SCIENZA E RICERCA

Doping, adesso c'è il passaporto biologico

La squalifica a vita, la revoca di tutti i titoli vinti dal 1995 al 2011, compresi sei Tour De France: questo è costato a Lance Armstrong il prolungato uso del doping e il coinvolgimento dei suoi compagni di squadra nell’illecito. Le indagini che hanno condotto alla conclusione della sua colpevolezza sono state lunghe e difficili, perché mai il ciclista è stato trovato positivo ai tanti test cui è stato sottoposto. “Il programma di doping più sofisticato, professionale e di successo che lo sport professionistico abbia mai visto” lo ha definito l’Usada, agenzia statunitense anti-doping. 

Per contrastare questo fenomeno, sempre più raffinato, per alcuni sport è entrato da qualche mese in vigore il passaporto biologico, che traccia nel tempo alcuni parametri ematologici e steroidei dello sportivo. Ed è proprio per anomalie nel passaporto biologico, ad esempio, che quest’anno il ciclista ceco Roman Kreuziger  il Tour de France non l’ha nemmeno cominciato.

Denso di paesaggi affascinanti, visi sofferenti, fughe eroiche e cadute rocambolesche, il Tour continua comunque ad affascinare. Ma seguire in televisione le immagini dei ciclisti che pedalano sulle strade francesi per ore e ore, a velocità impensabili per i comuni mortali, arrampicandosi su salite faticose solo a immaginarle, e poi pensare a un ciclismo pulito è difficile. È difficile dopo la questione Armstrong. Ma anche dopo la dolorosa vicenda di Pantani e gli scandali Rebellin, Sella, Ballan, Petacchi, Pellizotti, Vinokourov, Garzelli, Landis, Rasmussen, Simoni, Valverde, Franck Schleck, Contador (dopo due anni di squalifica di nuovo in sella in questo Tour); questi solo alcuni dei ciclisti professionisti positivi ai test anti-doping.

Per non parlare dell’esercito degli sportivi amatoriali, che pedalano anche solo per vincere un prosciutto, mica premi milionari: il rapporto della Commissione di vigilanza del ministero della Salute, che ha dato conto dei controlli effettuati insieme al Nas dei Carabinieri nel 2013, parla di un aumento del 50% dei risultati positivi al test, passati in un anno dal 4,4 al 6,5%. Più del doppio della media di tutti gli sport amatoriali. E il fenomeno sembra non avere età, visto che il 35,9% dei ciclisti positivi al doping ha più di 39 anni.  È anche vero che il ciclismo è percentualmente lo sport più monitorato in assoluto in Italia, con quasi un quarto dei controlli. Conferma questa tendenza una recentissima indagine del Coni, che però registra per la Fci un impietoso 5,8% di test non negativi. La Figc sui campi da calcio rileva un lontano - per quanto molto preoccupante - 1,8%.

Se l’Italia però può vantarsi di un dato positivo, è quello del numero di controlli effettuati globalmente: più di noi solo la Russia, che ha avviato un programma ambizioso in questo contesto, la Cina (con un sospetto e minuscolo 0,2% di test positivi), la Germania e gli Stati Uniti. A dare la “classifica” è la Wada, agenzia mondiale anti-doping, che a luglio ha pubblicato l’annuale Anti-doping testing figures, rapporto preciso e minuzioso che prende in esame tutte le nazioni del mondo e uno spettro vastissimo di sport, olimpici e non, dall’atletica leggera alla pelota, dalla pallacanestro alle corse in slitte trainate dai cani. Da questa Babele di dati emerge un aumento complessivo (del 20%) delle positività riscontrate rispetto al 2012; non solo, o necessariamente, sinonimo di un maggior uso di doping, ma probabilmente anche indice di un miglioramento nelle tecniche di analisi usate per rintracciare in sangue e urina le sostanze proibite. Secondo la Wada, lo sport olimpico più controllato a livello mondiale è il calcio, seguito da atletica e ciclismo; slittino e vela passano invece quasi inosservati. A maggiori controlli non corrispondono però in questo caso indici di positività più elevati: a guidare la lista degli sport più “drogati” è infatti il sollevamento pesi, con un 3,4% di test positivi, là dove la media degli altri sport olimpici non raggiunge il 2%; cattivi i risultati anche di lotta ed equitazione (2,3%). In peggiori condizioni sono gli sport non olimpici, in media positivi al test per quasi il 4%, e, soprattutto, quelli paralimpici, che in alcune discipline superano il 10% (para-equitazione: 18%; vela paralimpica: 14%).

A passaporto biologico e intensificazione dei monitoraggi, la lotta al doping prosegue anche sul versante dell’inasprimento delle sanzioni: a novembre scorso  la Wada ha duplicato la durata delle squalifiche per anomalie steroidee, e sembra che dal 2015 sarà recepita la sanzione anche per la sola frequentazione con soggetti dopati. Dove non arriva il buon senso e l’amore per sé e la legalità, speriamo arrivino almeno le agenzie antidoping.

Chiara Mezzalira

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