SCIENZA E RICERCA

Emicrania, speranze dalla terapia genetica

Anticorpi per il trattamento dell’emicrania: è in questa direzione che si sta muovendo la ricerca. Si tratta nello specifico di anticorpi monoclonali che si ottengono con tecniche di ingegneria genetica. Sono mirati per una determinata molecola e pensati, in questo caso, per bloccare il peptide correlato al gene della calcitonina (CGRP), una sostanza che ha un ruolo rilevante nella genesi dell’emicrania. Uno studio pubblicato recentemente su Cns Drugs sottolinea come sia importante valutare questo nuovo approccio terapeutico per i vantaggi che presenta.

Fino a questo momento infatti le ricerche si sono concentrate sugli antagonisti del recettore CGRP (molecole che bloccano il recettore con un meccanismo biochimico), che si sono dimostrati efficaci per il trattamento dell’emicrania ma, spiegano i ricercatori, a lungo andare possono provocare tossicità epatica sul paziente. Al contrario lo sviluppo di anticorpi, che combattono la vasodilatazione indotta da CGRP, potrebbe evitare questo tipo di problema.       

“L’emicrania – spiega Francesco Pierelli, professore di neurologia all’università La Sapienza di Roma, in questi giorni a Padova – risente di fattori ambientali, di fattori genetici e ha un andamento ricorrente”. Esistono elementi scatenanti come lo stress emotivo o l’eccessivo rilassamento (cefalea del fine settimana), l’aver saltato un pasto o mangiato troppo, l’essere stati esposti al freddo intenso o al caldo eccessivo, l’aver dormito troppo o troppo poco: situazioni ambientali opposte producono lo stesso effetto negli individui predisposti, nelle persone cioè che hanno particolari caratteristiche biologiche su base genetica.

“A fronte di queste conoscenze – continua Pierelli – rimane una questione aperta e cioè dove nasca la crisi emicranica”. C’è chi ritiene che tutto inizi dal “generatore” emicranico nel tronco encefalico; altri propongono un’ipotesi infiammatoria; infine c’è chi parla di cortical spreading depression, cioè di un’onda di depolarizzazione che parte dal polo occipitale e si dirige verso le regioni anteriori del cervello in grado di innescare la crisi emicranica. “Se non abbiamo ancora una risposta univoca in questo senso, rimane tuttavia un punto fermo: nell’emicrania si verifica un aumento del CGRP che è sicuramente coinvolto nella genesi della crisi”. Su questo peptide si stanno concentrando le ricerche per il trattamento preventivo dell’emicrania.

Accanto a questo nuovo approccio terapeutico ancora in fase di studio, ne esistono altri sviluppati negli ultimi anni. È il caso ad esempio della tossina botulinica che viene iniettata in aree muscolari specifiche della testa e del collo. Un’altra possibilità è la neurostimolazione, usata soprattutto quando i farmaci non fanno effetto. Dalle forme più invasive a quelle meno invasive, si va dalla stimolazione profonda dell’ipotalamo, alla stimolazione (con impulsi elettrici) del nervo occipitale, del nervo vago, fino alla stimolazione magnetica transcranica. Nel primo caso, cioè nelle forme di stimolazione più profonda, viene prodotto un foro nella scatola cranica per l’impianto: si tratta di un metodo utilizzato ormai tempo fa in maniera sporadica per tipologie di dolore molto intenso come la cefalea a grappolo cronica e oggi quasi del tutto abbandonato. La stimolazione del nervo grande occipitale è invece mininvasiva, in quanto gli elettrodi sono collocati sotto la cute, ma esternamente alla teca cranica. Infine esistono anche tecniche non invasive che vanno a stimolare il nervo vago, il ganglio sfeno-palatino o il nervo sovraorbitario attraverso elettrodi esterni. “Queste ultime – sottolinea Giorgio Zanchin, direttore del Centro cefalee di Padova – sono metodologie ancora allo studio, molto promettenti ma non tali da consentire un giudizio definitivo”. E le prospettive terapeutiche non sono finite qui se si considera che proprio il gruppo coordinato da Zanchin attualmente sta mettendo a punto una modalità farmacologica per interrompere il grappolo nella cefalea a grappolo, la forma più invalidante di mal di testa.

Da non trascurare, infine, è l’abuso di farmaci sintomatici che i pazienti assumono spesso in modo autonomo e prolungato nel tempo e che può trasformare una emicrania episodica (facile da curare) in una forma cronica con la presenza di cefalee anche quotidiane (medication overuse headache, emicrania da abuso di farmaci). Senza considerare gli effetti collaterali legati all’uso eccessivo di tali medicinali. In questi casi nessuna terapia di profilassi è in grado di migliorare la situazione, gli individui sono sempre meno responsivi ai trattamenti e questo incentiva ulteriormente l’abuso. Nel caso in cui si sospendano i farmaci sintomatici, si ottiene un netto miglioramento della cefalea. È però dimostrato che nel 30-40% dei casi il paziente ritorna poi alle vecchie abitudini, come se ci fosse una base biologica che lo riporta in quella direzione. “Il nostro gruppo di ricerca – spiega Pierelli – da qualche anno si sta dedicando allo studio delle basi genetiche dell’emicrania, con particolare attenzione ai polimorfismi genetici. Pochi anni fa abbiamo dimostrato ad esempio che un polimorfismo (Val66Met) del gene Bdnf,  collegato a disturbi del comportamento e ad abuso, è un significativo predittore indipendente dell’uso eccessivo di analgesici in pazienti affetti da emicrania da abuso di farmaci”.

Per discutere e approfondire questi argomenti con il pubblico, la Società italiana per lo studio delle cefalee promuove, sabato 17 maggio 2014, su tutto il territorio nazionale la giornata nazionale Dai un calcio al mal di testa (a Padova in piazzetta Garzeria davanti al Pedrocchi). Attenzione particolare sarà dedicata alla patologia nei giovani, alla cronicità del dolore e all’abuso di farmaci.

Monica Panetto

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