UNIVERSITÀ E SCUOLA

Diplomarsi in azienda: occasioni e rischi del nuovo apprendistato

Tra le riforme del mercato del lavoro introdotte dal governo, una si rivolge agli studenti degli ultimi anni delle superiori: è l’apprendistato in azienda, che anche da noi potrebbe diventare un percorso utilissimo per introdurre i maturandi nel mondo delle imprese, fornire loro nozioni teoriche ed esperienze indispensabili e offrire una chance per una buona collocazione lavorativa. Ma il sentiero (sperimentale, dal 2014 al 2016) tracciato dall’esecutivo non sembra di semplice applicazione. Tra le diverse tipologie contrattuali, quella pensata per gli studenti è il cosiddetto “apprendistato di alta formazione”, utilizzabile per giovani dai 18 anni (diminuibili a 17 per chi possiede alcune qualifiche professionali) ai 29; lo stesso inquadramento previsto, in altri casi, per gli universitari che desiderino alternare formazione e lavoro per conseguire lauree o dottorati di ricerca. Nel caso degli studenti delle superiori, il decreto interministeriale appena varato stabilisce che l’apprendistato possa essere svolto al penultimo e ultimo anno di scuola. Le nuove norme prevedono un impegno tutt’altro che simbolico: per il tirocinio i ragazzi, tra formazione in aula e lavoro in azienda, potranno utilizzare fino al 35% dell’orario annuale delle lezioni, nei casi in cui l’ordinamento del singolo indirizzo di studi lo consenta.

La grande incognita è la notevole onerosità burocratica in capo alle aziende: dal momento che l’intero periodo di apprendistato è totalmente a loro carico, per incentivarle ad assumere giovani tirocinanti sarebbe auspicabile una procedura snella e veloce, sia pure con tutte le garanzie necessarie. Il decreto invece prevede, per ciascuna impresa interessata, un doppio passaggio amministrativo che non si preannuncia così semplice. Anzitutto l’azienda deve stipulare un protocollo d’intesa che veda come cofirmatari gli uffici locali dei ministeri dell’Istruzione e del Lavoro, oltre alla Regione di competenza. Il protocollo dovrà definire nel dettaglio gli indirizzi di studio coinvolti, le scuole comprese nella sperimentazione, i criteri per selezionare gli studenti, l’articolazione degli orari, le responsabilità e la verifica dei risultati. Una volta che l’azienda sia riuscita a concordare e firmare il documento con le istituzioni, dovrà accordarsi con l’istituto scolastico prescelto, e redigere una convenzione che specificherà i particolari del progetto formativo quanto a impegno degli apprendisti, programma didattico, verifica e certificazione delle competenze. Siglata l’intesa con la scuola, la sperimentazione potrà iniziare. I contratti non potranno avere durata inferiore a sei mesi; saranno individuati due tutor, uno della scuola e uno dell’azienda, che assisteranno il tirocinante per tutto il periodo; il contratto individuale di apprendistato regolerà diritti e doveri reciproci di studente e azienda ospitante.

L’apprendista è garantito, oltre che come lavoratore, anzitutto come studente: qualora il periodo di tirocinio si concludesse in anticipo, indipendentemente dai motivi, all’allievo è consentito rientrare nel percorso scolastico ordinario, senza perdere l’anno. Inoltre il periodo di apprendistato vale come credito formativo per l’ammissione all’esame di Stato. In più, per la terza prova dell’esame di maturità la commissione, secondo il decreto, “tiene conto dello specifico percorso sperimentale seguito dagli allievi” e può chiamare il tutor aziendale a intervenire in qualità di esperto.

Passando dagli aspetti didattici a quelli più strettamente lavoristici, il contratto che ogni studente stipulerà rientrerà nella disciplina del decreto legislativo 167/2011, appena riformato: sarà quindi impossibile per entrambe le parti recedere durante il periodo di formazione (fino quindi al conseguimento del titolo), se non in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo; dal termine del periodo di formazione il recesso sarà possibile rispettando i termini legali: in mancanza di recesso, il contratto di lavoro prosegue a tempo indeterminato. Va ricordato che la legge 78, entrata in vigore poche settimane fa, ha alleggerito i vincoli per i datori di lavoro che vogliono ricorrere a contratti di apprendistato: in particolare, le ditte potranno assumere apprendisti nella misura massima del 150% rispetto al numero di lavoratori specializzati già presenti in azienda (100% per le imprese con meno di dieci dipendenti); e la percentuale di apprendisti da assumere nell’arco di tre anni, qualora se ne vogliano assumere di nuovi, è scesa al 20% per le aziende che occupano almeno cinquanta dipendenti, mentre nessun obbligo è previsto per le imprese più piccole.

Come sempre, le buone intenzioni sono cosparse di insidie burocratiche. Le possibilità che l’apprendistato per gli studenti-lavoratori abbia successo, e si riveli davvero uno strumento efficace per reclutare a condizioni vantaggiose giovani in possesso di qualifiche professionali e conoscenze direttamente spendibili nelle aziende, dipenderanno da quanto amministrazioni statali, enti locali e associazioni di categoria sapranno agire con celerità, attivando con gli istituti tecnici e professionali canali di confronto e comunicazione che rendano i percorsi formativi conosciuti e vantaggiosi prima di tutto per le aziende; quanto alle scuole, a loro il compito di promuovere con energia i propri indirizzi di studio presso i potenziali datori di lavoro. 

Martino Periti

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012