SOCIETÀ

Dalla parte di Golia? La Corte suprema Usa dimezza la class action

Non sempre i più deboli sono privi di risorse di fronte ai più forti. È la storia di Davide contro Golia, e perfino Thomas Hobbes, il teorico della sovranità assoluta, ammonisce che nessuno è così debole, che qualcun altro, per quanto forte, possa non temerlo. Dopo tutto, fa parte del concetto di giustizia che la legge debba garantire equità anche di fronte a sproporzioni di risorse grandissime. Un principio che spesso, negli Stati uniti, ha preso il volto delle class actions, le azioni risarcitorie peculiari alla legislazione Usa ed entrate nell'immaginario collettivo, cinema compreso, da quando nel 1965 un allora sconosciuto avvocato, Ralph Nader, riuscì a sconfiggere, in tribunale, la General Motors e la costrinse a risarcire migliaia di persone per un difetto di fabbricazione che rendeva pericoloso un modello di auto molto diffuso.

Da allora, ne sono state intentate – a volte con successo, a volte no – migliaia, fra cui quelle, clamorose, contro le industrie del tabacco per i rischi di tumore ai polmoni e, recentemente, quella che ha colpito la Ferrero Usa per aver taciuto, in una pubblicità, che la Nutella con le sue calorie può far ingrassare. Questo istituto prevede infatti che una sentenza favorevole al primo danneggiato abbia poi effetto su tutti i soggetti che si trovano nell'identica situazione, ed è – fino a oggi – il modo più efficace con cui i cittadini possono essere tutelati e risarciti dai torti delle aziende e delle multinazionali.

Ma qualcosa sta cambiando, e riequilibrare i rapporti fra cittadini e corporations, sul piano economico e dei diritti, pare divenire – non del tutto a sorpresa – un po' più complicato. Nei giorni scorsi la Corte Suprema americana ha emesso una sentenza che potrebbe portare a uno smantellamento della class action: la sentenza American Express vs. Italian Colors Restaurant. Oggetto della contesa è una causa collettiva intentata contro il gigante delle carte di credito da una serie di piccoli esercizi commerciali californiani, capitanati da un ristorante italiano di Oakland, l’Italian Colors. La denuncia è del 2003, quando questi esercenti avevano citato in giudizio American Express accusandolo di una serie di violazioni del regolamento antitrust, fra cui l'obbligo di acquistare prodotti collaterali e le commissioni elevatissime praticate grazie a una posizione di quasi monopolio.

L’importanza del caso sta tutta nella strategia difensiva adottata da American Express e nelle conseguenze che la sentenza della massima corte potrebbe avere sui diritti dei consumatori. American Express si è infatti difesa nella forma più che nella sostanza, appellandosi a un piccolo codicillo contenuto nei contratti stipulati con i ricorrenti. In esso si esplicitava come per eventuali ricorsi contro i servizi sottoscritti dalle parti, ogni esercente doveva presentare una singola denuncia (non poteva quindi costituirsi in giudizio assieme ad altri nella stessa situazione) e non poteva rivolgersi alla giustizia ordinaria ma doveva ricorrere a un arbitrato privato. Di fatto, secondo American Express, essendo esplicitamente dichiarato nel contratto, gli esercenti non avrebbero potuto istruire una class action e quindi, l’intero procedimento sarebbe stato da annullare.

Questo punto è essenziale per capire la valenza delle questioni in oggetto: la class action permette di ridurre i costi individuali e fa ingolosire i migliori avvocati, che accettano di patrocinare le azioni collettive o direttamente le propongono proprio in virtù degli alti risarcimenti in ballo, una percentuale dei quali costituirà il loro compenso. Nel caso in oggetto, l’azione collettiva era l’unica soluzione possibile, poiché istruire un procedimento antitrust sarebbe costato quasi un milione di dollari a fronte di un possibile risarcimento individuale di appena 38.000 dollari in media. Va inoltre ricordato come, in un arbitrato, l’arbitro sia pagato dalla parte citata in giudizio (cioè in questo caso da American Express) e che storicamente questi tipi di conciliazioni sono per loro natura solitamente favorevoli alle grandi multinazionali.

La class action di Italian Colors è durata quasi dieci anni ed è stata oggetto di ricorsi e controricorsi, tutti sull'ammissibilità; la Corte d’appello del secondo circuito aveva dato ragione ai ristoratori italiani, giudicando fondato il loro diritto alla class action. Il 20 giugno scorso, però, con una decisione 5-3 (la giudice Sonia Sotomayor si è astenuta perché aveva già seguito lo stesso come magistrato in California), la Corte Suprema ha rovesciando questo giudizio sentenziando a favore di American Express. Nelle motivazioni a sostegno della decisione, i giudici Scalia e Thomas specificano come gli esercenti abbiano liberamente firmato un contratto in cui rinunciavano a poter istruire azioni collettive e come fosse chiaramente stabilito che per ogni contesa tra le parti si dovesse ricorrere a un arbitrato. Nello scrivere invece le sue motivazioni di dissenso, la giudice Elena Kagan ha voluto sottolineare come, con questa sentenza, American Express si metta potenzialmente al riparo da qualsiasi procedura legale nei suoi confronti. In pratica, l’azienda, tramite un contratto privato, si sostituisce al giudice e al cittadino, imponendo da sé come debba essere giudicata ogni controversia legale.

A sostegno dell’opinione della Kagan, che ha coagulato attorno a sé gli altri esponenti progressisti della Corte, si è espressa la Aarp, un’associazione liberal che si occupa di diritti civili,  secondo cui la sentenza della Corte può aprire scenari drammatici, nei quali neppure discriminare i lavoratori in base al sesso e alla razza sarebbe escluso. Fornendo infatti alle aziende la possibilità di porsi volontariamente al di fuori della legislazione di applicazione della class action, diminuirebbero drasticamente le cause intentate dai cittadini contro le grandi multinazionali, per lo sbilanciamento dei rapporti di forza e perché, trovandosi spesso di fronte a monopolisti od oligopolisti, il consumatore ha poche possibilità di rifiutare di firmare un contratto che preveda la rinuncia al diritto di ricorrere contro pratiche scorrette – proprio come nel caso Italian Colors vs. American Express.

È possibile che, data la delicatezza dell’argomento, presto anche il Congresso vorrà dire la sua sull’argomento. Quel che al momento è certo è che l’attuale Corte Suprema, dove la maggioranza dei membri è considerata conservatrice, sembra essere particolarmente sensibile alle istanze delle multinazionali. Appena due anni fa bocciò infatti una maxicausa per discriminazione di genere intentata contro Walmart da un milione e mezzo di sue dipendenti.

Marco Morini

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