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In Salute. Cefalea in età pediatrica: utile un approccio non solo farmacologico

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Cefalea in aumento negli ultimi trent’anni in età pediatrica. A riferirlo è uno studio pubblicato a inizio aprile sulla rivista scientifica Headache, che offre un quadro epidemiologico aggiornato utilizzando i dati del Global Burden of Disease 2021.
Partiamo innanzitutto da una premessa, per sgombrare il campo da possibili equivoci: mal di testa, cefalea ed emicrania non sono termini che si equivalgono. La cefalea indica in modo generico i dolori del capo e può essere di due tipi, secondaria e primaria. Nel primo caso il mal di testa costituisce un sintomo di una condizione patologica sottostante, ad esempio una sinusite o un tumore cerebrale; nel secondo caso rappresenta esso stesso una malattia che va curata come tale, e non è causato da altro disturbo. Le tre forme più frequenti di cefalea primaria sono l’emicrania, la cefalea di tipo tensivo e la cefalea a grappolo. La cefalea di tipo tensivo difficilmente raggiunge l’intensità dell’emicrania: di questa seconda patologia, infatti, soffre la maggior parte di chi si rivolge a un ambulatorio medico. La cefalea a grappolo è meno diffusa, ma è una condizione gravissima per chi ne è affetto.
Ebbene, gli autori dell’articolo pubblicato su Headache hanno esaminato dati provenienti da 204 Paesi, suddivisi per indice sociodemografico, e hanno riscontrato che nel 2021 circa 545 milioni di persone in tutto il mondo di età inferiore ai 20 anni soffrivano di cefalea. Tra il 1990 e il 2021 è stato registrato un aumento del 22,79% nella prevalenza globale della cefalea, espressa per 100.000 abitanti (la prevalenza indica gli individui affetti in un dato momento). I casi di emicrania sono cresciuti del 24,17% e quelli di cefalea di tipo tensivo del 22,33%. L’incidenza invece (i nuovi casi di cefalea per anno) è aumentata del 5,21%.
“A livello globale – scrivono i ricercatori –, le varie forme di cefalea, in particolare l'emicrania, tra i bambini e gli adolescenti sono diventate un grave problema di sanità pubblica, che richiede una maggiore educazione alla salute, più consapevolezza sui disturbi da cefalea e la promozione di strategie efficaci di prevenzione e trattamento”.
Dell’argomento abbiamo parlato con Massimiliano Valeriani, componente del direttivo della Società italiana per lo studio delle cefalee e direttore dell’unità operativa complessa di Neurologia dello sviluppo all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, in cui si trova il Centro per lo studio e la cura delle cefalee in età evolutiva.
Intervista a Massimiliano Valeriani, Società italiana per lo studio delle Cefalee. Servizio e montaggio di Monica Panetto
Fattori scatenanti (anche psicologici) e sintomi poco noti
Secondo Valeriani, oggi si presta maggiore attenzione al sintomo del mal di testa, soprattutto nei Paesi occidentali più sviluppati. La popolazione è consapevole della necessità di rivolgersi al medico, dato che alcune forme di cefalea possono essere talora invalidanti, e questa potrebbe essere una delle ragioni alla base dell’incremento dei casi degli ultimi anni in età pediatrica.
L'emicrania in particolare è una malattia genetica, tuttavia la severità degli attacchi può essere influenzata da fattori scatenanti di vario tipo: “Tra i principali, nel bambino e nell'adolescente, vanno annoverati sicuramente quelli di natura emotiva, come lo stress legato alla scuola o alle attività extrascolastiche, dalle lezioni di musica allo sport. Tali occupazioni sono aumentate nel tempo, e anche questo potrebbe essere posto in relazione con l'incremento della prevalenza della cefalea osservata nei centri di vari ospedali”.
Spesso gli aspetti psicologici non vengono considerati tra i fattori scatenanti invece, secondo il docente, sono molto importanti. “L'emicrania in età pediatrica assume un andamento che definirei stagionale: i nostri ambulatori si riempiono e le nostre file di attesa aumentano a dismisura durante il periodo scolastico, mentre in estate si assiste a un netto miglioramento. E ciò, chiaramente, può essere attribuito solo alla riduzione degli eventi stressanti durante il periodo estivo”.
Valeriani spiega inoltre che l'emicrania tra i più piccoli può manifestarsi anche con sintomi diversi dal mal di testa, che spesso non vengono riconosciuti. Ad esempio, le coliche gassose nei neonati di tre, quattro mesi, che frequentemente vengono trattate cambiando il latte; il mal d'auto e i dolori agli arti inferiori, comunemente definiti dolori di crescita, sono in realtà sintomi dell'emicrania. Allo stesso modo anche i frequenti mal di pancia nei bambini in età scolare, i dolori addominali ricorrenti. La patologia può causare vertigini, sia nel bambino che nell’adulto: coloro che manifestano questo sintomo intorno ai 40-50 anni, per esempio, sono quasi tutti emicranici.
Strumenti per la diagnosi
I criteri per la diagnosi di tutte le forme di cefalea, sia primarie che secondarie, sono stati stabiliti dalla International Headache Society, formalmente anche per l’età pediatrica. Il docente spiega che per alcune entità nosologiche, come l'emicrania per esempio, ci sono tuttavia delle eccezioni, delle peculiarità che non appartengono all’età adulta.
Uno strumento utile a capire se una persona soffre di emicrania è l’ID Migraine, un questionario articolato in tre semplici domande, finora disponibile per gli adulti e da poco validato in lingua italiana anche per la popolazione pediatrica a partire dai sei anni.
“Attraverso l’ID Migraine – spiega Valeriani che con il Centro cefalee di Roma e quelli di Bari e Palermo ha condotto la validazione – i pediatri, cui il questionario è principalmente rivolto, riescono a capire se alla base di un generico dolore al capo possa celarsi un’emicrania. E questo eviterebbe tutti gli esami che solitamente vengono prescritti, come radiografie del cranio, elettroencefalogramma, esami del sangue, che sono totalmente inutili. Ciò consentirebbe anche un risparmio per il servizio sanitario nazionale, ma soprattutto una minore medicalizzazione del bambino con mal di testa”.

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L’importanza della psicoterapia, oltre ai farmaci
Il primo tipo di trattamento è la terapia antidolorifica, che va considerata anche nel bambino e nell'adolescente, dato che il dolore non trattato tende a ripetersi. “I farmaci devono essere utilizzati sotto controllo medico, poiché anche un uso eccessivo può essere negativo, e favorire la cronicizzazione del mal di testa. Chiaramente in forme di cefalea legate ad altre patologie (come quella dovuta, per esempio, a stati infettivi delle vie aeree superiori) la terapia di base deve concentrarsi sulle cause sottostanti. In presenza di emicrania invece, che è sicuramente la forma più frequente in età pediatrica, esiste la possibilità di ricorrere a terapie preventive, rivolte cioè a ridurre il numero di attacchi e la frequenza, che prevedono l’impiego di diversi farmaci”.
Nei casi più complessi con emicrania cronica, i pazienti possono avere mal di testa anche più di 15 giorni al mese. “Per esperienza, posso dire che in queste circostanze la terapia farmacologica spesso non è sufficiente. È necessario adottare quindi un approccio più ampio, che noi definiamo biopsicosociale e che prevede anche interventi di tipo comportamentale, come la psicoterapia, proprio per l'importanza dei fattori di natura emotiva e psicologica nel determinare la gravità di un’emicrania”.
Nuove cure, non (ancora) utilizzabili in età pediatrica
I trattamenti in età pediatrica non sono gli stessi utilizzati in età adulta perché, come in tutte le branche della medicina, i farmaci vengono sperimentati e approvati negli adulti e solo poi nei più piccoli. Possono dunque trascorrere diversi anni prima che diventino utilizzabili al di sotto dei 20 anni.
Gli adulti che soffrono di emicrania, per esempio, attualmente possono beneficiare di nuove terapie, come gli anticorpi monoclonali anti CGRP (che agiscono sul peptide correlato al gene della calcitonina) o i gepanti, piccole molecole che bloccano i recettori del CGRP. “Tutti gli studi scientifici di cui disponiamo dimostrano che questi trattamenti sono molto più efficaci rispetto alle terapie classiche e molto più poveri di effetti collaterali. Paradossalmente, però, non li possiamo utilizzare in bambini e bambine, e siamo ancorati a vecchie terapie che ormai gli adulti usano sempre di meno”. Anche in età pediatrica sono in corso studi clinici con queste nuove cure, ma probabilmente si dovrà attendere del tempo prima di averli a disposizione.
Valeriani, in un articolo a sei mani con Andrew D Hershey e Aynur Özge, propone dunque una riflessione: “Potremmo chiederci se dobbiamo semplicemente aspettare che gli studi con anticorpi monoclonali e gepanti in bambini e adolescenti forniscano dei risultati, sperando che siano positivi, o se, nel frattempo, dobbiamo continuare a esplorare le possibilità dei trattamenti esistenti, per aiutare chi in età pediatrica soffre di cefalee gravi a raggiungere uno stato di benessere. Siamo convinti che le cefalee che si manifestano a questa età, soprattutto quelle dovute all’emicrania, meritino un'indagine scientifica continua, al di là dei farmaci mirati al CGRP, per migliorare la qualità di vita dei pazienti”.

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I centri cefalee per l’età evolutiva
Sono sempre di più dunque le famiglie che chiedono aiuto per i figli che soffrono di mal di testa, e proprio da questa esigenza sono sorti in Italia i centri cefalee per l’età pediatrica. Ancora troppo pochi, secondo Valeriani, nel nostro Paese. Il docente dirige uno di questi e ci spiega come vengono presi in carico i pazienti.
“Al centro cefalee dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù si accede con prescrizione del pediatra. Ci sono due livelli di assistenza: c'è un ambulatorio di base per i casi meno complessi, gestito dai colleghi dell'unità operativa di Pediatria generale, istruiti sul trattamento delle cefalee. Chi ha una situazione più difficile, invece, viene indirizzato all'unità di Neurologia dello sviluppo. Qui bambini e bambine possono essere seguiti sia con un percorso di tipo ambulatoriale, sia in day hospital”.
Valeriani spiega che l’approccio è multidisciplinare: i pazienti sono seguiti da psicologhe, anestesisti, algologi, oltre che da neurologi. “Spesso chi arriva nella nostra struttura presenta una situazione clinica davvero invalidante, perde mesi e talora anni scolastici, e in questi casi è sempre bene agire su più fronti: è difficile pensare che il farmaco possa essere l'unica soluzione”.