SCIENZA E RICERCA

Darwin bussa alle porte dei medici

E se Darwin entrasse anche nelle aule di medicina? Potrebbe non trattarsi di una possibilità tanto remota se si considera che all’università di Yale, Harvard e alla statale dell’Arizona corsi di medicina evoluzionistica sono già attivi. E l'università di Durham nel Regno Unito ha organizzato il primo master in Evolutionary medicine

Se ne discute da qualche tempo nel mondo anglosassone, non senza perplessità da parte di qualcuno. I medici infatti, anche per ragioni epistemologiche, non ritengono che la teoria evoluzionistica possa essere di qualche utilità per la loro professione. Stephen Stearns docente a Yale, Jeffrey Flier preside della facoltà di medicina di Harvard, e Randolph Nesse medico e docente all’università del Michigan, sostengono invece su Pnas che la biologia evoluzionistica sia fondamentale per la medicina e per questa ragione dovrebbe essere introdotta anche nei curricula universitari. “Un medico che conosce le basi dell’evoluzionismo darwiniano – spiega Nesse – non si limita a vedere la malattia come il guasto di una macchina, ma si chiede perché la selezione naturale non ha reso il corpo più resistente a quel particolare problema”. 

Ed è questo il punto. La “medicina darwiniana”, come è stata battezzata a partire dagli anni Novanta dopo la pubblicazione del lavoro di George Williams e Nesse The dawn of darwinian medicine (L’alba della medicina darwiniana), insegna a vedere il corpo umano come un prodotto evoluzionistico, determinando in questo modo un cambiamento di prospettiva in direzione meno meccanicistica. Pioniere di questo tipo di approccio Paul Edwald a cui i due studiosi si sono rifatti. “L’evoluzionismo darwiniano – spiega Fabio Zampieri del dipartimento di scienze cardiologiche, toraciche e vascolari, autore del saggio Storia e origine della medicina darwiniana – ci aiuta a capire perché ci ammaliamo, la logica che sta dietro alla patologia. Ed evidentemente questo è molto importante anche a fini terapeutici”. I medici “darwiniani” si chiedono perché l’evoluzione abbia favorito la fissazione di caratteri che da un lato risultano funzionali, ma dall’altro sono invece vulnerabili a determinate patologie. “Dobbiamo considerare che il processo evolutivo  – continua – non determina caratteri perfetti, ma ‘aggiustamenti’. Si tratta di un bilancio tra costi e benefici. L’organismo umano è allo stesso tempo perfetto e difettoso, poiché è il prodotto del lavoro dei meccanismi evoluzionistici e, in particolare, della selezione naturale”. Già a partire dal 1880 fino alla fine della seconda guerra mondiale, i medici hanno cercato di applicare il darwinismo alla concettualizzazione della patologia: allora l’idea era che la selezione naturale creasse strutture perfette e la malattia fosse una “deviazione” da eliminare. Questa concezione portò tuttavia all’eugenetica, con le conseguenze che ne derivarono tra cui per qualche tempo il silenzio sull’argomento.

Quando l’interesse per questo campo di studi riprese si cominciò a verificare che l’approccio evoluzionistico poteva trovare applicazione in diversi ambiti medici. Gerald Edelman, Nobel per la fisiologia e la medicina nel 1972, dimostrò che le dinamiche darwiniane potevano essere applicate al sistema immunitario e al sistema nervoso centrale. Terrence Deacon, antropologo e docente di linguistica all’università di California, Barkeley, si è occupato dell’evoluzione del cervello e del linguaggio. In un suo recente intervento, Telmo Pievani  evoluzionista del dipartimento di biologia dell’università di Padova, ha illustrato come anche una malattia quale il cancro possa agire come una macchina darwiniana. E ha sottolineato: “Poiché la selezione è cieca e può essere anticipata, si può trarre lo spunto per terapie evoluzionisticamente informate”. La strategia più efficace è infatti quella di intervenire prima dell’insorgere di mutazioni genetiche che rendono la cellula resistente ai farmaci. Ecco come Darwin può andare in aiuto di Asclepio. 

Se all’estero esistono segnali che la medicina si sta muovendo verso il pensiero evoluzionistico anche in ambito didattico (la nuova versione del Medical college admission test, per esempio, conterrà un numero maggiore di domande sull’evoluzionismo), in Europa la medicina evoluzionistica ha ancora poco seguito. “Oggi in Italia – sottolinea Gilberto Corbellini, docente di storia della medicina e bioetica all’università La Sapienza di Roma – il pensiero di Charles Darwin continua a essere ignorato dai medici e nelle scuole che insegnano la medicina”. Nel nostro Paese la riflessione su questi temi coinvolge ancora gruppi ristretti come quello di Padova,  dell’università di Roma Tor Vergata con lo psichiatra Alfonso Troisi, oltre allo stesso Corbellini che tiene le sue lezioni in chiave evoluzionista. Se si escludono questi contributi, Darwin sembra ancora lontano dalle consuetudini dei medici. 

Monica Panetto

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