SOCIETÀ

Energia, il sogno cinese delle rinnovabili

E se la Cina superasse Stati Uniti, Unione europea e Giappone nella produzione di energie provenienti da fonti rinnovabili? Sembrerebbe uno scenario impossibile, almeno osservando l’inquinamento che avvolge le principali città cinesi, Pechino in testa. Ma l’Agenzia internazionale per l’energia (Iea) ne è sicura: “Entro il 2035 – si legge nel rapporto annuale mondiale di previsione – la Cina costruirà più centrali “verdi” rispetto a Ue, Usa e Giappone messe assieme”.

La percentuale di risorse energetiche rinnovabili (idroelettrico, biomassa, solare ed eolico) salirà del 30% lungo questo periodo “superando la quota del gas naturale e raggiungendo, entro il 2035, il carbone come carburante leader nella produzione di energia”, spiega il rapporto. Il contributo principale giungerà da eolico e fotovoltaico che da soli spingeranno le rinnovabili del 45%, trainando, di fatto, il settore.

Nel frattempo si prevede che l’emissione di inquinanti nell’aria aumenti del 20% a livello globale con il rischio che la temperatura media della Terra possa salire nel lungo periodo oltre i 3,6 gradi Celsius. Ben al di sopra della soglia di sicurezza di due gradi, riconosciuta a livello internazionale. “Come fonte per due terzi delle emissioni di gas serra, il settore energetico – si argomenta nel rapporto – sarà determinante per garantire il raggiungimento dei risultati prefissati per scongiurare i cambiamenti climatici”.

Lo scacchiere energetico mondiale rimane comunque uno dei nodi nevralgici per la gestione delle risorse in grado di influenzare l’equilibrio delle forze politiche mondiali. Da un lato la Cina  potrebbe davvero emergere come leader mondiale per le fonti di energia rinnovabile, anche se vi è più di qualche perplessità sui metodi di costruzione di alcune grandi opere, quali la diga di Laxiwa. Allo stesso tempo, secondo un rapporto del Wilson center, un istituto di ricerca americano, resterà uno dei paesi più dipendenti dal carburante di origine fossile, vista la notevole espansione industriale tuttora in atto. Entro il 2030, secondo le analisi Usa, si prevede che il 75% delle risorse energetiche fossili necessarie all’industria cinese sarà importato. Non è un caso che il governo di Pechino, rinnovabili a parte, stia lavorando alacremente per stringere accordi bilaterali con la Russia, tra le potenze mondiali nella distribuzione di gas naturale e contemporaneamente cerchi di affacciarsi nell’intricato puzzle dello sfruttamento degli idrocarburi dell’Artico. Se la distribuzione del greggio e del gas naturale sembra guardare a Oriente (la Federazione russa ha tutto l’interesse a spostare il mercato in quella direzione, vista la situazione asfittica in cui versa l’Europa, per di più attanagliata dalla crisi economica), determinante sarà però il ruolo degli Stati Uniti, che – come conferma nuovamente la Iea nel suo rapporto – avrà una posizione dominante da qui al 2035: l’estrazione dello shale oil porterà infatti il Nord America a essere il nuovo leader mondiale nella produzione di petrolio, scalzando dal podio anche i paesi appartenenti all’Opec.

Il 2035 sembrerebbe essere la data fatidica per definire i nuovi equilibri nella produzione di energia: tra rinascita del petrolio (anche se lo sfruttamento dello shale oil potrebbe rivelarsi molto più labile nel tempo) e crescita nella produzione di energia “verde” in paesi che finora non si erano mai affacciati su questo mercato. Allo stesso tempo, è la sostenibilità di questi scenari a preoccupare le associazioni ambientaliste che temono, proprio a causa delle nuove tecniche di estrazione, un aumento esponenziale delle emissioni di CO2 nell’aria che vanificherebbe ogni possibile crescita dello sfruttamento di fonti di energia rinnovabili.

Mattia Sopelsa

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