è che “nell'arco dei prossimi dieci anni i computer daranno un apporto interessante e significativo alla letteratura”. 

A giudicare dalle storie prodotte grazie al MOSS, però, il passo è ancora lungo. Eccone per esempio una che ha come tema il castigo: “C'erano una  volta un unicorno, un cavaliere e una fata. L'unicorno amava il cavaliere. Una mattina d'estate la fata rubò la spada al cavaliere. Il risultato fu che il cavaliere non aveva più la spada. Il cavaliere provò dispiacere per il fatto di non avere più la spada. Il cavaliere provò rabbia verso la fata perché lei aveva rubato la spada e lui non aveva più la spada. L'unicorno e il cavaliere cominciarono a odiare la fata. Il giorno dopo l'unicorno rapì la fata. Il risultato fu che la fata non era libera. La fata provò dispiacere per non essere libera”.

Ancora per qualche tempo nelle loro tombe Esopo, Fedro e La Fontaine possono dormire sonni tranquilli.

Maria Teresa Carbone

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