SOCIETÀ

Genesi di una falsa notizia: copiare (male) da articoli sbagliati

Verificate verificate e verificate ancora le vostre fonti. Questa frase dovrebbe essere una sorta di mantra per chi di mestiere fa comunicazione che si tratti di un giornalista, di un divulgatore scientifico o di una organizzazione mondiale accreditata. Nell’epoca di Internet, della lotta a chi arriva per primo allo scoop, al bruciare la notizia agli altri quotidiani, i casi di articoli in cui abbondano errori, superficialità, grossolani copia e incolla che poi costringono a parziali rettifiche sono all’ordine del giorno. Ma non ci si aspetterebbe di trovare inesattezze, pesanti, che poi rischiano di diventare bufale incontrollate nella selva del web, in documenti ufficiali come il Review of social determinants and the health divide in the WHO European Region: final report, diffuso ieri dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il documento, di quasi 200 pagine, conteneva un errore clamoroso per il massimo ente mondiale in materia sanitaria: a pagina 112, infatti, riportava la seguente frase, all’interno di un case-study sulla Grecia: “... Hiv rates and heroin use have risen significantly, with about half of new Hiv infections being self-inflicted to enable people to receive benefits of 700 per month and faster admission onto drug-substitution programmes”. L’Oms dava insomma per assodato che il 50% delle nuove infezioni da Hiv in Grecia provenisse da individui che si contagiavano consapevolmente per ottenere gli aiuti di Stato. Un dato sicuramente allarmante e terribile, ma falso: estrapolato e trascritto in modo errato da un articolo, risalente al 2011, pubblicato dalla rivista Lancet, una delle pubblicazioni più autorevoli in materia di scienza e ricerca, e citato, nelle note a pie’ di pagina del rapporto Oms. L’articolo in questione riporta questo dato, ben diverso da quanto descritto dall’Organizzazione mondiale della sanità: “An authoritative report described accounts of deliberate self-infection by a few individuals to obtain access to benefits of 700 per month and faster admission...”. 

Lancet, insomma, cita un “autorevole rapporto” secondo cui si registrano casi di pochi individui che si auto-contagiano con il virus dell’Hiv per accedere agli aiuti di Stato. Discorso ben diverso dalla percentuale del rapporto Oms che, verosimilmente, ha incrociato il dato degli auto-contagi con la percentuale prevista di nuove infezioni, pari al 52% in più rispetto al 2010 e riportata poche righe prima nell’articolo di Lancet. L’Oms ha pubblicato una rettifica ufficiale poche ore dopo la divulgazione del rapporto, anche se alcuni mezzi di informazione, tra cui Al Jazeera e altri media italiani come Dagospia avevano pubblicato la notizia con tanto di titoli sensazionalistici. Salvo poi rettificare a loro volta. Tutto a posto quindi? Alla fin fine si tratta di un brutto caso di copia e incolla venuto male. Poco importa se provenga dall’Oms e che la notizia, per lo meno in Italia, abbagliata dai guai politici del governo, abbia avuto poco risalto. 

Negli Stati Uniti, tra i primi ad accorgersi della bufala, c’è stato il Washington Post che, ironicamente, chiude l’articolo con la lezione classica: “Controlla le tue fonti e leggi le note a pie’ di pagina”. Peccato che l’autorevole quotidiano della capitale americana non si sia accorto, verificando le note dell’articolo di Lancet, che pure i redattori della rivista scientifica avevano preso, nel 2011, un abbaglio. I giornalisti, infatti, riferendosi all’”autorevole rapporto”, il Report of the ad hoc expert group of the greek focal on the outbreak of Hiv/Aids in 2011, distorcono in parte le parole degli autori. Questo è quello che recita il paragrafo 8: “An addictional factor the committee believed worth considering is the well-founded suspicion that some problem users are intentionally infected with Hiv, because of the benefit they are entitled to”. Il rapporto “autorevole” parla, in breve, di “sospetti ben fondati su alcune persone problematiche che si sarebbero infettate” per i famosi benefici economici di cui sopra. A prescindere dall’autorevolezza del rapporto greco redatto dallo University mental health research institute (Umhri) che utilizza sospetti, seppur “ben fondati”, per avvalorare una tesi, rimane da capire come Lancet abbia deciso di prendere per buoni dei dati “scientifici” non verificabili e di conseguenza, almeno per i criteri che si dovrebbero adottare, di dubbia veridicità. 

Chi non ha peccato scagli la prima pietra. Senza scomodare la Bibbia, la vicenda dimostra come sia difficile attribuire la colpa originale che ha poi generato la bufala greca. Poco importa, in fondo.

Resta il fatto che il vecchio adagio di verificare la fonte rimane il miglior consiglio, valido non solo per i giornalisti, ma anche per ricercatori e responsabili della revisione di rapporti di portata divulgativa mondiale. Accompagnato magari da un po’ di sano scetticismo.

Mattia Sopelsa

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