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Semplici azioni quotidiane come usare le forbici, avvitare la moka del caffè o aprire una bottiglia possono diventare difficili da compiere, e causare un dolore importante alla base del pollice. Può manifestarsi subito in modo intenso o via via aumentare nel tempo. “La rizoartrosi è un processo degenerativo dell'articolazione trapezio-metacarpale”, spiega Sandra Pfanner, direttrice dell’unità operativa di Chirurgia e microchirurgia ricostruttiva della mano dell’azienda ospedaliero-universitaria Careggi di Firenze e vice presidente della Società italiana di chirurgia della mano.
“A causa dell’artrosi – continua Pfanner, a cui ci siamo rivolte per approfondire l’argomento – la cartilagine si consuma e l’osso sottostante rimane esposto: quando le due superfici articolari, non più perfettamente congruenti e lisce, scorrono l'una sull'altra, insorge dolore, infiammazione. L'articolazione alla base del pollice è estremamente mobile, permette un movimento di circonduzione, cioè di 360 gradi. È fondamentale per la presa, la gestualità, le attività quotidiane”.
L’andamento della malattia può variare di intensità nel tempo e alternare episodi acuti in cui il dolore è più marcato, a momenti in cui i sintomi sono meno evidenti. Nelle fasi più avanzate il dolore però diventa persistente e può essere accompagnato da deformità articolari, quando l’articolazione alla base del pollice si sposta parzialmente fuori posto.
I trattamenti riabilitativi nelle fasi iniziali
Esistono terapie di vario tipo, anche rispetto alle altre articolazioni della mano, che variano a seconda dello stadio evolutivo della patologia. “Negli stadi iniziali della malattia – che possono protrarsi anche per diversi anni – è possibile intervenire con approcci non invasivi, basati principalmente su trattamenti riabilitativi che includono l’uso di un tutore. In alcuni casi consigliamo di utilizzarlo durante le attività quotidiane, in altri durante il riposo notturno. I terapisti della mano, poi, suggeriscono al paziente una serie di esercizi mirati, come mantenere la forma di una O con pollice e indice, oppure attività che prevedono l’utilizzo di elastici o il rafforzamento dei muscoli alla base del pollice”.
Pfanner spiega che possono essere abbinati integratori specifici per l’artrosi o, nei casi più sintomatici, farmaci per il trattamento del dolore e dell’infiammazione artrosica, a seconda della valutazione medica. Esistono anche altre possibilità terapeutiche tra cui, per esempio, le infiltrazioni intra-articolari. “C'è chi utilizza il cortisone, chi l'acido ialuronico. Più efficaci sono le cellule mesenchimali, cellule staminali che hanno un grosso potenziale antinfiammatorio e rigenerativo, nelle fasi iniziali della malattia. Va detto però che non rappresentano una terapia definitiva, ma un trattamento sintomatico che ha una efficacia limitata nel tempo”.

L’intervento chirurgico nelle fasi più avanzate di malattia
Nelle fasi più avanzate della malattia, quando iniziano a manifestarsi segni evidenti di degenerazione articolare, come il deterioramento della cartilagine e la conseguente riduzione dello spazio tra le ossa, si può ricorrere a diverse opzioni di trattamento chirurgico che variano per grado di invasività e complessità. “Si può iniziare con procedure mininvasive – argomenta la chirurga –, come la pulizia artroscopica dell’articolazione (detta anche debridement, ha lo scopo di rimuovere i tessuti danneggiati, ndr). Nei casi più gravi si può arrivare a interventi chirurgici veri e propri, come la sostituzione protesica dell’articolazione, oppure preferire altre soluzioni, come la trapeziectomia, cioè l’asportazione totale o parziale del trapezio”. L’operazione può prevedere la semplice rimozione dell’osso artrosico, oppure può essere accompagnata dalla sostituzione dello spazio rimasto vuoto con un tendine prelevato dallo stesso paziente, creando una “sospensione” che stabilizza l'articolazione. Si tratta dunque di un percorso che può essere personalizzato, con opzioni che vanno valutate in base allo stadio della malattia e alle esigenze del paziente.
Possibili cause alla base della rizoartrosi
Le cause della patologia – le stesse che stanno alla base dell’artrosi più in generale –, non sono ancora del tutto chiarite. “Si ritiene che la familiarità, i fattori genetici possano incidere in qualche modo. Le casistiche però sono varie: se alcuni pazienti provengono effettivamente da famiglie con artrosi polidistrettuale, dunque al ginocchio, all’anca, alla mano, altri invece si ritrovano con un quadro avanzato di rizoartrosi, pur non avendo parenti con la patologia”.
Continua Pfanner: “Tra i fattori che nel tempo possono favorire lo sviluppo dell’artrosi rientrano sicuramente le cause di natura meccanica, tra cui la lassità legamentosa, l’instabilità articolare o eventi post-traumatici”. Per esempio, una frattura del trapezio o del metacarpo può cambiare la posizione naturale delle ossa e causare un sovraccarico in una zona precedentemente non coinvolta. Ancora, una lussazione del metacarpo rispetto al trapezio – che di solito si sviluppa con la progressione della malattia – può essere già presente a seguito di un trauma e dunque contribuire ad accelerare la degenerazione della superficie articolare.
La chirurga sottolinea in particolare l’importanza della stabilità articolare: un sovraccarico dell’articolazione – che si può verificare nei soggetti più elastici con legamenti più allungati rispetto alla norma –, accelera il processo di usura della cartilagine. E questo può contribuire anche all’insorgenza di artrosi in età giovanile.

Attenzione al cellulare!
“Nella pratica clinica notiamo che si è abbassata notevolmente l’età di esordio della malattia. Un tempo la rizoartrosi colpiva tipicamente le donne dai 70 anni in su, e solo in età avanzata si osservavano i casi più gravi. Oggi si assiste invece a un’insorgenza molto più precoce, con tutte le limitazioni che questo comporta: chi ha un esordio a 40-50 anni si trova nel pieno della propria attività lavorativa e personale, di conseguenza la patologia ha un impatto molto più importante rispetto al passato”.
Le ragioni, secondo Pfanner, andrebbero cercate anche in alcune abitudini quotidiane. La chirurga sottolinea che l’utilizzo prolungato del cellulare, con movimenti e micromovimenti ripetuti per diverse ore al giorno, sebbene non sia stato ancora scientificamente riconosciuto come causa diretta, viene sempre più considerato come possibile fattore predisponente. E questo potrebbe spiegare, almeno in parte, l’abbassamento dell’età di insorgenza della rizoartrosi e l’aumento dei casi anche tra gli uomini che un tempo raramente erano interessati dalla patologia.
La componente meccanica, come si è detto, gioca un ruolo rilevante, e tra i vari fattori sollecitanti, l’uso dello smartphone sembra oggi incidere più di altri strumenti, come per esempio il mouse che frequentemente si usa per lavoro.
Attualmente non esistono prove certe che alcune attività quotidiane possano costituire cause dirette della rizoartrosi, né dunque per raccomandare in modo sistematico misure ergonomiche specifiche. Tuttavia, secondo Pfanner, una delle ipotesi più condivise è che l’attività manuale ripetitiva e protratta nel tempo, soprattutto se associata a sovraccarichi meccanici e posture non ergonomiche, possa anticipare l’età di insorgenza e predisporre allo sviluppo della patologia. “Non esistono però attività specifiche riconosciute come causa diretta. Anzi, è importante sottolineare che più la mano viene mantenuta attiva e in movimento, più beneficio ne trae”.