SOCIETÀ

Elezioni europee: Bruxelles alla ricerca dei cittadini

Negli ultimi anni è sempre più forte nell’opinione pubblica l’impressione che ormai il potere vero sia Bruxelles, che con cadenza ormai quotidiana ci bacchetta per i più svariati motivi: dalla situazione delle nostre carceri alla tenuta dei conti pubblici. Intanto “ce lo chiede l’Europa” è diventato un refrain per giustificare i provvedimenti più impopolari, a cominciare dalle nuove tasse.

Una sensazione di disagio e di distanza aggravata dal fatto che la costruzione europea ha visto fino ad ora protagonisti soprattutto i governi, assieme ai burocrati e ai tecnocrati appartenenti ad istituzioni come la Commissione e le corti europee. “All'Europa viene imputato un deficit democratico che si origina nei suoi meccanismi di legittimazione – spiega il docente in costruzione dello spazio pubblico europeo Gianni Riccamboni – e che viene ritenuto una delle principali cause del deficit comunicativo tra sistema istituzionale europeo e cittadini dei Paesi membri”.

Questo per lo meno fino ad oggi: con le prossime elezioni europee del 25 maggio infatti i cittadini, oltre ai propri rappresentanti al Parlamento europeo, sono chiamati ad influire direttamente anche sulla scelta del presidente della Commissione. Per questo, su 13 partiti politici europei, cinque hanno già nominato un proprio candidato: da Jean-Claude Juncker  per i Popolari a Martin Schulz per i Socialisti, passando per Guy Verhofstadt per Liberali e i Democratici, la coppia José Bové e Ska Keller per i Verdi e il greco  Alexis Tsipras per la Sinistra europea. E tra i candidati è previsto – altra novità – un confronto televisivo, perché i cittadini europei possano valutarne direttamente proposte e personalità.

Il tentativo è quello di colmare il gap tra cittadini ed istituzioni europee, mai così impopolari nel corso di oltre 60 anni di integrazione crescente. Un momento di crisi, non solo economica: la sensazione comune è che il sistema europeo non sia al momento capace di quelle scommesse sul futuro che ne hanno segnato la nascita e lo sviluppo. Proprio per confrontarsi su queste tematiche e raccogliere anche dal basso impressioni e proposte la Commissione europea, tramite i centri Europe Direct, sta organizzando incontri e dibattiti con la cittadinanza in tutto il continente, 60 in Italia, di cui uno ospitato dall’università di Padova lo scorso 25 marzo.

I dati – presentati da Ekaterina Domorenok e Giorgia Nesti, docenti rispettivamente in politiche e in policy making dell’Ue – sono allarmanti: secondo l’Eurobarometro – lo strumento creato nel 1973 dalla Commissione per sondare l’opinione pubblica – oggi soltanto il 31% dei cittadini ha fiducia nell’Unione. Un vero e proprio crollo rispetto al 57% di sette anni fa, anche se le istituzioni europee sono comunque giudicate più credibili dei parlamenti (25%) e dei governi (23%) nazionali. Stime che per l’Italia sono ancora peggiori: in questo momento appena il 23% dei nostri concittadini crede nell’Europa – cifre comunque più che doppie rispetto alla fiducia nel parlamento e nel governo nazionali, appena al 10%. Perché tanto scetticismo? Ekaterina Domorenok: “Oggi si parla molto di fiscal compact ed euro, sicuramente importanti, ma troppo poco di progetto politico e di governance, che invece sono punti fondamentali. Ci sono inoltre le risorse che l’Europa mette a disposizione dei cittadini e delle amministrazioni – uno dei lati positivi e creativi, aperti alle istanze ‘dal basso’, dell’Unione – che spesso non si conoscono e non vengono sfruttati”.

La colpa dell’euroscetticismo dilagante può insomma essere ascritta a un’Europa percepita sempre più come un ostacolo piuttosto che uno stimolo alla crescita, ma spesso anche alla superficialità del mainstream mediatico. Oltre ai vecchi peccati da scontare: in primis il deficit di democrazia storicamente rimproverato alle istituzioni europee. Il risultato è un avversione crescente, e per rendersene conto basta avere una minima frequentazione dei social network, le piazze virtuali odierne.

Ovviamente ci sono anche gli aspetti paradossali: “Quando si tratta di riconoscere che ciò che unisce i cittadini dei differenti Stati membri dell’Ue è più importante di ciò che li divide, secondo i dati dell’Eurobarometro del 2013, la risposta degli italiani è nella media europea – spiega Gianni Riccamboni – ma di fronte alla proposta di un’Ue a due velocità, e cioè la possibilità di aumentare le politiche comuni solo in alcuni stati, la risposta degli italiani è per lo più negativa”. La scarsa fiducia nell’Europa inoltre per ora non significa ancora a una decisa preferenza per un’opzione di exit: “Secondo un sondaggio condotto da Tecné a dicembre 2013 infatti, alla domanda ‘cosa è meglio per l’Italia’, le posizioni più radicalmente antieuropee si sono attestate tra il 30%, ‘uscire dall’Europa’, e il 35%, ‘uscire dall’Euro’- continua Riccamboni –; se qualcuno poi si aspettava che fosse il Nord Est ad assumere le posizioni più critiche, è smentito dai dati: è il Sud a segnalare una maggioranza di favorevoli all’uscita dall’Euro”.

Intanto, nelle proiezioni di Poll Watch, per le prossime elezioni europee sono dati in ascesa soprattutto i partiti all’estrema sinistra e i socialisti, mentre sono previsti al ribasso i verdi e soprattutto i popolari, che potrebbero perdere la palma di primo di partito. Quello che però inquieta maggiormente Bruxelles è soprattutto l’astensionismo, unito all’attesa di un forte incremento dei partiti considerati su posizioni antieuropeiste, come il Front National di Marine Le Pen, reduce dal recente trionfo nelle elezioni amministrative in Francia, e il MoVimento Cinque Stelle da noi.

L’Unione Europea oggi insomma ha pochi fan, e la maggior parte degli europei sembra indecisa tra l’abbandono della nave e le proposte di riforma radicale. Alessandro  Giordani, della rappresentanza in Italia della Commissione  Europea: “Negli ultimi cinque anni, senza cambiare costituzione, l’Europa ha cambiato pelle, raggiungendo un livello di integrazione inimmaginabile solo pochi anni fa. Questo perché in poco tempo bisognava convincere i mercati, che in quel momento stavano scommettendo contro l’Euro. Addirittura oggi un paese come l’Italia può essere multato perché non si adegua agli obiettivi posti dall’Europa nel campo dell’economia e delle politiche sociali”. Un passaggio necessario quindi, ma tutt’altro che partecipato e democratico: “Darsi l’euro senza una massa critica di politiche economiche e sociali comuni è stata una scommessa persa. Oggi però c’è uno strumento per cambiare, ed è proprio il voto del prossimo 25 maggio”.

Daniele Mont D'Arpizio

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