SOCIETÀ

Finiscono in Egitto le primavere arabe?

Il presidente egiziano Mohamed Morsi ha appena concluso il suo mandato nel peggiore dei modi: arrestato dai militari sotto la spinta delle manifestazioni di piazza. A prima vista il fallimento di un’esperienza in cui tanti all’inizio avevano riposto le loro speranze ai tempi delle “primavere arabe”, appena due anni fa. Già le nuove elezioni del resto, con l’arrivo al potere dei partiti di ispirazione musulmana in Egitto, Tunisia e Libia, avevano spento l’entusiasmo di molti.

L’Egitto però, oltre ad essere il paese arabo più popoloso, è da sempre anche il laboratorio di movimenti che poi influenzano tutto il Medio Oriente, a cominciare dai Fratelli Musulmani, che qui sono nati nel 1928. C’è il rischio oggi che proprio nella valle del Nilo si arresti il processo di democratizzazione del Maghreb e, in prospettiva di tutto il Medio Oriente? Lo abbiamo chiesto Osama Al Saghir, giovane tunisino con laurea e passaporto italiano, che come deputato di Ennahdha (“rinascita”, primo partito del paese, vicino ai Fratelli musulmani) sta prendendo parte alla costituente tunisina.

Cosa pensa di quanto sta avvenendo in Egitto?

Che è senza alcun dubbio un colpo di stato. Si tratta di un problema di principio, al di là del giudizio su Morsi. Quando si rompe la fiducia nella democrazia cade tutto: come si potrà un domani credere nelle nuove elezioni, se in qualsiasi momento il risultato può essere rovesciato dalle manifestazioni di piazza? Assistiamo oggi al ritorno della vecchia dittatura, con il solito apparato fatto di poteri economici, militari e mediatici.

Anche Mubarak però è caduto proprio per le manifestazioni di piazza...

Trovo completamente sbagliato questo paragone. Mubarak era un dittatore, Morsi è stato regolarmente eletto.

L’intervento dei militari non è dipeso anche dall’inefficacia del governo guidato da Fratelli Musulmani?

Io stesso non sono contento di come Morsi ha governato. Credo che avrebbe dovuto cercare un maggiore consenso, come abbiamo fatto in Tunisia. Noi abbiamo capito che dopo le rivoluzioni non poteva esserci al governo un’unica parte: Ennahdha infatti governa in coalizione, la cosiddetta troika, con i socialisti e i nazionalisti. Parti diversissime fra loro, ma unite dal fatto di essere moderate e non estremiste. Questo non è stato fatto in Egitto, dove Morsi si è ostinato a tentare di tenere da solo il potere. Nonostante questo però non c’era alcun motivo di rompere la legittimità democratica. Oggi ad esempio secondo i sondaggi Hollande ha appena il 25% del consenso in Francia. Questo vuol dire che può essere destituito da una manifestazione di piazza, oppure è più corretto aspettare le elezioni? Non dovremmo accettare per gli altri ciò che non accettiamo per noi stessi.

Non pensa che la società egiziana abbia manifestato il proprio rifiuto a un’islamizzazione imposta dall’alto?

Assolutamente no. Sono stato in Egitto un mese fa: ho visto donne con il velo e in minigonna, persone che vanno in moschea a pregare e altre che vanno nei locali a divertirsi. Soprattutto ho visto tanta vita, movimento. Ho anche partecipato a diversi incontri con parlamentari e leader, sia di governo che di opposizione, e tutti potevano parlare ed esprimersi liberamente, senza paura di essere arrestati. Possiamo rimproverare tante cose a Morsi, ma non di essere stato antidemocratico. Pochi minuti dopo il colpo di stato invece erano già state chiuse diverse tv. I militari, oltre ai leader della Fratellanza, hanno anche arrestato un centinaio di giornalisti, tra cui gli inviati di Al Jazeera.

Come reagirà il governo tunisino?

Crediamo che quanto sta accadendo sia illegittimo. Soprattutto in questi paesi dove la democrazia è giovane viene lanciato il messaggio peggiore, perché così togliamo fiducia alla gente. È dunque inutile andare a votare?

Quello che sta accadendo in Egitto può destabilizzare anche la Tunisia?

È possibile che nel breve periodo qualcuno tenti delle azioni: in Tunisia però, come ho già detto, la situazione è profondamente diversa. Il presidente (Moncef Marzouki, eletto alla fine del 2011 ndr)  non appartiene neppure ad Ennahdha. Insieme stiamo scrivendo la costituzione, e ogni giorno cerchiamo di dialogare con tutti, compreso il partito di Belaïd (il leader democratico assassinato in febbraio). Anche le caratteristiche dell’esercito in Tunisia sono diverse: non si tratta di un apparato gigantesco e pervasivo come in Egitto, dove ha sempre avuto un peso decisivo da un punto di vista politico e sociale, arrivando a controllare circa il 30% dell’economia del paese. Da noi il regime aveva scelto di appoggiarsi soprattutto sulla polizia.

Quale insegnamento possono ricavare i Fratelli musulmani e in generale i musulmani moderati da quello che sta accadendo?

Quello di non governare da soli. I nostri popoli sono stanchi dei governi a partito unico. Se vuoi fare da solo prima o poi gli altri cercheranno di escludere te. Se invece riesci a coinvolgere le persone e gli altri partiti, si tolgono anche argomenti agli avversari del processo democratico. Per questo abbiamo deciso di continuare a lavorare sulla nuova costituzione anche durante tutto il mese di Ramadan, in modo da riuscire ad approvarla entro fine agosto-metà settembre. Poi ci saranno le elezioni e, entro fine anno, il nuovo governo.

Quella che stiamo vivendo non è dunque la fine delle primavere arabe?

Assolutamente no: credo sia solo una tappa di un percorso ancora lungo. Anche per l’Egitto sono fiducioso che presto si torni a dare la parola al popolo.

Daniele Mont D’Arpizio

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