SOCIETÀ

Disoccupazione, il graffio planetario di una ripresa senza opportunità

Le notizie sulla disoccupazione tendono sempre ad avere grande spazio sui mezzi d’informazione: ma ciò che attrae i media è, in genere, l’analisi del fenomeno a livello nazionale e, ancor di più, regionale e ultralocale. Questo è in parte giustificato dalla drammaticità delle cifre che riguardano il nostro Paese: l’Istat ha appena pubblicato i dati provvisori relativi a giugno 2014, che parlano di un tasso di persone senza lavoro pari al 12,3%, percentuale che sale all’impressionante 43,7% della fascia giovanile 15–24 anni.

Senza volere sminuire la gravità della situazione italiana, però, è importante anche valutare il problema nel contesto della crisi globale: in questo senso la mancanza di attenzione dei giornali è compensata da studi come quelli dell’Ilo, l’agenzia delle Nazioni Unite che studia i temi del lavoro e della giustizia sociale con un orizzonte planetario. L’annuale rapporto Tendenze globali dell’occupazione ci permette di leggere statistiche e osservazioni sulla crisi e le sue conseguenze sul mondo del lavoro in un’ottica finalmente internazionale e non campanilistica. L’analisi compiuta nell’edizione 2014 del rapporto (intitolato non a caso Il rischio di una ripresa senza occupazione) ci illustra una situazione ancora difficile: 202 milioni di disoccupati nel mondo (un tasso del 6% rispetto alla forza lavoro globale), di cui 74,5 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni (il 13,1% del totale).

Dalla vigilia della crisi (2007) ad oggi il tasso generale è aumentato di mezzo punto percentuale, e per i prossimi anni l’Ilo prevede una stabilizzazione intorno all’elevato livello attuale. Venendo alle singole aree, sono le economie avanzate a pagare il prezzo più alto: l’Unione europea presenta un tasso di senza lavoro che per il 2014 è stimato all’11,1%, superato solo dall’Africa del Nord (12,2%) e a un livello pari a quello del Medio Oriente (11%). L’Ilo calcola che dal 2008 (anno dell’esplosione della crisi) a livello mondiale si sono persi 62 milioni di posti di lavoro; secondo lo studio, se la tendenza attuale dovesse essere confermata, nel 2018 si arriverebbe a un totale di 215 milioni di persone in cerca di occupazione. Preoccupante il crescente fenomeno dei Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano né cercano occupazione: le statistiche (disponibili solo per 40 Stati, perlopiù europei) ci parlano di percentuali di giovani inattivi che superano, in molti Paesi, il 15% (l’Italia è ai vertici di questa graduatoria: tra le nazioni rilevate è al settimo posto, con un tasso superiore al 20%).

Il rapporto Ilo non dà molte ragioni per essere ottimisti: a livello globale, la tendenza è per una stagnazione post-crisi che, per i prossimi cinque anni, non dovrebbe produrre miglioramenti di rilievo nel tasso mondiale di disoccupazione; è in aumento, invece, la durata media del tempo di attesa tra la perdita di un impiego e l’inizio del successivo (9 mesi in Grecia). Rallenta anche il declino della percentuale di lavoratori che vivono in estrema povertà: oggi 375 milioni di occupati (quasi il 12% del totale) sopravvivono con meno di un euro al giorno.

Al di là della statistica, lo studio non manca di entrare nel merito delle riforme economiche in atto e della loro ricaduta a livello occupazionale. L’Ilo rimarca come le attuali politiche destinano risorse troppo esigue a misure di stimolo al mercato del lavoro. L’altro problema è che le risorse continuano ad alimentare in misura troppo elevata i mercati finanziari, mentre l’economia reale scarseggia ancora di investimenti adeguati. Bassa domanda di beni, precarietà politica, incertezza nelle opportunità e maggiore liquidità determinata da incentivi alle imprese sono una ricetta velenosa per il mondo produttivo, che tende a monetizzare gli introiti, destinandoli agli azionisti o impiegandoli in borsa, piuttosto che a reinvestirli nella propria attività. Dinamiche che, sottolinea l’Ilo, creano seri rischi di nuove “bolle” finanziarie e immobiliari che incombono su una ripresa troppo fragile, così come un’eccessiva austerità nuoce alle prospettive di una crescita effettiva. La ricetta dell’Ilo? Più risorse per le politiche di stimolo all’occupazione, incremento dei redditi da lavoro, rafforzamento del welfare nei Paesi emergenti per contrastare l’eccesso di lavoro senza tutele.

Martino Periti

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