SOCIETÀ

Google-Germania zero a zero

Digitando su Google i termini “link tax” e “Germania” i titoli e gli snippet, i frammenti brevi di testo con l’anteprima del risultato della ricerca che si ottengono in risposta, sono quanto meno contrastanti. Prendiamone tre a titolo di esempio, tutti apparsi in rete nei primi quattro giorni di marzo 2013: Google, "link tax" bocciata in Germania; Germania approva la Link Tax; Dalla Germania il primo sì alla Google Link Tax.

Numerosi gli articoli su stampa e siti online che riferiscono la bocciatura “senza mezzi termini” della link tax da parte del Bundestag tedesco. In altri siti, più attenti, le notizie invece riportano un’informazione più corretta: “Passato il primo esame al Bundestag, la “Google tax” si dirige verso il Bundesrat, ma con qualche modifica importante”. In altri ancora l’ambiguità di fondo non chiarisce.

In questione è la “Leistungsschutzrecht für Presseverleger”, letteralmente “tutela della prestazione per gli editori della stampa”: la proposta di legge sostenuta fortemente dalla coalizione di governo di Angela Merkel e avanzata fin dal 2012 dai colossi dell’editoria tedeschi – Bertelsmann e Axel Springer in testa – preoccupati per il calo dei ricavi nella vendita di giornali cartacei. È nota anche come “Google Tax”. Gli editori avevano richiesto al Bundestag – la camera dei Deputati tedesca – di introdurre una legge per obbligare gli aggregatori di news a pagare una percentuale per gli articoli dei servizi news. A seguito dei vari emendamenti, non di poco conto, apportati dal Bundestag che aveva ridimensionato il testo originario proposto dall’associazione degli editori di giornali tedeschi (Bdvz), la versione light della legge esonera gli aggregatori da pagamenti per la ripubblicazione di singole parole e snippet. Ciò a causa delle numerose voci di protesta in sede di dibattito parlamentare, partito dei verdi in testa, che avevano sostenuto che nessuno – eccetto i grossi editori – vuole una legge che avrebbe solo minacciato il flusso delle informazioni del mondo della rete, limitando di fatto l’eterogeneità dei media. Né è sostenibile che si tratti di tutela degli autori, dato che una legge garantirebbe comunque entrate economiche ai giornalisti. L'esito del voto del Bundestag sulla legge che regolamenta la tutela del diritto d'autore in internet è stato di 293 voti a favore contro 243 contrari.

A fine marzo il Bundesrat – la Camera alta del Parlamento o Senato federale – doveva decidere se consentire agli aggregatori di news di continuare a pubblicare on line titoli e brevi riassunti degli articoli dei giornali, senza pagare i diritti e senza nemmeno chiedere autorizzazione, o se piuttosto normarne l’uso con una sorta di tassa sul diritto d'autore giornalistico online. Il Senato tedesco ha a sua volta approvato il progetto di legge con le modifiche che erano state apportate dal Parlamento e che prevedono che Google e gli aggregatori che forniscono servizi simili paghino le royalties agli editori per la pubblicazione di contenuti, esentando però dalla tassa gli snippet. Sulla lunghezza della citazione consentita come anteprima, lo snippet appunto, la norma non fissa parametri di riferimento ma Der Spigel parla di brevità minima, riconducile a 160 caratteri. Difficile quindi capire chi siano i vinti e chi i vincitori. Ora la link tax dovrà essere varata dal governo tedesco tra le proteste degli editori che sostengono ne sia stata notevolmente ridimensionata la portata originaria. Secondo Google, la nuova versione del Leistungsschutzrecht approvata dal Parlamento tedesco riduce le distanze fra le diverse posizioni: “I voti dei due rami del parlamento tedesco rappresentano ‘uno sviluppo positivo’ perché la legge, nella sua forma orginaria, avrebbe determinato difficoltà operative del servizio Google News”.

In sostanza a questo punto vi sono in Europa due orientamenti; il primo di questi – sostenuto dagli editori, e con la Germania come apripista – vede la necessità di una legge che regolamenti l’attività dei motori di ricerca entro il framework normativo sul diritto d’autore. Su questa linea, il Consiglio degli editori europei è fra i principali sostenitori di una legge che aiuti la costruzione di modelli economici innovativi su contenuti legalmente autorizzati. Il secondo orientamento è quello negoziale, dove le dispute tra Google e gli editori di paesi come Belgio e Francia sono state risolte con accordi che prevedono progetti congiunti di monetizzazione dei contenuti online basati su opzioni pubblicitarie.

La Gran Bretagna sembrerebbe seriamente orientata a seguire la soluzione francese e belga, anche perché, sebbene non molto tempo fa l’associazione degli editori britannici Newspaper licensing agency (Nla) abbia vinto la causa intentata contro Meltwater news e Public relations consultant association (entrambe agenzie di pubbliche relazioni specializzate in servizi a pagamento per rassegna stampa online rivolti alle aziende), è opinione comune che bloccare i servizi di news frenerebbe il mercato. Le agenzie erano infatti state condannate dai giudici al pagamento di un risarcimento per ogni link effettuato con la motivazione che il servizio era venduto come prodotto a terzi. Qualche giorno fa anche negli Usa, il giudice newyorchese Denise Cote ha accolto la mozione presentata dall’Associated press (Ap) sempre contro il servizio norvegese Meltwater news, accusato di sfruttamento indebito dei contenuti originali prodotti dagli editori. Ma Google news in Europa non vende il servizio a terzi, ricava i suoi guadagni dalla pubblicità. Il servizio di Google news non è quindi equiparabile a quello dell’agenzia Meltwater. Come è noto, il sistema che regola la proprietà intellettuale di ambito anglosassone è piuttosto diverso rispetto a quello europeo continentale basato sul diritto d’autore, ma in questo caso la linea negoziale adottata da Francia e Belgio sembra costituire una soluzione convincente anche in Inghilterra.

Fra i paesi che condividono l’impianto europeo dei diritti d’autore, a muoversi in direzioni diverse rispetto sia alla scelta britannica sia a quella francese oltre alla Germania è, in questo momento, l’Italia. Alle richieste degli editori tedeschi si era infatti affiancata anche la Federazione italiana degli editori di giornali (Fieg), con le dichiarazioni del suo presidente, Giulio Anselmi: “Auspichiamo l'inserimento nell'attuale quadro normativo dei rispettivi Paesi, di una disciplina che definisca un sistema di diritti di proprietà intellettuale idoneo a incoraggiare su Internet forme di cooperazione virtuosa con gli operatori dell'industria digitale, in primo luogo i motori di ricerca”. In sostanza, la Fieg chiedeva al governo Monti una norma sul copyright online o quanto meno un accordo analogo a quello siglato “per la tutela delle rassegne stampa cartacee, che garantiscono le royalties agli editori dai soggetti che realizzano le rassegne stampa. Una quota del 4% va collettivamente agli editori, che si spartiscono i proventi in base agli articoli pubblicati nelle rassegne stampa”. Carotti della Fieg, ancora a novembre scorso,scrivevasu Corriere Comunicazioni, parlando di guerra dei contenuti, che “Google, anche attraverso l’utilizzo di prodotti editoriali, ricercati attraverso il suo motore di ricerca, produce business in termini di vendita di pubblicità. In Italia, il fatturato annuo derivante da attività pubblicitaria di Google è stato stimato in 700-800 milioni di euro. Chiediamo che sia fissata una quota di royalties per gli editori”.

A cambiare le carte in tavola è venuta la posizione recentemente assunta dal governo francese, fino a qualche mese fa più vicino alle richieste dell’editoria sostenute da Germania e Italia. Sul Corriere del 13 febbraio 2013 Anselmi dichiarava che la Fieg stava cominciando a ragionare con Palazzo Chigi, ma ammetteva che l'esecutivo francese era stato più attivo di quello italiano, pur sottolineando come il problema da parte della Fieg fosse stato sollevato da tempo: “In Italia le prime criticità nei rapporti tra il motore di ricerca e gli editori della stampa erano emerse già a partire dal 2009, quando la Fieg aveva sollecitato all'Antitrust l'apertura di un'istruttoria contro Google”. Ferma restando la richiesta di un riconoscimento economico agli autori da parte di Google a fronte dei contenuti utilizzati, la soluzione negoziale francese per Anselmi è quella preferibile, senza dimenticare, dal lato legislativo, la necessità di una revisione della normativa del diritto d'autore per adeguarla alle nuove esigenze del web.

Antonella De Robbio

 

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012