SOCIETÀ

Google, padrone delle nostre vite

È dei giorni scorsi la notizia, riportata da alcune testate come il New York Times, l’Herald Tribune, The Guardian di un conflitto aperto fra le autorità europee e Google in materia di privacy. La nuova policy sulla protezione dei dati personali, che la società americana ha adottato dopo l’unificazione dei principali servizi offerti all’utenza, si troverebbe in forte conflitto con le normative di tutela comunitarie, secondo il parere redatto dalla Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés (CNIL), l’agenzia francese delegata dalla Comunità europea a tenere i rapporti con le grandi corporation dell’informatica. Il 17 ottobre Larry Page, cofondatore e amministratore delegato di Google, ha ricevuto dai garanti comunitari una lettera in 12 punti che indica in dettaglio una serie di modifiche tese a ripristinare nella sostanza la situazione precedente all’unificazione dei servizi e tutelare gli utenti contro l’uso dell’enorme banca dati oggi a disposizione di Google per tracciare profili accurati dei loro comportamenti in rete senza che essi possano fare molto per impedirlo, rettificare dati errati, proteggere le proprie scelte da intrusioni.  

Mesi fa, obiezioni differenti  - perché differenti sono le discipline Usa e UE sulla privacy - ma incentrate sulle medesime criticità erano state avanzate dalla Federal Trade Commission statunitense, e nell’agosto 2012 si è arrivati ad una multa di ben 22,5 milioni di dollari per l’elusione da parte di Google delle impostazioni degli utenti sui browser mobili (complice anche il conflitto aperto da Google con un altro gigante informatico, Apple). In seguito a questa sanzione, Google si è piegato infine alla richiesta di aggiungere un “No track button” che permetta agli utenti di bloccare con chiarezza e in maniera univoca il tracciamento dei loro dati attraverso i cookies. Ora, il conflitto che era aperto da oltre un anno sull’utilizzo dei dati raccolti sugli utenti, e sulla possibilità di questi di essere informati e di negare, se vogliono, il consenso, esplode anche rispetto alla legislazione europea.

Tutto nasce da un cambiamento operato da Google nell’architettura dei suoi servizi un anno fa. Nel giugno 2011 Google annuncia di voler unificare i dati dei diversi account (email, video, social network…): la decisione è stata attuata nel marzo 2012, al fine dichiarato di semplificare i percorsi dell’utente e indirizzare gli inserzionisti verso potenziali clienti. Dato il peso di Big G nella rete e la quantità degli utenti di almeno uno dei suoi servizi, l’impatto è enorme: di fatto, si passa da una situazione di relativa pluralità e segmentazione dei dati a una unificazione di proporzioni mai viste. L’aggregazione di milioni di account determina una drastica riduzione dell’entropia dell’ambiente-rete che rende concreta la possibilità di associare ai profili-utente tutti i dati precedenti e aggiornarli costantemente attraverso le tecniche di tracciamento: un potenziale di definizione di profili personali capace di annullare di fatto qualunque privacy. Sebbene Google sostenga di rispettare le regole, la raccolta massiccia dei dati e la loro conservazione a tempo indeterminato, denuncia invece l’UE, crea non pochi problemi, soprattutto per il fatto che è possibile incrociare i dati di servizi molto diversi, da Gmail a Youtube, a Google maps.

Da qui il conflitto con le autorità statunitensi e ora europee, ma anche la necessità di una ridefinizione concettuale di una serie di nozioni fondamentali. Sia il legislatore statunitense che quello europeo si trovano, infatti, a dover ripensare il concetto di privacy nelle situazioni molto complesse create dalla Rete. Non si tratta solo della creazione di profili del cittadino attraverso l’incrocio di dati che non hanno ricevuto l’esplicito consenso, ma anche del caso della cessione volontaria di informazioni, come avviene nell’utilizzo di social network - cessione volontaria per la quale non esistono procedure precise di cancellazione e selezione da parte degli utenti, o di eliminazione in caso di decesso. Alle spalle della privacy, il vero nodo che si profila è quello del peso della Rete e della nostra “personalità 2.0” nei diritti di cittadinanza. Quali sono i nostri diritti come cittadini di fronte a uno strumento con cui svolgiamo sempre più attività e che diventa spazio indispensabile dell’esercizio di diritti fondamentali come l’espressione, la partecipazione, la libertà di ricerca e creazione artistica, le relazioni personali? I giganti come Google rendono possibile tutto questo ma sono, allo stesso tempo, soggetti di diritto privato che fanno un uso commerciale delle nostre vite.

Questo articolo è una sintesi di uno studio più ampio di Antonella De Robbio 

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